L’arrivo in questa nuova realtà è stato a dir poco travolgente. Le prime cose che ho notato, e inizialmente sentito come estranee sono le dimensioni impressionanti di Londra e l’apparente inesistenza di un “centro”. Apparente perché in effetti, a parte il “centro turistico” di Westminster & co, ci sono decine, se non centinaia di “centro-città” a sé stanti, con identità e atmosfere differenti.
Io vivo in Bow, nell’East End, zona storicamente piuttosto povera, che adesso sta (lentamente) risalendo il mercato grazie alle recenti olimpiadi e ad una serie di discutibili manovre di riqualificazione edilizia e sociale portate avanti a partire dagli anni ’70-’80 dalla famigerata Lady di Ferro. Questa zona è uno dei centri più spiccatamente multiculturali di Londra: procedendo a est della City i vari Starbucks, Subway, Costa, Café Nero etc. lasciano gradualmente posto a negozietti di pietanze indiane, arabe, pakistane. Passando per l’immenso mercato di strada di Whitechapel Road e di fronte alla Moschea di East London si attraversa una delle zone meno battute da turisti, che è ricchissima di gallerie d’arte e chicche di ogni genere nascoste nelle vie più piccole.
Per farvi un esempio venerdì sera io e il coinquilino britannico non avevamo voglia di arrivare alle zone di vita notturna e siamo scesi sotto casa per passare la serata al café Muxima che di tanto in tanto organizza piccoli concerti ed esposizioni. L’atmosfera al nostro arrivo è estremamente rilassata, il locale, accogliente e abbastanza piccolo è popolato da una trentina di persone, che sorseggiando cocktails, birre e vino, chiacchierando tra loro. L’ambiente è ricavato da uno dei pochissimi spazi industriali rimasti intatti nella zona e alle pareti grezze dipinte di bianco sono appesi pupazzetti, specchi un po’ rovinati e mensole ricavate da bancali. Anche il Bar è un bancale riassemblato. Una serie di divani, poltrone e tavolini visibilmente rimediati qua e là formano dei piccoli salotti negli angoli.
Prima che gli Eclectiv inizino la loro esibizione scambio quattro chiacchiere con Lewis, che scopro poi essere la supporting act. Purtroppo sono arrivato tardi e ha già suonato, ma suonerà di nuovo in giro per Londra, e mi riprometto di andarla a sentire quanto prima.
Ma torniamo agli Eclectiv: sono in cinque (voce, chitarra, batteria, viola, clarinetto alternato a pianoforte). Spaziano dal jazz, al folk, con qualche nota di bossa. Il risultato è piuttosto interessante, e, nonostante l’impianto audio da brividi e qualche momento di sconcerto dovuto alla scomparsa alternata di suoni (sempre dovuta all’impianto agghiacciante), la musica è godibile e avvolgente. La voce morbida e ricca è perfetta per accompagnarsi ai fraseggi pungenti del clarinetto. Una peculiarità molto interessante è l’uso della viola, che in più di un brano è pizzicata e svolge la funzione del basso andando ad accompagnare le melodie. Spesso in situazioni derivate dal folk gli archi fanno la parte del leone aggiudicandosi parti soliste: in questo caso non è così e il risultato è ottimo.
Un altro elemento estremamente gradevole degli Eclectiv è l’intesa visibile, la scioltezza che mostrano nel rapporto con il pubblico: non c’è nulla di sopra le righe e allo stesso tempo non c’è la minima traccia di imbarazzo. Anche quando l’impianto audio fa del suo peggio scherzano, sorridono, e trovano un modo per farsi sentire.
Alla fine dell’esibizione riprende il chiacchiericcio, e in una delle zone con meno cose da fare di Londra si aspetta il DJ Set di chiusura, sorseggiando birra e parlando con le persone attorno. Niente male.
[Una serata degli Eclectiv al Café Muxima, video]