Penitenziario

Un pomeriggio, terminato il giro nei centri per fare le ultime foto, mi è stato proposto di andare nel carcere di Manakara per dar da mangiare ai detenuti.

Ho accettato…

Premetto che ovviamente non mi è stato possibile documentare nulla di questo con foto.

La struttura è davvero piccola, divisa in 5 stanze di diverse dimensioni in cui sono stipati circa 300 uomini (tra cui anche un vahaza francese).

All’ interno delle stanze non ci sono letti, cuscini o coperte, ma chi ne ha una, possiede una stuoia di paglia su cui dormire. Su di esse, durante il giorno, si “organizza” una specie di mercato interno al penitenziario in cui si vendono sigarette, carne e pesce essiccati e qualche vestito.

La vita lì dentro deve essere davvero dura, anche perché lo stato non si preoccupa di fornire viveri e medicinali (questo viene fatto dai diversi centri delle suore), ma non si preoccupa neppure di dare un processo ai prigionieri e quindi, come in una buona storia kafkiana, molti di questi uomini passano anni della loro vita, senza colpe, chiusi in 50 m², mangiando (quando c’è) un tozzo di pane e 2 banane.

Ovviamente per questo non esiste una mensa con tavoli e panche, ma tutti i detenuti si mettono accovacciati in fila in cortile in attesa del loro rancio.

Negli ultimi anni l’associazione ha messo a disposizione dei fondi per portare avanti alcuni processi e il risultato è stato che su 100 persone, 85 sono uscite di prigione perché innocenti o perché avevano già scontato più della loro condanna.

In tutto questo però devo dire che negli occhi dei detenuti non ho visto disperazione rabbia o cattiveria ma, appunto come nel processo di Kafka, una serena rassegnazione al loro destino…

Sarà un bene o un male???