Mi sono addormentato come accade di solito, sul pavimento della stanza di G.
Dopo un ramen di corsa a shibuya, per cena, e un kaki e un paio di daifuku mangiati sul tavolino pieghevole nell’angolo della camera.
Nella sua coperta ammuffita ma calda, e abbastanza spessa da non stare troppo male per terra.
Mentre in tv davano un film che di solito avrebbe destato il mio interesse.
Suona il telefono, è un messaggio del “caso umano”, cosi’ lo hai ribattezzato. Vuole scopare. Adesso. Devo andarmene.
Pare giusto, a ognuno il suo.
Oggi mi sono tolto l’anello che ti dà così fastidio. Tu no invece. Hai tolto la protesi, e ridendo mi hai detto che una parte di te non e’ mai cresciuta. “Cosi’ si puo’ essere bambini per sempre, almeno in parte”. Età apparente, anagrafica e mentale non sempre coincidono.
Tokyo, luci costanti, appariscenti.
Ma il buio dentro, quello rimane.
Il sole pallido che filtrava dalle tende oggi, ha fatto un po’ di chiarore. Credo.
Rich mi chiama da Londra. Un amico di un amico gli ha detto che ci ha visto in tv, nella pubblicità dove siamo apparsi assieme.
Ma niente.
La rete, così vasta e infinita, non vuole saperne di regalarmi un attimo di distrazione leggera, e del video nemmeno l’ombra.
Torno a letto. Nel mio, questa volta.