Lezioni di tolleranza

Lunedì 29 agosto è stato un grande giorno di festa per milioni di persone in tutto il mondo. Era la Korite, la fine del ramadan. Quando cioè è calato il sole è calato anche il sipario sul mese di digiuno e astinenza a cui ogni anno i mussulmani devono sottoporsi.

L’elemento principale del ramadan -e forse anche quello più duro- è il digiuno di liquidi e cibi dalle 5 del mattino fino alle 19.30 circa ma non è la sola prescrizione che caratterizza il mese sacro. Fumare, avere rapporti sessuali, cantare, ballare e altro ancora sono importanti punti che rendono il ramadan un mese decisamente ostico.Ma quest’anno poi, il ramadan è stato più duro del solito. Cadendo in pieno agosto, ha reso ognuna di queste prove ancora più difficile da affrontare. Provate voi a non bere per tutto il giorno sotto il sole africano e poi mi dite 🙂

Ed è interessante notare che, comunque, durante tutto il mese la vita per gli islamici non cambia poi più di tanto, almeno fino al tramonto. Durante il giorno la vita procede come durante il resto dell’anno (si deve pur lavorare) ma quando il sole supera la linea dell’orizzonte, però, scatta l’ “ndogou”. Ora, io pensavo che dopo un giorno intero di digiuno, la prima cosa dopo il tramonto fosse lo sgolarsi una bottiglia d’acqua e strafogarsi con qualche cibo, ma così non è. C’è una grande dignità nell’iniziare a mangiare, quasi a voler dire che il digiuno non è stato poi così pesante. Solitamente, quindi, si inizia con una bevanda calda molto zuccherata per poi crescere. Un panino, uno snack, qualcosa giusto per placare l’inevitabile appetito perchè per la cena, quella vera, c’è ancora molto da aspettare. Il vero e proprio pasto viene consumato a tarda notte. Poi c’è qualche eccezione. Una volta uno dei nostri accompagnatori era così affamato che, appena iniziato l’ndogu, stava mangiando una merendina con tanto di carta.

Comunque, se da un punto di vista pratico per i mussulmani non cambia nulla, per la società cambia molto. Infatti, i tempi e i ritmi della città si piegano alle esigenze dei mussulmani. Per la strada, ad esempio, fino al tramonto è raro vedere uno dei soliti venditori ambulanti di cibo ma anche trovare una baguette al mattino è molto difficile. E’ infatti solo dal tardo pomeriggio che le panetterie iniziano ad infondere il delicato sapore di pane appena sfornato per le strade della città ed è poco prima dell’ndogu che le donne allestiscono i propri banchetti per le strade.

Questo adeguamento dei ritmi è una delle tante prove della grandissima tolleranza inter-religiosa del Senegal. Nel paese, ovviamente, non ci sono solo mussulmani ma anche cristiani e animisti (quest’ultimo diffuso più nelle zone rurali). Tutte e tre le confessioni convivono in maniera assolutamente pacifica. Chiese sorgono accanto a moschee e non c’è alcun problema a confessare pubblicamente la propria fede. Le persone girano per le strade indossando rosari -sia mussulmani che cristiani- e nello stesso gruppo di amici la religione non è in alcun modo un elemento discriminante. Capita così che, nel bel mezzo del ramadan, ti ritrovi al tavolo di un bar con mussulmani e cristiani e, se all’inizio sei un po’ intimorito dall’ordinare una birra, sono gli stessi islamici ad invitarti a farlo. Stesso discorso vale per una bella grigliata di carne di maiale.

Il Senegal offre una lezione di tolleranza da cui il civile occidente dovrebbe prendere esempio. Ancora viva è nella mia mente la campagna elettorale per il comune di Milano giocata molto -forse troppo- sul “rischio Moschea” in città. Mi permetto quindi di lasciarvi con un consiglio: quando discutendo sulla costruzione di moschee nella laica Italia salterà fuori un acuto osservatore con la classica frase «ma a casa loro le chiese non si possono costruire» voi pensate al Senegal e -se avrete voglia- ditelo anche al vostro interlocutore.

Marco