«I giornalisti che vengono qui pensano che Haiti sia solo la capitale». Sono parole di Etilius, l’uomo che l’altro giorno ci ha accompagnato in auto all’aeroporto per tornare in Italia. Riesco a scrivere dopo tre giorni di viaggio. Per raccontare quanto visto proprio in capitale.
Infatti, prima di prendere l’aereo, Etilius ha portato me e gli altri volontari a fare un giro in capitale, a Pourt-au-Prince, sottolineando che «non è molto sicuro andare in giro da solo per un uomo bianco».
Effettivamente lo spettacolo a cui ci siamo trovati di fronte era angosciante, e non solo per la presenza di mancate ricostruzioni dopo il terremoto. La città è praticamente in una condizione igienica di costante precarietà: gente che rovescia la spazzatura in strada con le carriole, bambini che ci giocano dentro, capre che mangiano i rifiuti (le stesse capre che poi molto probabilmente vengono macellate e vendute al mercato), pozzanghere nauseabonde quasi in ogni angolo, pareti del fiume dove viene rovesciata altra spazzatura, cumuli di rifiuti bruciati in ogni strada con le colonne di fumo che si vedono a centinaia di metri di distanza. Il tutto contornato dal fatto che certi edifici, soprattutto quelli pubblici, come l’ospedale dei frati Camiliani che ci ha ospitato per la notte, hanno sul cancello un disegno che invita i visitatori a lasciare fuori le armi.
Ma Haiti non è solo la capitale, come dice Etilius. Lo abbiamo mostrato in questo blog nei giorni scorsi. Eppure, come all’esterno, lo Stato sembra assente anche qui, come nel resto dell’isola. Ripartiamo da questo viaggio con uno spettacolo deprimente e sconsolante, ma con la consapevolezza che ci sono migliaia di persone che stanno cercando di cambiare questa situazione.