Oltre 200mila morti, più di due milioni di senza tetto. Sono questi i drammatici numeri del violento terremoto che colpì l’isola di Haiti nel gennaio del 2010. Tre anni in cui la popolazione (già colpita da carestie, uragani, ed anche sfruttamento del territorio da parte di colonizzatori più o meno espliciti) ha cercato di rialzarsi, prima con tanta collaborazione internazionale, poi con l’attuazione di progetti più o meno rimasti incompiuti.Sono molte le realtà, associazioni o onlus, che aiutano Haiti, ma un recente articolo comparso sulla rivista Internazionale ha definito l’isola come la “Repubblica delle Onlus”, molte delle quali avrebbero persino più potere del governo. Oppure come titolato dalla Stampa “si rischia il campo profughi permanente”.
Secondo Don Giuseppe Noli, che opera a Mare Rouge da quasi 10 anni, «la popolazione non ha bisogno di semplice assistenza, ma di responsabilizzazione. Arrivano da anni di schiavitù, in cui hanno visto sottrarsi la propria libertà e la propria autonomia economica dai governi esteri. Non è cambiato molto negli anni, quello che si dovrebbe fare non è solo dare assistenza ma rendere queste persone autonome nella gestione della propria vita, senza interessi di sfruttamento. Secoli fa Haiti era un’isola ricca, a impoverirla è stato il resto del mondo».
Un ottimo servizio ben documentato sulla situazione che sta vivendo Haiti lo si può trovare in questo articolo di Unimondo, oppure su questo intervento dell’Huffington Post Italia a firma di Marco De Ponte, Segretario Generale di ActionAid Italia.