L’altra faccia della medaglia

Eccomi…l’Olympic Spirit, come lo definiscono qui, mi ha travolta. Volevo raccontare di piu’ su questo blog ma il tempo trascorso in casa era tempo rubato a vivere questi momenti preziosi.

Siamo ormai entrati nella seconda settimana; Vancouver e’ impazzita, non e’ mai stata cosi viva e affascinante….le strade sono fiumi di gente, di cori, di maglie rosse e bianche e di bandiere di tutto il mondo; la gente e’ allegra e le file interminabili davanti alle varie locations disseminate in citta’ diventano luoghi di incontro, socializzazione e baldoria continua. Mai vista tanta vita a Vancouver, lo giuro…mi sembra di essere tornata in Europa e questo mi fa sentire piu’ a casa.

E’ un peccato pero’ che leggendo la stampa Italiana non si avverta per nulla quello che stia succedendo qui. Da quando sono iniziate queste Olimpiadi non faccio che leggere sulle testate nazionali (Italiane) critiche e polemiche sulla citta’ e sull’organizzazione, sul tempo, sulle proteste dei comitati antiolimpici, sulle macchine che non puliscono bene il ghiccio e chi piu’ ne ha, piu’ ne metta. Quasi sembra che parlare di sport, del sapore della vittoria, dello spirito di squadra o del sentimento patriottico e di unione tra i popoli sia ridondante e marginale…dopotutto la cronaca, le polemiche e le notizie negative vendono di piu’ – e questo mi fa pensare a come funziona il nostro sistema di informazione e di come il nostro modo di vedere le cose sia sempre deviato in qualche modo -.

D’accordo, queste Olimpiadi non sono iniziate sotto una buona stella; il grave incidente che ha causato la morte all’atleta Georgiano non e’ stato certamente un inizio che ci si poteva augurare; nessuno ha dimenticato o dimentichera’. Senza alcun dubbio,  il fatto che un incidente del genere sia accaduto in Canada ha fatto sgranare gli occhi a tutto il mondo…ma il Canada non doveva essere uno dei Paesi piu’ avanzati, sicuri e precisi al mondo? Sgomento e responsabilita’ a parte, quando ho appreso la notizia, ho pensato alle parole di una canzone di Alanise Morrissette, anche lei Canadese guarda caso, che suona cosi:

“Mr. Play It Safe was afraid to fly
He packed his suitcase and kissed his kids good-bye
He waited his whole damn life to take that flight
And as the plane crashed down he thought
‘Well isn’t this nice…’
And isn’t it ironic.”

Ed anche io, l’ho trovato ironico, perche’ Vancouver ha veramente aspettato da una vita questa occasione e per un problema di sicurezza si e’ vista crollare tutto addosso; sicurezza, per cui tra l’altro i Canadesi sono veramente paranoici ed ossessionati.

Ma lo sport e’ vita ed i giochi, come la vita, vanno avanti…e l’altra faccia della medaglia, quella che i giornali stentano a raccontare, e’ brillante ed ha un disegno bellissimo da mostrare al mondo.

Ora la citta’ mi aspetta ma tornero’ a raccontare altre curiosita’.

Ecosostenibilità

Rileggo con un sorriso stretto tra i denti due notizie che hanno recentemente scosso l’opinione pubblica varesina.

La prima, quella forse più seria, è il problema dell’inquinamento. L’aria diventa di anno in anno più irrespirabile. Malpensa e un traffico sempre più frenetico e caotico stanno rubando ossigeno ai miei concittadini.
In alcune città propongono blocchi del traffico dall’impatto mediatico altissimo e ambientale pari a zero.

Ma, purtroppo, gli anni passano e nuove linee ferroviarie non se ne vedono. I mezzi pubblici continuano la loro politica del “solo linee diurne”, non capendo che fornire il servizio notturno non significa solo meno patenti ritirate e meno incidenti, ma anche un incentivo a vivere senza auto.
E chissà, se solo a Varese si avesse il coraggio di provarci, si scoprirebbe che si vive anche meglio.
Non parliamo poi di piste ciclabili.

La seconda notizia che mi ha allietato una fredda giornata berlinese è stata l’alzata di forche contro i manifesti pubblicitari di un night club ticinese. Uno di quelli in cui i nostri amici, fratelli e padri varesini pagano per fare sesso, tanto per intenderci.
Si alzano i tappeti e si nasconde sotto la polvere.

A Berlino invece la prostituzione è legale e regolamentata.
Questo, in una società tollerante e intelligente, provoca meno sfruttamento e tasse regolarmente pagate in base ai propri guadagni.
E a dimostrazione di come l’anti-proibizionismo paghi, leggo qui che le prostitute effettuano sconti del 5% per tutti quei clienti che si presentino con le chiavi del lucchetto del catenaccio in mano o, con l’abbonamento o il biglietto del bus.
Una specie di incentivo ambientale. Da città moderna.

La città che potrebbe essere Varese se solo, tra un ingorgo e l’altro, si iniziasse a pensare al futuro invece di chiudersi sempre nel proprio passato.

Una brave riflessione sulla mia fuga dall’Italia

Gli ultimi giorni della mia vita li ho passati svegliandomi in un letto che non è mio, in una stanza che condivido con un ragazzo che è nella mia stessa situazione labile, fragile e precaria e in una città che dista più di mille chilometri da casa.
Una città in cui si parla una lingua ostile ed avversa, una città perennemente coperta da uno strato di ghiaccio odioso e invincibile e una città in cui le persone che conosco si contano sulle dita di una mano.

Ogni singolo giorno mi sveglio e guardandomi allo specchio mi chiedo cosa ci faccia qui. Cosa stia cercando.
Cosa mai potrei trovare di meglio a Berlino rispetto al piccolo paese da cui provengo.
Perchè abbia dovuto lasciare tutto per sentirmi felice con me stesso.

Poi, in un momento di nostalgia, decido di dare un’occhiata al sito di VareseNews per scoprire cosa stia succedendo a casa.
E proprio su questo sito così familiare leggo che un ragazzo che personalmente non conosco, ma la cui fama lo precede, oltre ad avere un lavoro pagato dodici-e-dico-dodici mila euro al mese, adesso sarà anche candidato per non so quale elezione in non so quale circoscrizione.
Con la strada bella spianata verso un futuro già scritto.

Ed è proprio per questo che, esule dall’Italia, ogni mattina mi sveglio felice.
Sapendo che il letto in cui dormo non sarà mai mio, ma nessuno me lo ruberà solo perchè figlio del politico di turno.

“Paris ou l’enfer des transports”… Oddio che risate…

Premetto: ho fatto il pendolare Varese (poi Malnate) – Milano per 11 anni (fra università, dottorato e lavoro) e ho avuto la (s)ventura di studiare e lavorare in Bicocca, una zona scomoda da raggiungere da Varese, quindi ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire prendere treni e mezzi di trasporto in comune in Lombardia…

Ora sono felicissimo perché per andare al lavoro prendo il mio bellissimo tram (il T3): nuovo fiammante, mai troppo pieno (ne passa uno ogni 3 minuti all’ora di punta), sfreccia su binari appena celati da un curato tappeto erboso, tutti i semafori diventano verdi (per lui) al suo passaggio e in 20-30 minuti arrivo al lavoro. Che bello, finalmente ho potuto dimenticare il mio pendolarismo sulle Nord. Ovviamente, quando leggo articoli come quelli apparsi recentemente (su Castellanza o su come tutto funzioni meglio ora), i (brutti) ricordi da pendolare si mescolano con la speranza che qualcosa, almeno lentamente, stia cambiano in meglio.

Fin qui niente che sia degno di nota.

Stasera però mi metto a leggere le notizie su Le Monde e cosa ti trovo? Un meravigliosa (per me) collezione di lettere di pendolari parigini e franciliens (cioè abitanti della regione di Parigi, l’Ile de France) DISPERATI! Oddio che ridere… Chissà se si facessero un giro sui treni fra Varese e Milano cosa ne uscirebbe! Per chi non lo sapesse, bisogna prima di tutto dire un paio di cose: la città di Parigi propriamente detta (senza quindi l’enorme periferia che la contorna) ha una superficie che è la metà di quella del comune di Milano ma è servita da 14 linee di metropolitana (ripeto: QUATTORDICI, contro le TRE linee attuali di Milano) e da 5 (CINQUE) linee di RER, corrispondenti come idea al passante  ferroviario (UNO) di Milano. La linea 14, la + recente, inaugurata negli anni ’90, è completamente automatica (viaggia senza conducente). Con il treno si possono raggiungere entrambi gli aeroporti di Parigi (un treno ogni 1/4 d’ora) e con lo stesso treno in teoria puoi andare da uno all’altro (come fare Malpensa-Linate senza cambiare mai treno). Per un milanese o un pendolare pura fantascienza… Eppure non sono contenti!

Oggi avevo letto da qualche parte (dove?) che il modello di riferimento per i trasporti della Lombardia dovrebbe essere l’Ile de France. Beh, non ditelo ai franciliens. L’offerta di mezzi è enorme, qui veramente non si sente il bisogno di avere un’auto, ma gli scioperi sono tutt’altro che rari e l’affollamento notevole. E loro decisamente inferociti. Vi riporto alcune frasi fra le più spassose (per me almeno), prese da alcune lettere scritte da pendolari, tradotte al meglio delle mie possibilità. Eccole:

“Dopo 3 anni di questa vita, osservo una sorta di violenza che si inserisce insidiosamente nella vita quotidiana: ognuno procede diritto davanti a sè e non si ferma mai per far passare gli altri, una strategia per salire su un RER già pieno, sul punto di esplodere (bisogna spesso lasciarne passare diversi prima di poter salire); inciviltà, volontaria o involontaria, delle persone che si ritengono prioritarie per salire a bordo (spintoni e piedi pestati senza alcuna scusante). A bordo, il trasporto si avvicina più al trasporto di animali che a quello di esseri umani. Dopo un po’ di tempo, si comincia a fare come gli altri senza nemmeno rendersene conto, dato che bisogna pur arrivare in ufficio”

“Che nessuno pensi di impedirmi di salire o gli faccio la festa… Questo è un esempio dei miei pensieri mentre attendo il mio treno. Questa situazione tesa, indotta da questi trasporti sottodimensionati, può facilmente incendiarsi”

“Ma la sera è orrendo. Fra i fastidi più grandi: l’affollamento ovviamente, l’uso incontrollato di telefoni cellulari, l’assenza della conoscenza delle regole d’utilizzo nel metro da parte dei turisti (frequenti sulla mia linea), i sedili troppo piccoli e totalmente inadatti e semplicemente la difficoltà di salire sui vagoni in certe stazioni a taluni orari, che obbliga a fare lunghe deviazioni: risultato, parto dal lavoro ancora in forma, arrivo a casa fisicamente e psicologicamente esausta”

“Ora il treno è già ben stipato, quindi si assiste a delle scene che scatenerebbero una sommosa nei paesi del terzo mondo. E in quei casi nessuna pietà, sia che siate una donna incinta di 5 mesi o una persona anziana! Nessuna pietà, venite schiacciati e spinti. E non vi racconto gli odori, i tentativi di palpeggiamento o di furto… ”

Un quadro sconfortante. Almeno in parte posso confermarlo, dato che ho visto con i miei occhi la ressa dell’ora di punta sull’RER.

Per fortuna io prendo il T3…

Un saluto a tutti i miei amici che fanno i pendolari fra Malnate e Milano!

ZP (Zapatero Pinocchio), la meteora.

Venerdí scorso ho iniziato a scrivere un articolo per questo blog sulla terribile situazione economica in Spagna. Dopo quasi 2 pagine di delusioni, promesse non mantenute e orizzonti neri, resomi conto di non essere neanche a metá, ho lasciato perdere.

Casualitá, ieri su Repubblica è uscito un articolo che, se avessi pubblicato il mio, mi avrebbe fatto gridare al plagio:

http://www.repubblica.it/economia/2010/02/08/news/spagna_zapatero_rampoldi-2223443/

Qui trovate perfettamente spiegate le ragioni che hanno portato la Spagna dall’essere il paese con la piú alta crescita negli ultimi anni, a diventare il materasso della zona euro, con annesse minacce quotidiane di esilio dalla moneta unica da parte di Trichet, disoccupazione ormai al 20% (secondo solo alla Lettonia) e soprattutto la previsione di rimanere in recessione per tutto il 2010 (unico paesi dei “grandi”).

La delusione che la Spagna, l’ Europa, e includerei anche gli States, provano nei confronti di Zapatero é enorme. Visto come il portatore di un modello di politiche sociali innovative, sostenibili, e di una open mindness rivoluzionario soprattutto nella Spagna post-Aznar, ZP é poco a poco naufragato sotto i colpi della doppia crisi (globale e locale) che ha attanagliato il paese. Promesse non mantenute, cecitá di fronte a una realtá che andava analizzata e affrontata con piú forza, misure populiste e a breve termine, nessun cambio strutturale a una economia che ha ampiamente dimostrato la sua fragilitá. Le aziende spagnole non possono investire nel loro paese e quelle straniere sono spaventate dalla mancanza di segnali di ripresa. Come conseguenza politica immediata, il Partido Popular di Rajoy (successore di Aznar) é 6 punti avanti nei sondaggi, e solo le sue lotte interne e gli scandali per corruzione gli impediscono di essere già lontano nelle percentuali.  Meglio fermarsi qui, o finirei riscrivendo le 2 pagine di venerdí scorso.

La delusione é soprattutto per i molti stranieri che avevano creduto nel progetto ZP-Spagna e hanno a un certo punto della loro vita preso la decisione di parteciparvi. L’immigrazione é sempre stata una ricchezza in tutto il paese, e in nessuna regione lo era stato come in Catalunya. Ora, mestamente, osserviamo al ritorno nei loro paesi di origine per quelli che non ce la fanno piú, e alla fuga di quelli che vedono in molti altri paesi la possibilitá di una tranquillitá e realizzazione professionale che qui, oggi, non c’é piú. Il vostro blogtrotter, sí, ci sta pensando seriamente anche lui.

Molti italiani, paragonando la situazione spagnola con quella del belpaese, mi dicono: “meglio l’incapacitá della malafede”,

Giá. Non una grande consolazione.

ZP: Zapatero Pinocchio

ZP: Zapatero Pinocchio

The final countdown

Eccoci finalmente…nemmeno una settimana e la cerimonia di apertura avra’ inizio.

La citta’ e’ come una sposa sull’orlo di una crisi di nervi prima del suo “grasso grosso” matrimonio e la gente non ci sta letteralmente piu’ dentro. Ormai sono arrivati tutti: atleti da tutto il mondo, stampa, volontari con le loro divise azzurre, turisti e sportivi, forze armate e giubbe rosse, navi da crociera che sovrastano il porto…persino Michael Buble’ e Brian Reynolds, per l’occasione, sono tornati a casa.

Ma la neve? Dov’e’ la neve? La stanno tutti aspettando ma lei ancora non da’ alcun accenno….e adesso, come si fa? Il mondo si interroga, i Vancouverites si preoccupano e si lamentano, come sempre, del tempo atmosferico avverso.

Tutta colpa della legge di Murphy; lo scorso anno c’era un freddo pazzesco e a quest’ora le piste cittadine di Cypress e Grouse erano ricoperte di “fresh powder” mentre quest’anno si e’ registrato il Gennaio piu’ caldo del secolo.

Ma i Canadesi continuano la loro corsa contro il tempo mentre l’orologio di Robson Square continua il suo count-down.

Robson Square, Olympic Clock

Ieri sera ho fatto un giro in centro e mi sembrava di essere in un’altra citta’…le luci di Natale sono state lasciate ovunque per addobbarla a festa, si sente musica in ogni angolo, ma soprattutto c’e’ un brulicare di gente a cui non sono piu’ abituata. Si perche’ quando sono arrivata qui due anni fa, avevo sempre l’impressione che ci fosse poca gente per le strade; una cosa che ho imparato infatti e’ che la definizione di spazio personale tra il Canada e l’Italia varia di molto e certamente il Canadese medio ha il doppio dello spazio personale di un Italiano.  Sembra ovvio, ma all’inizio questo ti disorienta, poi ti abitui e la confusione ti da’ quasi fastidio.

Ma ora e’ una confusione diversa e le strade sono piene di luci, di colori, di fotografie di atleti, di bandiere del Canada e di altri paesi del mondo; ovunque si legge “Welcome to the world” e l’aria che si repira e’ di adrenalina pura e di speranza che questo evento sia ricordato dal resto del mondo.

Vancouver viene subito dopo i giochi olimpici della Cina e la competizione e’ alta…tutti scommettono che la spettacolarita’ dell’evento di apertura messo a punto dai Cinesi non possa essere ricreato e che i Canadesi partano gia’ svantaggiati. Ma la competizione fa parte del gioco ed esserci, qui ed ora, ha un sapore esilarante,  piu’ intenso della vittoria.

-5, -4, -3, -2, -1…ready, set, GO!

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Eccomi qui

Lunedì 1 febbraio 2010.

Sveglia alle 6:00, check-in a Milano Malpensa alle 7:15 e imbarco in direzione Berlino.
Si atterra e sembra di essere in Siberia. Ghiaccio e neve ovunque.
Una spesa veloce.
Distrutto dai festeggiamenti per la partenza “in cerca di fortuna” crollo sul divano alle 11:00 di sera.

Martedì 2 febbraio

Primo giorno passato.
Abito con altri due ragazzi italiani in un appartamentino su due piani.
Uno dei miei coinquilini ha un cane. Un incrocio tra un pitbull e un dalmata. Il cane è australiano, quindi  gli si parla in inglese.
Esco a prendere una sim tedesca sperando che funzioni tutto.
Anche perchè le istruzioni, per me, sono illeggibili.
Passeggio un paio d’ore e le poche persone che si vedono in strada sono irriconoscibili. Sciarpe, baveri e cappelli a nascondere etnie, colori, origini.
Entro in un bar e ordino un Chai Latte. Chai Tea con miele, cannella e latte. Buonissimo.
Il wireless è gratuito praticamente ovunque.
La sera White Trash Fast Food. Concerto garage e birre.
Tornando a casa parte una guerra a palle di neve.
La cerniera della mia unica giacca cede.

Mercoledì 3 febbraio

Sfido le intemperie e aspetto che delle simpatiche donnine thailandesi mi riparino la giacca.
Capirci non è stato facile. Un loro conoscente al telefono ci faceva da interprete.
Per ora ho uno strato di maglioni e felpe.
Sopravviverò.

Credo che mi piacerà stare a Berlino.
Sono uno di quegli ex-studenti da 110e lode che della laurea non se ne fanno nulla.
Ma mi piace scoprire cose nuove. Andare all’avventura.
Dopo tanto tempo negli Stati Uniti e troppo tempo in provincia di Varese, eccomi a cercare fortuna in Germania.
Come i migranti di una volta.

Solo che pensare a stessi come dei migranti quando c’è EasyJet è veramente difficile.

Berlin, Rykestraße.

Questo è l’Erasmus

A proposito dell’ultimo e assai recente post, oggi sulla rete incontro un filmato spagnolo a dir poco esplicativo di quella che in potenza potrebbe essere la vita Erasmus e che sicuramente rispecchia quella che è l’idea che tutti gli studenti hanno dell’Erasmus, o per lo meno quelli che non ci sono mai stati e che vedono gli altri partire.

Inutile dire che quando dico ad amici e colleghi di facoltà che io, studente Erasmus, sto studiando, la reazione sia: “Studi?! Sei l’unica persona che và in Erasmus e che studia! vai a divertirti!”. La mia risposta è che non si preoccupino, ci si diverte già abbastanza e che un pò di tempo per lo studio è meglio riservarlo, anche perchè penso che lo stesso divertimento fatto esclusivamente di uscite e di feste se sovrasfruttato diventi monotono.

Comunque ecco il video: parla della fornitura e della preparazione necessaria per tutti gli studenti che si apprestano a partire per l’Erasmus, ovviamente in chiave comica, ma non troppo. Non ne ho rintracciato la fonte ed è in spagnolo quindi si addice perfettamente alla mia situazione. Evidentemente gli spagnoli conoscono più di altri questa situazione, visto il numero impressionante di studenti che tutti gli anni invadono la Spagna conoscendone la movida. Penso che si possa intendere per la maggior parte. Lascio solo un suggerimento: “borracho” significa ubriaco.

http://www.youtube.com/watch?v=hg0wb1VFKOA

Chiuso in casa

Ebbene sì. Anche qui ce l’ho fatta a chiudermi in casa per qualche settimana per recuperare il tempo passato e perduto in vista degli esami, alcuni già affrontati, altri che si avvicinano. L’unica variante, o se si vuole l’unico svago, alle mura dell’appartamento per qualche giorno è stata l’affollata biblioteca della facoltà.

Così da qualche settimana son state poche le occasioni di vivere la vita di Malaga: giusto per accorgemi che le vie del centro sono meno affollate del solito, sarà il “freddo” o il periodo di esami; che in qualche periodo dell’anno nel Guadalmedina, il fiume che passa per la città, si può vedere l’acqua scorrere, così raro che non a  caso viene chiamato “rio seco”; o essere sorpreso da una pioggia fitta, chiedere un passaggio verso casa ad una signora e ascoltarla lamentarsi per tutto il tragitto del clima e del freddo, mentre i vetri si appannano senza che lei riesca ad impedirlo: “es una locura!”. “E’ un’assurdità, con questa pioggia e questo freddo non si può lavorare!”  dice lei. Fuori intanto 15 gradi.

Quindi mentre fuori la vita continua è arrivato finalmente anche il tempo di piegare la testa sui libri. Perchè l’Erasmus fortunatamente e giustamente non è una vacanza. E’ o quanto meno può essere un esperienza fantastica, sicuramente importante per la propria crescita e per confrontarsi con sè stessi, comunque vada. Si può decidere di condurla in modi diversi: spesso da queste parti può tentare la cultura del “No pasa nada, estoy en Erasmus”. Che fondamentalmente significa: non fa niente, non importa, sono in Erasmus e mi godo la vita, quella più facile diciamo. Il rischio in effetti c’è: tanti ragazzi da tutto il mondo, tante occasioni di divertimento, tante feste a casa di persone che non hai mai visto prima. O qualche distrazione spiritualmente più alta: tante cose nuove da scoprire e conoscere, vivendo una vita e un paese che non è il tuo. Così alla fine la vittima può essere quello per cui teoricamente sei partito: lo studio.

Ora io non mi metto tra gli studenti modello, anzi ne sono ben lontano. Diciamo che tiro a campare, vado avanti senza troppa gloria, ma vado avanti, E così anche qui: di certo non sono finanziato nè dall’Unione Europea nè dall’Università Insubria e ancor meno dai miei genitori per fare un anno di vacanza. Pertanto cerco di fare il mio dovere e di non allungare  quella che è la già  lunga carriera  dello studente di medicina.

Ciò nonostante penso ancor più di quello che già faccio normalmente: come sarebbe meglio impiegare il mio tempo? Domanda che non avrà mai risposta lo so, suppongo non esista. Ma quello che intendo è in questo caso: ho la fortuna di trovarmi in un paese  che non è il mio, di conoscere molte persone con le loro storie tutte diverse, di vedere paesaggi mai visti, di vivere atmosfere, situazioni e culture sconosciute. E’ mio dovere, oltre a quello vero che è lo studio, sfruttare questa occasione? Di certo penso vorrebbe dire sprecarla se mantenessi tutte le stesse abitudini che ho a casa. Da un lato si può pensare: non importa se ci metto un anno di più a finire l’università, avrò molto tempo da dedicare al lavoro, sfruttiamo quest’occasione che non mi capiterà più. Dall’altra: sono fortunato, non ho avuto bisogno di lavorare grazie alle condizioni di benessere in cui vivo e che qualcuno attraverso sacrifici mi ha dato, giusto è che io ripaghi adempiendo all’unico dovere che ho senza perdere tempo e mi renda utile anch’io in questo mondo.

In questi mesi ho visto studenti Erasmus che hanno deciso deliberatamente di vivere quest’anno a Malaga come un anno di vita extrascolastica, chiamiamola così, mentre altri chiusi in casa o perennemente in biblioteca ligi al proprio dovere di studente.

Forse la soluzione sta nel mezzo, come spesso accade. Le due cose, con un minimo di intelligenza e con qualche rinuncia, possono coesistere. Nel frattempo sacrifico ancora per qualche giorno il caffè per le vie del centro con gli amici per rimanere sugli amati libri, facendo qualche passo verso il mio futuro, si suppone, di medico.