Entrare nelle case dove non c’è nulla, piccole e con il tetto in lamiera, e vedere una luce in funzione è come trovare l’acqua nel deserto. Mi mostrano quella luce con orgoglio, ne sono felici, sorridono quando chiudono la porta e con una corda accendono i led collegati al pannello solare. È quello a cui ho assistito oggi, quando sono andato in giro con Odinel, ragazzo di 27 anni che, insieme a un altro giovane del paese, si è occupato di portare la luce in 93 case di Mare Rouge, grazie all’uso di piccoli pannelli. Il progetto è della parrocchia guidata da don Giuseppe Noli e don Mauro Brescianini ed è solo all’inizio: «Vorremmo far arrivare il materiale per altri 200 impianti, ma dobbiamo risolvere prima alcune questioni tecniche – racconta Don Giuseppe -. Sicuramente si deve proseguire perchè la luce nelle case aiuta i giovani a studiare, alle famiglie a socializzare, a evitare che le persone si disperdano in giro a fare nulla dove trovano una luce. Per montare questi impianti danno un piccolo contributo che non copre tutto il servizio, ma anche questo è un modo per responsabilizzarli».
Mentre camminiamo Odinel mi racconta, tra creolo e francese, come è stato il suo lavoro. A fatica ma ci siamo abbastanza capiti. Glielo ha insegnato Roberto Mariotti, il volontario di Abbiate ed elettricista che è qui in questi giorni. Per mostrarmi i risultati del suo lavoro, Odinel mi porta anche in alcune case dove c’è la luce in funzione.
La casa di Blandine è poco fuori dal centro. Una piccola struttura in muratura dove la padrona di casa ci accoglie con un neonato in braccio. Altri cinque bambini giocano fuori dalla casa. Ci fa subito entrare, una stanza grande forse 20 metri quadri, con una finestra e tre letti, abiti appesi ovunque. Mentre lei inizia ad allattare il bambino ci accende la luce e sorride: “Lumè”.
La seconda casa è più lontana. È quella di Ismanie, maestra della scuola del paese. Ha 33 anni e vive con la madre: «A volte funziona, a volte si spegne, ma è già importante averla» racconta mentre ci porta al centro della casa in muratura e questa volta almeno con un tavolo al centro della stanza. Anche lei accende la luce con orgoglio e sorride, mostrandoci anche come funziona: il pannello sul tetto è collegato alle batterie sulla finestra che a loro volta si collegano alla striscia di luci a led.
Odinel poi ci porta nell’ultima casa che visitiamo oggi. È nella zona chiamata Belville, anche se per arrivarci si passa tra gli alberi in mezzo a case dove la persone ci guardano e ci indicano la loro pancia. Arriviamo da Vounette. Sta preparando il pranzo e ci parla mentre non smette di schiacciare l’avocado. Intorno due bambini che vogliono farsi fare la foto e rivedersi. «Funziona bene la luce – spiega Vounette -. Dura circa quattro ore, la usiamo bene dalle 7 alle 11. Siamo diligenti e la accendiamo per stare in casa senza andare a letto troppo presto o usare luci a gas».
Mentre torniamo Odinel è orgoglioso del suo lavoro: «Quando la luce non funziona vado nelle case a sistemarla, ma quando dicono che non dura le quattro ore previste è perchè hanno usato il pannello durante il giorno per caricare il cellulare. Non hanno ancora capito».
Poi racconta di sé: «Sono in una famiglia con sette figli. Sono il primo di loro che ha trovato un lavoro vero. Ho studiato fino alla seconda superiore poi ho dovuto smettere, aver fatto questo lavoro mi ha reso felice. Non è difficile, basta collegare dei cavi. Ma in questa maniera le persone possono stare insieme e non usare le luci a gas che puzzano in tutta la casa. Spero che si riesca a portare questi impianti in tutte le famiglie».
«Ho montato l’impianto anche a casa dei miei genitori – conclude ridendo -, ero molto contento e la prima volta che l’abbiamo accesa, di fronte a mio padre e mia madre, sai cos’è successo? Non ha funzionato».