A volte un colpo d’occhio…

 

Banksy

Banksy

Regent’s park è uno dei parchi più grandi e più belli di Londra. Di fatto intorno a questa macchia di verde di proprietà della Corona britannica – che misura quanto un intero paese delle lontane prealpi – ruota una bella parte della capitale inglese. E’ come una raggiera: di qua la frenesia della zona commerciale di Oxford Street, i ristoranti italiani, francesi, libanesi, spagnoli di Marylebone, di là il museo di Madame Tussauds, poco più sopra ci sono gli eleganti scorci e le case lussuose di Little Venice, poi ancora dall’altra parte si può immaginare la folla di Camden Town e il traffico di King’s Cross. Quasi quasi potresti anche scorgere  la sagrestia di padre Carmelo.  Insomma, dal centro di Regent’s park si vede un volto vero dello skyline londinese. E quando a ovest tramonta il sole su questo formicaio di milioni di persone, abitanti e forestieri, nel bel mezzo di quello squarcio di cielo in cui le nuvole si rincorrono il profilo che si staglia con maggiore nettezza è sempre lo stesso. E’ quello di un minareto. Il minareto della London Central Mosque. Nessuno, a parte il cielo, arrosisce.

Molto piú di una partita di calcio

Quante volte abbiamo sentito dire “questa é molto di piú di una partita di calcio”?

Quanto volte abbiamo sentito dire “ci si gioca molto piú di 3 punti”?  Beh in questo senso non c’é, almeno in Europa, niente di meglio di un Barça-Real Madrid.

É lo scontro tra primi e secondi, tra le due squadre che si dispteranno la Liga fino all’ultima giornata. É lo scontro fra le due squadre che nell’estate marcata dalla crisi mondiale piú dura della storia hanno speso nel complesso quasi 500 milioni di euro per rafforzarsi e lottare tra di loro, saccheggiando gli altri campionati europei senza badare a spese. É lo scontro fra due filosofie, quella della “cantera” (il settore giovanile) del Barça e quela della “cartera” (il portafogli) del Real Madrid.. É lo scontro tra il calcio essenziale e minimalista del Real Madrid e il calcio fresco, frizzante e goleador del Barça, che da 2 anni incanta tutti. É lo scontro tra Messi e Cristiano, tra Ibra e Kaka, gli ultimi 3 palloni d’oro in campo dando per scontato come prossimo vincitore Messi. É lo scontro a medio termine tra il sogno del Real Madrid di vincere la decima coppa dei campioni nella finale e che si giocherá nel suo stadio a fine maggio 2010, e il sogno del Barça di vincere la seconda coppa di fila, la terza in 5 anni, nella tana del nemico piú odiato. É lo scontro tra la squadra da sempre identificata con la Spagna istituzionale e la corona e la squadra che rappresenta l’orgoglio catalano in patria, in Spagna e in tutto il mondo, filosofie perfettamente rispecchiate dalle personalitá dei loro due presidenti, il pacato e allineato Florentino Pérez contro l’esuberante y e fuori controllo Joan Laporta (quest’ultimo utilizando il calcio come porta d’accesso alla politica, ricorda qualcuno?). É lo scontro tra anticatalanisti e catalanisti, dove alla fine sentimento calcistico, politico e patriottico si mischia senza che si possano definire i confini

Sí, é molto piú di una partita di calcio. Sí, ci si gioca Molto piú di 3 punti. Da settimane non si parla d’altro e per settimane non si parlerá d’altro. É il clásico. Domenica alle 19h mettetevi comodi, Barcellona si ferma, Madrid si ferma, la Spagna si ferma, si alza il sipario sul Camp Nou.

La cantera del Barça...

La cantera del Barça...

... e la cartera del Madrid.

... e la cartera del Madrid.

Crocifisso

Le porte della chiesa aprono alle 11.45. Mezz’ora dopo c’è la messa, come tutti i giorni dal lunedì al venerdì. Una quindicina di persone ci viene tutti i giorni della settimana (ben di più quelle della domenica). Sono anziane signore, per la maggior parte. Capelli grigi o bianchi raccolti, in mano un sacchetto della spesa. Ma non è un sacchetto di Esselunga o di Gs, è un sacchetto di Tesco o Sainsbury, Perché qui siamo a Clerkenwell Road, alla St Peter Church, quella degli italiani nel cuore di Londra. Sui volti di questo gruppetto di fedeli instancabili ci sono decenni di vita da immigrati nella capitale inglese, l’immigrazione di una volta che tiene salde però le sue piccole tradizioni del cuore. Il prete celebra la messa in italiano, le letture sono spesso recitate anche in inglese, la lingua madre del sacerdote che dà una mano al vulcanico padre Carmelo. Mezz’ora di preghiere, in una navata che per architettura e arredamento dà l’idea di essere in qualsiasi città – piccola o grande – del Bel Paese e lascia fuori le ansie della città. “Buona giornata”, augura il prete alla fine della messa. “Altrettanto”, rimandano le anziane signore in coro. Il segno della croce, la discesa dei pochi gradini verso la città, ci si sistema il bavero del cappotto agitato dal vento. “Buongiorno”. “Buongiorno”. E ci si torna a disperdere nella metropoli che ha visto nascere nuove vite in una lingua lontana.

Un ricordo in ritardo. E uno lontano.

Lo ricordo ancora bene, l’odore del Bar Clerici a Luino, circa vent’anni fa.

Quando era un po’ meno tirato a lucido, senza i “funghi” per il riscaldamento nel porticato, con i suoi tre cabinati con i tasti e gli stick spesso fuori uso.
All’apice del suo splendore.
Snow Bros. Final Fight. Street fighter 2.
Altri, a rotazione, hanno provato a prenderne il posto nella memoria, ma quei tre sono rimasti sempre lì.
Era la domenica che mi riempiva di gioia.
Portare pane secco per i cigni, che qualche volta mi hanno “morso”, al porto vecchio; poi un gelato al Vela, opure a quello che mio padre, con la testa ancora nei sessanta, chiamava ancora “al Varesina”.
E poi al Clerici.
2 gettoni, 4 se andava bene. Oggi, mentre li rigioco compulsivamente, e coi crediti infiniti in una finestra sul Mac, i miei favoriti non hanno che un briciolo di quella gioia da darmi. Ma non scappiamo nei ricordi.

Poi arrivarono le riviste.
O meglio, c’erano già, ma io fino ai 14 anni credo di non essermene accorto.
E arrivò, insieme, il Valhalla esotico del videogiocatore incallito, lo spettro sbiadito del Giappone.
Poco più in là, nel ’96, il Tokyo Game Show doveva essere migliore dell’eroina. migliore di qualunque orgasmo. Migliore di ogni possibile cosa che ancora non ero stato assolutamente in grado di provare. Ma migliore.

Non devo essermene reso conto, da subito.
Comedovecosaquando.
Parlavo del Giappone.
Di quelle immagini ricoperte di segni inconoscibili immaginando con gli amici , a caso e senza ragionarci davvero, da buon quattordicenne (ancora speranzoso), se i giapponesi stessi potessero capire la loro lingua. E non sapevo che una quindicina di anni più avanti quel dubbio me lo sarei portato ancora dentro, solo un po’ più a fondo.

Raddoppio i miei anni.
+14
Troppi 1up, avrei dovuto prenderne un paio in meno, forse.
Ma comunue alla fine ci sono. A Tokyo.

OMMMIioddDio! O peggio. Quello che avrei creduto di urlare sceso in quel del suolo nipponico, una volta atterrato.
Ma invece non urlo più.

26 settembre. Duemilanove.
Salgo su un treno. In un’ora abbondante sono al Makuhari Messe, a Chiba.
Da ragazzo, sulle riviste, non vedevo le code chilometriche. Non vedevo i coupon con cui attendere 3 ore per provare una beta.
La calca.
La disillusione.
Il TGS è piu’ o meno lo stesso, sono io che sono cambiato.

Torno a casa. Accendo il Mac.
Snow Bros è bello ancora come allora.

IMG_1203

snowbroscapture

Il mio professore di chimica fa il mago

Già inizia la sesta settimana di università: incredibile!

Sono di buon umore perché sono finalmente riuscita a partecipare attivamente alla discussione dei compiti di matematica nel nostro “gruppetto di studio”. Credo che il mio tedesco stia silenziosamente migliorando, per fortuna.

Del resto qui l’italiano lo parlo poco, e non me ne lamento: è stata una piacevole sorpresa vedere con quanta facilità si faccia amicizia tra studenti, e essere straniera non è stato per nulla un problema.

Meno male, perché solo avendo degli amici si può sopportare la lontananza da casa, dalla mia grande famiglia, dai miei amici di sempre, dai paesaggi stupendi che circondano la nostra Varese.

La mia vita qui è molto intensa, al primo posto ci sono chiaramente le lezioni, ma poi c’è anche il tempo per andare a correre in compagnia, per occuparsi dell’appartamento, per cucinare con i miei coinquilini (specialità tedesche e italiane a turno). E poi Erlangen è una città viva, dove da qualche parte c’è sempre qualcuno che fa festa (anche se noi, poveri studenti di Nanotecnologie, dobbiamo puntare presto la sveglia, perché abbiamo lezione al mattino tutti i giorni alle 8.15).

Devo dire che mi sto abituando anche a cose come il cibo della mensa (preoccupante!) e il tempo atmosferico (nonostante al mattino, appena sveglia, ancora guardi fuori dalla finestra, nella speranza di scorgere un raggio di sole..).  Ma in cambio di un professore che dedica alcune ore extra ai quattro o cinque che non hanno fatto molta chimica al liceo, ci si può anche abituare a certe cose!

Ora vorrei raccontare della «Lange Nacht der Wissenschaften» (La lunga notte delle scienze) che sabato scorso ha trasformato Erlangen e la vicina Norimberga in un laboratorio scientifico (ma non solo) aperto a tutti.

Protagoniste sono state naturalmente l’università, con i suoi ricercatori e anche i suoi professori, e la Siemens. I trasporti pubblici per l’occasione hanno funto da navette che collegavano le varie attrazioni scientifiche.

Ce n’era davvero per tutti i gusti: conferenze sulla fisica dei quanti, laboratori di biochimica, test psicologici, addirittura un “Nanotruck” (un camion dedicato alle Nanotecnologie!). Una buona parte degli eventi era dedicata inoltre alla medicina (infatti a Erlangen l’ospedale e le varie cliniche occupano un posto di rilievo). Ma l’evento più popolare in assoluto è stata la “Zaubervorlesung” (e cioè la “Lezione di Magia”) di “Magic Rudi”…il quale altri non è che il mio professore di chimica! esperimenti

È un mito tra gli studenti, ma la velocità supersonica con cui si sono esauriti i posti nelle sale dove ha fatto il suo spettacolo dimostrano che anche tra i bambini e gli adulti è molto popolare. Lo show si basava su trucchi di «magia chimica», che Rudi alle volte mostra anche a noi durante le sue lezioni. Proprio oggi, per esempio, ha inspirato dell’elio, per mostrarci il buffo cambiamento della voce che ne deriva (sì, è proprio il gioco che si fa alle feste di compleanno, con il contenuto dei palloncini!), e poi un’altra sostanza (il SF6), che rende la voce molto profonda -infatti si è messo a cantare “What a wonderful world” 🙂

Amare è sottrarre. Or: fun comes with strings attached.

Mi sono addormentato come accade di solito, sul pavimento della stanza di G.
Dopo un ramen di corsa a shibuya, per cena, e un kaki e un paio di daifuku mangiati sul tavolino pieghevole nell’angolo della camera.
Nella sua coperta ammuffita ma calda, e abbastanza spessa da non stare troppo male per terra.
Mentre in tv davano un film che di solito avrebbe destato il mio interesse.

Suona il telefono, è un messaggio del “caso umano”, cosi’ lo hai ribattezzato. Vuole scopare. Adesso. Devo andarmene.
Pare giusto, a ognuno il suo.

Oggi mi sono tolto l’anello che ti dà così fastidio. Tu no invece. Hai tolto la protesi, e ridendo mi hai detto che una parte di te non e’ mai cresciuta. “Cosi’ si puo’ essere bambini per sempre, almeno in parte”. Età apparente, anagrafica e mentale non sempre coincidono.

Tokyo, luci costanti, appariscenti.
Ma il buio dentro, quello rimane.
Il sole pallido che filtrava dalle tende oggi, ha fatto un po’ di chiarore. Credo.

Rich mi chiama da Londra. Un amico di un amico gli ha detto che ci ha visto in tv, nella pubblicità dove siamo apparsi assieme.
Ma niente.
La rete, così vasta e infinita, non vuole saperne di regalarmi un attimo di distrazione leggera, e del video nemmeno l’ombra.

Torno a letto. Nel mio, questa volta.

5 motivi

Per cui ne è valsa la pena.

Un tardo pomeriggio a Odaiba, con Richard.

rsz_img_1444

I fiori di Yoshi. Inaspettati. In mezza bottiglia di plastica sul mio tavolino sempre in disordine.

rsz_img_0386

Il rikugien. Malgrado la pioggia.

DSCN2675

Il chirashi a Tsukiji, dopo una notte al Karaoke.

rsz_img_1074

Gli amici.

IMG_0893

Essere “via”. La scimmia, il pullmino.

Mentre torniamo, la guida poco sicura dell’autista mi sveglia un paio di volte dal mio meritato sonno riparatore.

Un pullmino troppo carico di vestiti e di materiale scenico perde aderenza più volte sul ponte di Odaiba
Mi chiedo se le nostre carcasse di modelli, truccatori, parrucchieri, dilaniate dalle lamiere contorte, avrebbero comunque un profumo migliore di quelle delle persone “normali”, e una compostezza ad ogni modo molto stylish, e ritorno a Morfeo.

Maxx è di los angeles, studia economia a Tokyo e di solito fa il tuner di auto da corsa, ma ogni tanto anche il modello.
Ida di Stoccolma, ma vive a New York (o a Parigi, intercambiabilmente), e i suoi denti consumati dai succhi gastrici raccontano più di quanto faccia lei a parole della sua vita.

Pavel è di San Pietroburgo, dove non può tornare fino al duemilanonricordoquando, perché ha disertato il servizio militare; mentre vive a Londra con la sua famiglia (ma non ci vive mai, in realtà) gira il mondo per essere a tutte le “settimane della moda”.
Io sono il protagonista.

Non ho dormito ieri notte; almeno un’ora avrebbe aiutato.
Al mio “non risveglio” distolgo lo sguardo dallo schermo del pc, dalla pornografia random che mi ha tenuto compagnia. Spengo la sveglia, inutile, e mi domando se il mio pallore cadaverico e le mie occhiaie marcate saranno il mio tratto distintivo nelle foto che farò a breve.
Difficile, dormire.
nella mia testa solo J.
J.
J.
Decisamente troppe J.

Fa freddo, abbastanza da non voler stare una decina d’ore praticamente nudo a fare cambi d’abiti della collezione primaverile di non so quale nuovo brand in un parco di Chiba dove hanno allestito il set.
Magra consolazione le scarpe di Alexander McQueen che indossero’ in uno degli outfit. Per quanto bellissime sono un 42, io ho il 44, ma le hanno scelte e non ho possibilità di replicare. Edonistica autocontemplazione mista a dolore in vista.

Kudo-san, il direttore artistico che ha passato tutto lo shooting a dirmi quanto che fossero erotici e sexy i miei peli del petto, togliermi e mettermi i vestiti e stare molto attento che fossero sistemati bene, lisciandomeli bene addosso, mi lancia in rapida successione un guinzaglio e la mia nuova amica, l’accessorio da set che ha reso se non altro la giornata più movimentata.
Una piccola scimmia tropicale, in contravvenzione a non si sa bene quali norme sanitario/eco/deontologiche, e ci assicura che è tutto in regola.

PAP_0005

Mentre indosso solo le mie mutande verde speranza e provo camicie e pantacollant improbabili, suona il mio telefono.
J.
Che gradisce in seguito la mia mail con le foto del primate, e mi fa notare la sorprendente somiglianza tra sé e la scimmia.
E’ terribilmente vero, e mi piace ancora di più ora.
Vuole rivedermi. Il mio incarnato ne acquista in freschezza.

Passano le mie undici ore. Mi piacerebbe rubare un paio di cose. Sarebbe terribilmente facile, ma di sicuro non una buona idea.
Comunque sono a casa, ma con la testa non sono tornato a Tokyo, sono in Lombardia.
A. è dall’altra parte del telefono, e sua madre sotto i ferri.
Lotto con i miei occhi per tenerli aperti, il mio corpo è a puttane, 4 ore di sonno in 40 ore sono poche. Lo lascio dopo una prima chiamata, con la promessa di risentirlo dopo un’ora.
Cazzo. Mi stavo dimenticando della nostalgia? A., così poco bravo nel dimostrare sentimenti in maniera diretta, così bravo ad essere un amico fedele in tutti questi anni. Mi manca Il tuo odore. I tuoi abbracci incerti.
Vorrei piangere e invece mi addormento, più dell’ora pattuita.
MI risveglio 3 ore dopo nello stato in equilibrio precario in cui sono ora, e leggo il tuo:
– la stanno chiudendo. questo è quello che so. il chirurgo parla a monosillabi.
adesso viene la parte peggiore. –

Meglio dormire, a domani Ciccio.

Praying mantises – Incontri che lasciano il segno

Masa è tornato dopo due giorni.
Non sembra felice, sembra solo distante, disallineato dallo spazio reale della nostra piccola cucina-salotto, se così si può chiamare.
Nel suo italiano molto migliore di quanto lo sia il mio ambiguo giapponese mi dice soltanto, in risposta al mio -Come è andata?-
-Non lo so. Credo di Morire. Sono solo molto stanco.-

Decido che non è il caso di fare altre domande, perchè anch’io mi sento così, oggi, e certe cose si capiscono meglio senza le parole.

Ieri, un incontro speciale, quello con una mantide, è stato la rivelazione.
e, in fondo, se in Giapponese “mantide” si può scrivere anche con i caratteri di “falci affilate” un motivo ci sarà.

rsz_img_2142

J. era la mia mantide per ieri sera.
In quell’abbraccio senza tregua, tagliente e profondo, calore e ferite, nel sapere che quell’abbraccio non è solo mio.

Certi incontri, se fanno male, lasciano il segno.
E a me i segni piaccono molto.

rsz_img_2131