Via i ragnetti rossi dalle procure!

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Jack, ragnetto rosso, ha fermato i processi. Vi sottopongo la dichiarazione di guerra di un altro ospite del tribunale, oltre ai miei compagni roditori. Come un caporibelle libico è in cerca di un francese, che possa fare giustizia, o quanto meno che possa farlo entrare in una barzelletta di quelle che si raccontano ai vertici internazionali. Sulla vicenda, invece, gli italiani hanno già deciso di fare piazza pulita. I rossi in un palazzo di giustizia sono troppo scomodi, lo dicono i sondaggi. Al contrario delle vedove nere che, invece, creano meno imbarazzo e solleticano i ricordi dei nostalgici di ben altri palazzi.

“Sì sono Jack, sono un trombide e anche io sono finito in procura. Trombide nel senso biologico e non un malato di bunga bunga, come si potrebbe pensare con fin troppo facili allusioni: sono nipote di John l’acaride, altro trombide di razza, ma con Mubarak non ho nulla a che fare. Mentre in Parlamento si discute del fine vita, che scopro dal nostro presidente essere anche questo un privilegio dei pm, qui in tribunale il fine vita l’hanno deciso senza troppi complimenti: fine vita per noi ragnetti rossi. Ma io intendo sopravvivere: provate a schiacciarci tutti, ma quel colorino rosso sulle vostre manine resterà indelebile o quasi. Impossibile estinguerci: cercate, andate pure a cercare nelle vostre enciclopedie, di cosa ci nutriamo. Escrementi, escrementi soprattutto di volatili… ecco, allora, un ragnetto rosso che mangia stronzi, che fastidio vi dà?
Al quinto piano di questo magnifico tribunale, mi aggiro tra i faldoni del caso Ruby e ne leggo di tutti i colori: cara Milano, un ragnetto rosso potrebbe un giorno testimoniare e mandare tutto a p. Un giorno, ve ne accorgerete, parlerò: e saranno guai per tutti”.

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Milano, quando il topo vi rimette piede…

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Mentre il nostro governo decide di portarci in guerra senza interpellarci, le cronache milanesi stanno per riprendere. Topo di campagna, dopo un mese di stress, è tornato ad aggirarsi tra storie e personaggi. Si ferma il nucleare, per gabbare un referendum, ma non le cronache del topo… Intanto, non è solo schifo, a Milano: ieri si è addirittura festeggiato Shakespeare. Il vecchio William ha compiuto 447 anni e, siccome, non è il caso di stare allegri, a Milano lo hanno festeggiato leggendo Macbeth… Pace, amore e viuleeenza!
Meglio così, meglio allenare le menti piuttosto che rincoglionirsi davanti a un reality che ieri si è concluso e oggi sui giornali pare sia più importante della campagna di Libia. Per tenere alto il morale delle truppe, i quotidiani oggi si sbizzarriscono in cavolate… spiccano l’ecografia di Carla Bruni e il possibile discorso del principe Harry al matrimonio reale del fratello William… Con quel briciolo di cervello che pare sia germogliato in lui, si teme che possa debuttare con: “La sposa e lo sposo adesso girino la faccia e si guardino bene negli occhi… statisticamente state fissando la persona che ha maggiori probabilità di assassinarvi”.
E nonostante anche questo, a Milano ieri si è trovato un motivo per ridare ossigeno ai cervelli: dopo 233 anni di storia, ieri al teatro alla Scala è andata in scena per la prima volta un’opera diretta da una donna.
Dal 26 aprile al 7 maggio, Susanna Mälkki, finlandese, dirigerà l’orchestra del teatro scaligero in «Quartett», la nuova opera di Luca Francesconi basata sulla storia delle «Relazioni pericolose» di Choderlos de Laclos.
Susanna, a 42 anni, ha diretto le maggiori orchestre del mondo e sapete perché dirige alla Scala? Perché è brava! Milano non è più la stessa…

Questa storia mi ricorda qualcosa…

Questa storia mi ricorda qualcosa… “Da qualche giorno è venuta a galla una schiuma di scandali che fanno poco onore a chi sta a capo del governo e di rimbalzo sconsiderano il paese“.
Lo scriveva Carlo Tenca, un fine politico milanese (questo sì era un “padano” vero) nel 1863 all’amata Clara Maffei, una delle personalità più interessanti dell’Ottocento milanese.
Ce l’aveva, il Tenca, con il presidente del Consiglio di allora, Urbano Rattazzi, marito di una donna molto chiacchierata, Maria Wyse Bonaparte.
In una seconda lettera, il politico milanese raccontava: “Siamo in piena crisi di moralità governativa. Il Ministero ha dati i frutti che si aspettavano, e davvero lo scandalo in questi giorni è giunto al colmo. C’è di che raccapricciare pensando a che siamo venuti e soprattutto a che andremo. Finora si trattava solo d’inettezza, d’insipienza, ma adesso siamo caduti peggio che nel demi-monde-politico, e l’ultimo dei mascalzoni e dei faccendieri può ingiuriare impunemente un governo il quale è sceso al livello di costoro. V’è in tutti noi un sentimento di disgusto profondo e insieme uno scoraggiamento che ci fa guardare con angustia all’avvenire“.
La classe politica è sempre lo specchio di un Paese? Allora, come oggi, c’è ancora chi crede che gli italiani, o molti tra essi, siano migliori di chi li rappresenta. Lo stesso Carlo Tenca, nel 1867, riconosceva più o meno la stessa cosa: “Non tempo per questo che andremo a fondo: l’eccesso del male porta sempre con sé il rimedio, e la società ha forze insperate per ritemprarsi e risorgere“.
Accadeva 144 anni fa., quando l’Italia era ancora un bimbo in fasce.

Il giorno dei Giusti

Aleksandr Solženicyn denunciò l'orrore dei gulag in Unione Sovietica

Aleksandr Solženicyn denunciò l'orrore dei gulag in Unione Sovietica


Una giornata per ricordare i Giusti di tutto il mondo. Si terrà oggi la celebrazione annuale che a Milano (come nel resto del mondo) sarà dedicata a cinque testimoni inascoltati: Romeo Dallaire, Armin T. Wegner, Jan Karski, Sophie Scholl e Alexandr Solženicyn.

Dallaire ha denunciato il genocidio in Rwanda. Wegner ha documentato quello armeno. Karski e la Scholl hanno lottato contro la Shoah. Solženicyn ha svelato al mondo l’orrore dei gulag. Nessuno di loro è riuscito a farsi sentire in tempo, prima che avvenisse la tragedia.

Le celebrazioni inizieranno alle 11 al Giardino dei Giusti di tutto il Mondo, nell’area verde del Monte Stella. Interverranno le più alte cariche del Comune di Milano, il presidente della Comunità Ebraica di Milano Roberto Jarach e il presidente del Comitato per la Foresta dei Giusti Gabriele Nissim. Musiche al violoncello eseguite dal maestro Guido Parma.

Secondo appuntamento alle 17.30: al Teatro Franco Parenti incontro pubblico coi familiari dei Giusti onorati quest’anno. Saranno presenti Ignat Solženicyn, figlio di Aleksandr Solženicyn; Misha Wegner, figlio di Armin Wegner; Ewa Wierzyńska, supervisore del progetto “Jan Karski – Unfinished Mission” del Museo di Storia Polacca di Varsavia; Françoise Kankindi, presidente di Bene-Rwanda Onlus, e Franz Müller, unico sopravvissuto della Weisse Rose di Sophie Scholl.

“Come ha ricordato il presidente Napolitano – dice Gabriele Nissim – furono i Giusti a salvare l’onore dell’Europa. È importante ricordare questi uomini proprio nel momento in cui la comunità internazionale è impegnata per impedire la prosecuzione dei massacri in Libia, e affinché in questo Paese non si ripeta la condizione di impotenza nella quale siamo rimasti rispetto al Darfur e al Rwanda”.

Niente ironie, niente battute per un fatto finalmente dignitoso per questa città: sarebbe bello, tuttavia, non vedere a queste celebrazioni alcun riciclato di tangentopoli o politico inquisito o dalla dubbia moralità. Ma, capisco, che è chiedere troppo.

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Libri da treno: Eco no, Gramellini nì, Buzzati sì

Eccomi alle prese con nuovi libri. Nel fare il “guardone” sulle carrozze dei treni locali, ho sbirciato abbastanza per notare l’abnorme diffusione de “La caduta dei giganti” di Ken Follett, roba da bulimici della lettura e decisamente scomodo da sfogliare in una carrozza affollata, come il Taf per Varese… Ci sono segretarie che si stanno scolpendo i bicipiti grazie alla lettura in equilibrio di questo tomo. Tuttavia, mi sono fatto convincere ad acquistarlo, dal mio libraio di fiducia. Con il libraio, inoltre, ho discusso anche del Cimitero di Praga di Umberto Eco: ricevuto in regalo, accattivante, ma assolutamente impossibile da leggere in treno. Formato da palestrati, come il romanzo di Follett, e soprattutto contenuti che richiedono troppa concentrazione: ho iniziato a leggerlo tra Legnano e Busto Arsizio, tuttavia, mi perdoni professore, non c’è il giusto clima per gustare certi testi fino in fondo. E’ come se il mio vecchio professore di filosofia venisse a prendermi per il bavero e mi riportasse a forza in biblioteca, costringendomi a fare uno sforzo notevole per ricordare personaggi e idee studiate qualche anno fa: e dopo una giornata a digerire il mio capo e altre gatte da pelare, è sinceramente troppo. Per il professor Umberto ci vuole un bel tavolo su cui appoggiare il suo romanzo, una sedia rigorosamente non imbottita, silenzio o musica classica in sottofondo, e un buon caffè. Tornando al mio libraio, si discuteva con lui dell’ostentazione di cultura che sembra diventata quasi un’ossessione del nostro più autorevole scrittore italiano: si vendono comunque parecchie copie, una parte finisce nelle mani di chi la prende come una sfida e prova a misurarsi con le conoscenze storiche e filosofiche sconfinate di Eco, ma c’è anche una parte molto consistente di copie che è destinata al ruolo di soprammobile “radical chic” dei salotti.
Molto meglio, dal mio punto di vista (vista finestrino o corridoio, ma pur sempre in treno), il saggio di Carlo Fruttero e Massimo Gramellini, La Patria, bene o male, soprattutto per la scelta di suddividere in capitoli brevi, la loro lunga, personale (ma piacevole) storia dell’Unità d’Italia: ma un saggio, pur piacevole che sia, consente davvero poca evasione.
Dove ho trovato rifugio? In un vecchio classico, il Deserto dei tartari di Dino Buzzati. A tu per tu con Giovanni Drogo, nella sua Fortezza, alla ricerca della “grande occasione”, tra le stazioni di Parabiago e Vanzago.
E voi? In quali pagine vi siete nascosti? Non dite tra i fogli di “Io spio”, vi supplico.

Un uomo solo al binario

Un uomo solo al binario, la sua giacca è grigio talpa, ma i primi raggi dell’alba la illuminano e le danno colore. Fermo come un lampione spento illuminato dal sole, guarda nel vuoto, mentre lo scampanellìo annuncia l’imminente arrivo del treno: quello delle 6,43, in ritardo come ogni giorno. Sta per sopraggiungere con quel cigolìo che lo fa sembrare un’antichità e con quelle carrozze polverose e i suoi sedili che odorano di cane bagnato.
Un uomo solo al binario, guarda nel vuoto e gli viene da piangere: perché non sa spiegarsi cosa ci faccia in quel posto, di sabato. Se n’è reso conto soltanto da un minuto, gettando l’occhio sul quotidiano appena acquistato. Tra i titoli sulle tragedie internazionali e le telenovele di governo ha scorto anche una notizia sul Milan, lì in prima pagina: e il Milan non gioca mai di venerdì. Sabato: il giorno che il pendolare dovrebbe santificare, mentre lui è lì, “a causa di un errore nelle procedure”, come direbbe un portavoce della Nasa per spiegare che il conto alla rovescia, prima di un lancio nello spazio, non si è fermato.
Una banalissima dimenticanza del giorno prima, una sveglia non spenta che, fedele al padrone, ha fatto il suo lavoro anche quando non doveva, anche di sabato: un doppio trillo, il primo subito spento con un rapido gesto, quello dopo, impietoso e puntuale, cinque minuti più tardi, senza possibilità di replica.
Quando la sveglia chiama in seconda convocazione, le procedure sono quelle accelerate: ma, dopo anni, anzi decenni di esperienza, tutto viene in automatico, tutto è parte di un meccanismo che non tradisce quasi mai. Doccia di 25” che rimane semifredda, strappa un corpo dal sonno e lo riempie di adrenalina: indumenti che quasi s’indossano da soli, mentre il rasoio elettrico passa su quel volto ancora rigato dal cuscino.
Uno scatto verso la cucina, dà giusto il tempo per un caffè bevuto a metà: con la procedura accelerata, tocca berlo bollente, non c’è il tempo per farlo raffreddare. Il primo sorso va giù lo stesso, il resto lo si abbandona nella tazzina, mentre si cerca di rianimare la lingua ustionata.
Un uomo solo, come ogni giorno, si è scaraventato fuori di casa verso il binario, con il colletto della camicia stropicciato e segni di dentifricio sulle labbra: è salito in macchina e si gettato in una strada, stranamente deserta. Una lunga striscia verso l’orizzonte arancione, da dove il sole stava per sorgere. Ma la poesia non è roba da giorni feriali, lui aveva la testa già al parcheggio della stazione. Solito posto auto, scelto con cura, dopo anni di frequentazione del luogo: l’angolo ideale per guadagnare quella manciata di secondi che gli consente di raggiungere l’edicola, prima di salire sul treno.
Tutto calcolato, come un domino, ma il treno è in ritardo. Fatto che si ripete ogni volta, ma fuori controllo, che destabilizza, manda in bestia e, a caldo, fa tirare un boiavacca verso il cielo.
Un uomo solo al binario, ora, ha il tempo per pensare: “ho perso due ore di sonno, adesso che faccio?”. C’è un treno cigolante, polveroso e puzzolente che si sta avvicinando, ma non è quello di ieri: è, invece, lo stesso che, da bambino, vedeva passare con suo padre, la domenica. “Ohh, quanto è bello il treno, quanti vagoni ha il treno!” Questo sì, è uno vero, ma poi si andava di corsa a casa, a far girare quello in miniatura, dentro una stanzetta piena di giochi.
Il 6 e 43 in ritardo è fermo in stazione e un uomo solo al binario sceglie di salirvi sopra, mentre i merli cinguettano già alla primavera: c’è una carrozza enorme tutta da conquistare.
C’è aria di fiaba, senso di libertà, lì dentro, mentre il treno riparte: destinazione Milano per un pendolare che, quando è sabato, gli sembra di viaggiare gratis. Che gran città è Milano, di sabato.
Pochi minuti e gli sembra di volare sospeso nel cielo, sul ponte altissimo, che da Vergiate porta a Somma Lombardo: giù in fondo, c’è il monte Rosa che oggi il sole dipinge davvero di rosa. Pensare che ieri, quell’uomo solo, non l’aveva proprio notato. E in basso, guardando dalla carrozza sul ponte, una distesa verde, un immenso bosco si perde fino all’orizzonte che è seghettato di montagne.

“Ma intanto corre, corre, corre la locomotiva
e sibila il vapore e sembra quasi cosa viva” (F.Guccini)

Dal blog al libro: da treno, scritto in treno

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Libri da treno, li chiamo così, quelli che fanno compagnia ai pendolari. Anche quando i pendolari sono autori o protagonisti…
Ecco cosa ho scritto in quarta di copertina:
Lorenzo Franzetti è nato e viva ad Angera, in provincia di Varese… Quello che di solito si legge in questo punto di un libro dovrebbe essere la parte più noiosa. Tutti gli autori si augurano che sia così. Io sono cresciuto sul Lago Maggiore e, da bambino, avevo un sogno: “voglio fare il giornalista” pensavo. Un giorno ci sono riuscito, ma mi hanno detto: “Questo è un mestiere finito, i vecchi giornali non esisteranno più”. Dopo qualche anno, allora, ci ho riprovato: “voglio fare lo scrittore” mi sono messo in mente. E non appena ho trovato un editore disposto a darmi una chance, molti altri mi hanno avvertito: “Questo è un mestiere finito, la gente legge sempre meno e i libri non saranno più come un tempo”. Ecco, io avrei anche il sogno di fare il cuoco, tuttavia, visto l’andazzo, eviterei di causare catastrofi all’umanità intera. Per ora insisto nel raccontare storie, vere o di fantasia, nella convinzione che ne varrà sempre la pena.
Anche grazie a questo blog!

Lorenzo Franzetti
Dove finisce Milano.
Nebbia pendolari e altre storie
Pietro Macchione editore
152 pagine

La storia si fermò: Milano asburgica

“Viva Radetzky!”. Lo dicevano già allora, i nostri avi campagnoli, che mal sopportavano i signori: lo dico ancora io, in questo stato ideale che, per fortuna, vero stato non è, e nemmeno regione. Forse è provincia. “Viva Radetzky!” contro l’ingiustizia dei ricchi che sfruttavano i poveri contadini, ma per fortuna che quelle 5 giornate furono un flop, dopo pochi mesi. Ora sì, uber alles, siamo cittadini austriaci: sì, forse fratelli minori, ma sempre in famiglia asburgica siamo…. Willkommen in Mailand! Non siamo nemmeno lombardi, siam qualcosa di più: lombardo-veneti! Keine Padania, bitte. Lumbard tass, siam lombardo-veneti-austro-ungarici: e guai a chi la mena con la solfa di Pontida, Legnano, il Carroccio e l’Alberto da Giussano. Tutte favole che l’impero, giustamente, ci ha fatto dimenticare, a nerbate. E per fortuna, che in questa provincia austriaca, quei barbari dei piemontesi non hanno sfondato.
Ora sì che siamo felici! Mailand, Lombardo-Veneto, 2 marzo 2011: una terra dove tutto funziona a meraviglia, ci sono le aiuole e i prati sempre verdi, le mucche che pascolano qua e là, le stazioni che funzionano, le città pulite. Milano sembra un bijou, non me ne voglia l’imperatore se uso un termine francese un po’ volgare. Quel Radetzky ci accontentò: e ora, finalmente, il tedesco è la prima lingua, l’italiano è un dialetto, il dialetto è un sottodialetto. Vielen dank, geliebt Osterreich, amata Austria, per averci evitato un risorgimento che, altro non era, che un’idea malata nella testa di pochi.
Ma che bell’Austria meridionale siamo! Con tutte quelle tasse da pagare a Vienna: sono davvero menti amorevoli e illuminate i nostri governanti. Ora, come in passato. Come quando ci misero la tassa sul fumo: grande idea. Oggi, per dimostrar progresso, alla tassa sul fumo hanno giustamente accompagnato l’obbligo di fumare, altrimenti che tassa è: e così hanno fregato i furboni che si erano messi in mente pure di scioperare, come fecero quei mentecatti del ’48 (Ottocento).
Sehr gut, canederli e rustisciada ci stanno a meraviglia assieme: in onore di Maria Teresa. Sì, viva Maria Teresa imperatrice! E tutte le sue riforme che rendono orgogliosi i tirolesi come i friulani e pure i bresciani: e bravi i mantovani che, ormai da tempo, hanno ripudiato Virgilio e mille anni di gloria italica, per il progresso germanico. Wir tanzen Strauss! Si danza e si fa festa con il mito imperiale, il valzer di Strauss: così spumeggiante e decisamente più appropriato per questa terra, piuttosto che quel rovinacervelli di Giuseppe Verdi, così patriottico. Troppo.
Meglio questa Mailand che si fa spremere da Vienna, sì: spremete i nostri signori, spremete anche noi, ma fateci felici, con i vostri divieti e imposizioni lungimiranti. Zwei svanziche per un gelato al limon: prezzo equo, non si discute. Dispotismo illuminato: perché chiedere di più? Non oppressione, bensì regno: perché pensare a un consiglio regionale democraticamente eletto, se possiamo contare su ben altro sistema di governo, lecitamente imposto sulle teste di noi poveri ignoranti lombardi. Democrazia… che sciocchezza! Meglio confidare in una nobile famiglia, superiore per rango e potere. Ci toglie da ogni imbarazzo: non vorrete che accada, che so, che un brianzolo arricchito e senza istruzione possa un giorno arrivare a possedere televisioni e giornali e, magari, lavar il cervello alla gente? E, cosa inaudita, possa addirittura ambire a governare questo stato? Da sudditi, almeno, siamo salvi da certi pericoli, tipici della democrazia.
Viva Radetzky! Che ci ha liberati da sventure ben peggiori, da quel Cavour che avrebbe voluto farci tutti piemontesi, da quel Garibaldi volgare e violento, o da quel Cattaneo che sognava una Lombardia diversa: e pensava addirittura al federalismo. Ma si sa, il federalismo è il compimento massimo della democrazia, impone un’identità nazionale talmente forte da non temere, anzi da trarre giovamento dalle autonomie: uniti nella diversità, quante fandonie! Lumbard tass! C’è l’Asburgo che parla per te. Tutto il resto è inutile, ci basta una monarchia tedesca che decide per noi. Che ce ne facciamo della democrazia e dell’Italia? Wir sprechen Deutsch! Osterreich uber alles!
17 marzo: l’è al dì di mort, alegher!

Vola, Dolores!

Dolores
Dolores lavora a tempo pieno, ormai, e di questi tempi è quasi un lusso per una neoassunta: ore notturne, alla stazione. Tre metri sotto di lei, nelle nicchie e sulle panchine dormono i clochard. Fuori, sul viale, invece, ci sono Ramona, Katia, Maruska, Thais: superaccessoriate, completissime, solo distinti. Dolores, invece, non fa distinzioni: mette paura ai piccioni, tutti. L’hanno assunta per questo. Le altre, invece, sono a caccia, ma non scacciano nessuno, a parte i perditempo e gli scocciatori.
Quanto è bella, Dolores, con quelle ali che sembrano infinite: chissà, forse per volare così, s’immagina un cielo di primavera, terso, spazzato dai venti. Ah, quanto deve essere bello giocare col vento! Dolores lo sa. Ma sul lavoro, il vento se lo inventa, un battito d’ali per aggrapparsi a una lieve corrente, impercettibile. Quanto basta per restare su, a mezz’aria, tra i binari e le vetrate della stazione Centrale. E con quello sguardo fisso e minaccioso, mette in fuga un orda di miserabili, all’ultimo posto nella scala sociale degli uccelli. Li chiamano topi con le ali, oggi, ma una volta erano il vezzo di bambini e fotografi, nelle piazze e davanti ai monumenti. Oggi sono razza decaduta, sporca, da eliminare: contro la loro invasione, ora c’è Dolores, elegante e severa, rassicurante.
La stazione è luogo di frontiera, una porta d’ingresso oppure una via d’uscita: inevitabilmente vive di contrasti e indifferenza, come una periferia. E chi ha smarrito la meta, finisce per fermarsi in quel posto, a metà strada tra la città e ciò che sta fuori: con il proprio disagio o con la propria “non” scelta. Gli unici che hanno “scelto” di vivere lì sono i piccioni, ma ora Dolores farà loro cambiare idea. Le basterà un battito d’ali, perché la natura ha le sue leggi, meravigliose e spesso crudeli. Sopra le teste dei senza casa, dei senza meta e dei senza futuro, il volo di una poiana romperà la monotonia di quelle notti che sembrano non finire mai: come una poesia.
Da Corriere.it
http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/11_febbraio_18/rapaci-contro-piccioni-stazione-centrale-19042234969.shtml

Il fatto del giorno: la residenza Calvino

“Quarantadue bilocali superaccessoriati a misura di anziano. Per continuare a vivere a casa propria con i propri affetti e le abitudini di sempre, ma con la possibilità di essere assistiti 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 quando serve un medico o un infermiere, un aiuto per le faccende domestiche o semplicemente un po’di compagnia. Nasce in città il primo «condominio di lunga vita»: non è una casa di riposo né una comunità, ma un nuovo modello abitativo dedicato ad anziani ancora autosufficienti, in tutto o in parte. Si chiama «Residenza Calvino» il condominio pensato per sostituire l’ospizio o la badante, è in via Giovanni Calvino (zona Sempione-Cenisio). Privacy garantita è la parola d’ordine, pur in presenza di uno staff a completa disposizione degli speciali inquilini”.
Costo del servizio: 2.600 euro al mese in bilocale. Apperò… considerando che, oggi, in Italia le pensioni medie si aggirano attorno ai 1.100 euro, questo servizio è da ritenersi sociale? Boh, una volta c’erano i cortili, che erano vere e proprie grandi famiglie nelle quali ognuno dava una mano all’altro, soprattutto all’anziano. La solidarietà non era un servizio a pagamento. Oggi, a quanto pare, un anziano che vuole il rispetto della privacy deve essere disposto a pagare 2.600 euro al mese. Tutti gli altri, devono rassegnarsi ad averne troppa, di privacy.

A ognuno il suo Calvino, però:
“La vita, pensò il nudo, era un inferno, con rari richiami d’antichi felici paradisi”. (se pensiate che la residenza sia intitolata a Italo)

“…l’ingresso nella vita è preclusa a tutti quelli che Egli vuole abbandonare alla condanna; e ciò accade per un giudizio suo occulto e incomprensibile, per quanto giusto ed equo”. (se pensiate, invece, che la residenza sia intitolata a Giovanni)