Goree, un’isola che ha fatto la storia

Oggi l’isola di Goree è un paradiso a 20 minuti di nave da Dakar. Una piccola isola con case basse e colorate, una vegetazione rigogliosa, spiagge bianchissime e un fresco vento oceanico. Ma se questo paradiso, riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità è così famoso, lo deve a ben meno nobili motivi. Goree è l’isola da cui per 300 anni sono partiti gli schiavi neri per le americhe. E anche le bellissime case in stile portoghese che riempiono l’isola, nelle quali oggi si può soggiornare a prezzi stracciati, hanno una storia molto antica. Sono sorte con l’arrivo dei primi mercanti di schiavi e sono state l’ultimo scorcio di Africa per milioni di uomini, donne e bambini.

Erano ben 38 le case sull’isola che servivano ai mercanti per contrattare i prezzi. Sono tutte simili. Dietro ad un grosso portone di legno si apre un piccolo cortile con un edificio a due piani. Il piano inferiore era destinato ai futuri schiavi che erano stipati a dozzine in camere quadrate di 1,60 metri per lato. Le famiglie venivano separate non appena varcavano quei portoni: uomini con uomini, donne con donne, bambini con bambini e difficilmente si rivedevano. Gli schiavi venivano fatti uscire una sola volta al giorno per sgranchirsi le gambe e per andare in bagno; il resto del tempo lo passavano in piedi, appoggiati gli uni contro gli altri. Di fianco a questi veri e propri loculi, ci sono altri tipi di stanze. Ci sono le stanze dove gli schiavi venivano pesati, camere destinate alle persone che non si rassegnavano al loro destino, quelle per chi era troppo magro e aveva bisogno di ingrassare e infine locali destinati  alle vergini. Proprio per queste ultime, il destino era ancora peggiore di tutti gli altri schiavi. Puntualmente, i mercanti della casa scendevano e sceglievano una ragazza da stuprare al piano superiore, dove erano presenti le loro stanze. “come facevano a vivere lassù sapendo quello che succedeva qui sotto” si è chiesto uno dei ragazzi di Dakar che ci ha accompagnato in questo giro e, da toubab, non puoi far altro che vergognarti per ciò che è stato fatto in passato.

Ma se fa impressione girare per queste stanze, manca proprio il fiato quando si arriva in fondo alla casa. In fondo ad un lungo e buio corridoio, infatti, una piccola porticina si apre sull’oceano e, attraverso un pontile di legno, conduceva alle navi  sarebbero approdate in America. Ed è proprio quel posto, in cui oggi dozzine di turisti si ammassano per farsi cinicamente fotografare, a costituire l’ultimo pezzo di suolo africano per milioni di uomini strappati alle loro terre, alle loro famiglie, alle loro vite.

Ma il trauma della tratta degli schiavi non viene quasi mai compreso in tutta la sua tragicità. Per secoli, infatti, mercanti europei senza scrupoli hanno selezionato solo gli uomini e le donne “migliori” tra tutti i villaggi. L’intero continente è stato privato per lunghissimo tempo delle sue braccia più forti impedendo, di fatto, uno sviluppo serio e continuativo. Ci sono oggi numerose teorie antropologiche che imputano i problemi del continente proprio al fatto di averlo saccheggiato per lungo tempo delle sue personalità migliori.

E i moderni flussi migratori non pongono forse la stessa questione in altri termini?