Nonostante io, Vichy, sia una signorina di buona famiglia e abbia chiare alcune regole basilari della buona convivenza, sono una sostenitrice convinta dei diritti altrui. Non sono la tipa che scende in piazza con la maglietta “senonoraquando” contro la strumentalizzazione della donna, perchè penso che se vuoi darla via (tout court, tanto per rialzare il livello della prosa) per una buona sommetta, sono fatti tuoi e incolpare l’altra metà del cielo, perchè noi siamo incapaci di intendere e di volere, è un filino furbetto. Ognuna è libera di fare le proprie scelte e di sbagliare (secondo me e secondo la morale condivisa, che se è condivisa, pensate un po’, ci sarà un motivo…) e di accettarne le conseguenze, e io sono libera di farmi venire un conato.
Quest’intervista alla Terry gira da qualche giorno. L’ho ascoltata, come davanti a una commedia o meglio sperando che lo fosse: è surreale. Sia chiaro non mi frega del discorso politico, parlo della Terry e di quello che dice: “quando sei onesto non fai un grande business: è la legge di mercato“. E perplessa anche lei mentre lo dice!
La farei ascoltare a scuola e al catechismo. La terrò per le mie figlie quando ne avrò e chiederò loro: voi vorreste veramente essere così? Per un bicchiere di bollicine e un (bel) vestito (di Prada, ci tiene a sottolineare! Io le farei causa se fossi la Miuccia)?
Forse è il momento di riflettere, di capire di chi è la responsabilità e ammettere che magari è anche nostra. Forse è il momento di spegnere il pc, staccare il telefono e prendere per mano le bambine e insegnar loro che oltre l’apparenza, c’è un mondo di gioie da conquistare che appartiene solo a chi se le merita.
E che le altre, invece, avranno un sacco di bei vestiti. Vuoti.
Intanto, penso alla Terry, alla sua mamma (se non se l’è già venduta!) e a chi le vuol bene. Un’intervista così (sempre che sia spontanea) è come un suicidio. Non si torna mica indietro.