Vedere l’isola di Haiti all’alba è una contraddizione unica: un panorama stupendo, sorrisi da parte di tutti, tra capanne, piedi nudi, muli, bambini e donne con le taniche per l’acqua. Avevo appuntamento con don Giuseppe alle 6 del mattino. Doveva andare a dire messa a Kot de Fer, una frazione di Mare Rouge a circa mezz’ora di jeep dal centro del
paese. La messa era alle 7.30 e pensavo che il don si dovesse preparare per tempo.
Alle 6 sono puntuale e mi ritrovo don Giuseppe con tanto di zaino che si incammina per un sentiero. Non avevo fatto colazione, nè preso acqua. Capisco che sarà una lunga camminata. Infatti dura un’ora e mezza.
Non per la lunghezza del tragitto, ma per gli incontri del don, fermato da numerosi passanti. Non solo: tante persone si sono affiancate per accompagnarci e chiacchierare. Naturalmente in creolo.
Come un uomo, col machete in mano, di cui sinceramente non ho capito il nome, che si stava recando al lavoro. Oppure una madre su un mulo, con i
due figli gemelli Jonaieff e Uslè, uno sull’asino e l’altro a piedi, che si stanno recando a Bourrà. Imparo così la prima frase in creolo: Ki Jan u relè? (come ti chiami?). Ormai ripeto solo quella. Uslè mi racconta che va a scuola e fa quella strada (un’ora di cammino) tutte le mattine per andare a studiare. Intorno un paese che si sveglia, che inizia la giornata. Quello che colpisce è che tutti salutano, sempre col sorriso: uomini, donne, bambini. Che abbiamo in testa un secchio pieno d’acqua o una tanica vuota. Che vadano a lavare i panni o al lavoro. Arriviamo a Kot De Fer in tempo per la messa. Accompagnati da numerose persone. Capisco perchè non abbiamo preso la Jeep. Si parla con le persone.
Uno dei ragazzi mi dice che gli piace il calcio italiano e mi propone di giocare, ha un pallone. La colazione e l’acqua non hanno più importanza.