Crocifisso

Le porte della chiesa aprono alle 11.45. Mezz’ora dopo c’è la messa, come tutti i giorni dal lunedì al venerdì. Una quindicina di persone ci viene tutti i giorni della settimana (ben di più quelle della domenica). Sono anziane signore, per la maggior parte. Capelli grigi o bianchi raccolti, in mano un sacchetto della spesa. Ma non è un sacchetto di Esselunga o di Gs, è un sacchetto di Tesco o Sainsbury, Perché qui siamo a Clerkenwell Road, alla St Peter Church, quella degli italiani nel cuore di Londra. Sui volti di questo gruppetto di fedeli instancabili ci sono decenni di vita da immigrati nella capitale inglese, l’immigrazione di una volta che tiene salde però le sue piccole tradizioni del cuore. Il prete celebra la messa in italiano, le letture sono spesso recitate anche in inglese, la lingua madre del sacerdote che dà una mano al vulcanico padre Carmelo. Mezz’ora di preghiere, in una navata che per architettura e arredamento dà l’idea di essere in qualsiasi città – piccola o grande – del Bel Paese e lascia fuori le ansie della città. “Buona giornata”, augura il prete alla fine della messa. “Altrettanto”, rimandano le anziane signore in coro. Il segno della croce, la discesa dei pochi gradini verso la città, ci si sistema il bavero del cappotto agitato dal vento. “Buongiorno”. “Buongiorno”. E ci si torna a disperdere nella metropoli che ha visto nascere nuove vite in una lingua lontana.

Tutti in posa

Covent GardenIl titolo dell’esercizio è: come mettere insieme una comunità italiana a Londra in modo casuale. Non importa che tutti i membri si conoscano o si frequentino. Ciò che conta, per la nostra finalità, è che ci sia una persona che li raccordi e ne possa ipotizzare una foto di gruppo.

C’è la ragazza di Milano che lavora in un lussuoso ristorante del centro, dove ha conosciuto un suo coetaneo di Pescara (un collega), e si sono fidanzati. Se si sposeranno, a quanto ho capito, vogliono tornare in Italia. Sempre da Pescara – ma bazzica tutt’altro giro – è arrivato qui il maestro di tennis. Studia economia in Italia, ha voluto imparare un po’ di inglese prima di laurearsi. Ha trovato lavoro in una catena di fast-food. Alla fine la nostalgia del mare lo ha riportato a casa, ha salutato lo zio che gestisce un ristorante italiano da vent’anni e ha ripreso l’aereo. Dura da più tempo l’avventura di quella ragazza romana che ha lasciato un lavoro sicuro per tentare la strada oltremanica. Vuole frequentare solo inglesi, perché così impara anche l’accento. Quando è arrivata ha trovato subito lavoro in un negozio a Portobello Road. La giovane siciliana, no, è ripartita dopo un mese. Troppo grigia per lei questa Londra. Il tempo non influisce invece sul sorriso contagioso del ragazzo toscano. Pare sia un genio dei numeri (al lavoro). Vive nel Regno Unito da più di cinque anni.

Che dire poi dei varesini? Più passa il tempo e più mi accorgo di quanti sono. C’è quello che da Masnago è venuto a fare uno stage in una grossa società a Finchley Road. Lì ha conosciuto un’altra ragazza di Varese e si sono scoperte amicizie in comune. Via via si sono aggiunte la ragazza di Biella che studia a Milano, dove studia anche la ragazza di Bari. E che dire di quel varesino che sta frequentando la Westminster University per convertire la sua laurea in legge qui, al posto di lavorare nello studio dei genitori? Esce spesso con quell’altro che è a Londra da 7 anni, ormai, scarpe a punta e accento british. A quanto pare (una ragazza lo fa) è facile anche fare avanti e indietro per finire l’università a Milano e lavorare in un grande magazzino vicino ad Harrods.

Tutte le persone in questa foto di gruppo hanno fra i 20 e i 30 anni. Vengono a Londra per cercare qualcosa, a volte non sanno bene che cosa. Fare avanti e indietro con Easyjet o Ryanair spesso costa meno di 50 euro. Tutto sommato si può rischiare. I primi lavori, per arrangiarsi, accomunano tutti. Lavorare nei negozi o nei ristoranti. Va molto il telemarketing: telefoni in Italia e guadagni molto bene. Sono solo alcune storie che ho conosciuto più o meno per caso in undici mesi e che sfuggono alle statistiche. In città come questa sai che sei straniero ma sai anche che tutti gli altri lo sono a loro modo. E il concetto di confine appare uno strumento vecchio.