Può esistere un ospedale con la correte elettrica per mezza giornata e senza il macchinario per fare le radiografie? Sì ed è operativo a Jean Ravel (Haiti), un comune a un’ora di Jeep da Mare Rouge. Ci sono andato questa mattina accompagnato da Madda, l’aiutante della parrocchia che si occupa dei disabili. Mi ha fatto conoscere il direttore dell’ospedale, Blanchè, e insieme abbiamo fatto una visita della struttura. Con gli occhi di un europeo la situazione è drammatica per diversi motivi: è l’unico ospedale di tutto il nord-ovest di Haiti, serve 250mila abitanti, non ha alcun sostegno economico dallo Stato e i pazienti devono pagarsi le cure. Sottolineo, con gli occhi di un europeo è una situazione drammatica, ma la gente del posto ringrazia di avere un ospedale, anche se per raggiungerlo ci vogliono ore di cammino.
Nella struttura lavorano quattro medici internisti, un ginecologo, un chirurgo, otto infermiere e circa venti tirocinanti. Ci sono 35 posti letto e vi sono i “reparti” medicina generale, chirurgia, radiologia, odontoiatra, laboratorio analisi, pediatria e ginecologia. «La situazione è difficile – racconta il direttore -. Facciamo quello che possiamo coi mezzi che abbiamo. La gente arriva tutta la zona, anche da lontano e nelle emergenze cerchiamo di venire loro incontro, o con una rateizzazione del pagamento o con l’esonero nei casi più urgenti e gravi».
L’ospedale non è grande: si articola su due piani e i reparti sono delle semplici stanze. Le condizioni possono sembrare pessime, ma Madda assicura che «è molto migliore di qualche tempo fa. Ora è molto più pulito e il direttore è riuscito a creare una vera squadra di lavoro tra medici e infermieri».
I problemi però sono tanti. Chiedo al direttore (nella foto) se nello sviluppo futuro ci sia la possibilità di prendere un apparecchio radiologico e lui è molto franco: «Prima ancora di questo vorremmo poter dare luce e corrente elettrica per 24 ore al giorno. Adesso alla notte non abbiamo più illuminazione e per un ospedale è davvero problematico andare avanti in queste condizioni».
La struttura sanitaria della zona si basa sui dispensari, gli ambulatori: non sempre sono aperti, ma quando i responsabili dei dispensari si trovano davanti un paziente che, ancora con meno mezzi, non riescono a curare, lo rimandano all’ospedale. E il paziente il più delle volte non ci va, non ha i soldi per pagare. «Non possiamo fare altrimenti – spiega il direttore -. Questa è una struttura statale per i programmi e per i protocolli sanitari, ma dobbiamo essere autonomi. Però non lasciamo mai nessuno per strada, una soluzione la troviamo quasi sempre. Ma in queste condizioni è quasi impossibile fare cure preventive».
Il direttore ci mostra poi le sale della struttura. Non nasconde niente, ne va orgoglioso. Lui è lì da poco più di un anno e mostra i molti cambiamenti che ha fatto. Dalla pulizia all’organizzazione. Lascia che fotografi tutto. «C’è bisogno di molto, anche di medicinali – conclude -. Dopo il terremoto del 2010 avevamo abbastanza farmaci grazie agli aiuti umanitari pervenuti da tutto il mondo. Ora il sostegno è fortemente diminuito, è un problema trovare molti farmaci. Qui stiamo facendo miracoli e spesso capita che anche medici e infermieri facciano collette per sostenere le cure di un paziente, ma di più non so cosa possiamo fare».