Ciao a tutti!
Su proposta di Mauro ho deciso volentieri di provare ad usare questo spazio per condividere ciò che accade ad un expat varesotto.
Da Torba, piccola frazione di Gornate Olona, sono partito per uno stage ad Hong Kong, ultimo tra i posti in cui avrei pensato di soggiornare per qualche mese, ma che ha deciso di trascinarmi per le sue strade, di rapirmi con le sue gabbie di serpenti lungo stretti vicoli e di farmi firmare l’affitto fino a febbraio.
Grattacieli su grattacieli, metro che corre sotto il mare…
Passerelle che ogni giorno sospendono da terra correnti di milioni di persone mentre si spostano, in file ordinatissime, per raggiungere uffici a piani stellari.
Eccomi qui da tre settimane. Tre intense settimane durante le quali, tanto gradualmente quanto in maniera repentina e stucchevole, ho avuto modo di guardarmi, ancora troppo poco, attorno.
A dirla tutta più che guardarmi intorno, spesso, mi trovo a naso all’aria.
Non riesci a perderti in un tratto di strada con orizzonte.
Non riesci a perderti tra i colori di una piazza, a meno che, non inizi a salire.
Salire… scalino dopo scalino, piano dopo piano.
Salire… rigattiere dopo rigattiere, ristorante con anitre appese e viscere fumanti, dopo distese di tavolini “un colpo di spugna e via!”.
Salire… per una vista davvero unica.
Riesci ad avere quella panoramica che in talune mattine viene direttamente a bussare alla finestra della camera al diciottesimo piano, con un cappio di cipolla e pesce delle tavole calde di Wan Chai (quartiere che di caldo non ha solo le tavole).
Qualche giorno fa mi scrisse Simone chiedendomi di buttare l’occhio su un obiettivo per la sua macchina fotografica.
Alterno lo sguardo tra gli ultimi sorsi di un Gin Tonic e la città illuminata che si apre oltre il bicchiere, dalla terazza del locale al trentesimo piano.
“ Non ci sono problemi! Tranquillo, non ti dannare nel preoccuparti su come decida di andare a curiosare per richieste che mi arrivano da Gornate e dintorni…
Info e prezzi… Se posso, of course!
Quando passo, nelle pause che mi permettono di avere un’idea su un ambiente extra-lavorativo per apprezzare al meglio gli angoli di questa città, dai più pittoreschi, ai più moderni, butto l’occhio e ti dico.
Quando passo, dopo una cena in uno di quei posti in cui non si trova un menù in inglese nemmeno a pagarlo oro, butto l’occhio e ti dico.
Quando passo, tornando verso casa ed incontrando piccoli altari accanto ai negozi, ricchi di arance, bocconi di verdura, fiori ed incenso, ai piedi di giovani donne di strada-troppo giovani per essere donne-accanto a mamme con passeggino, butto l’occhio e ti dico.
Quando mi sposto per attraversare, spesso dimenticandomi da che parte guardare perché una città che ti porta a guardare in alto, butto l’occhio e ti dico.
Si, davvero, butto l’occhio!
Butto l’occhio perché dalle nostre parti ci hanno, letteralmente, sistemati!
Butto l’occhio quando mi muovo per le strade tappezzate di menù e mi trovo il monaco mendicante che, sorridente e molto anziano, cerca un’offerta da qualche cliente delle giovani donne di cui sopra.”
Butterò un occhio e vi saprò dire…