Viaggiando lungo le strade del Senegal stupisce la quasi totale assenza di fabbriche. Tra tutti gli spostamenti che ho fatto ho visto solo due industrie di grosse dimensioni: un cementificio avvolto da una asfissiante polvere a pochi chilometri da Dakar e un’industria chimica alle porte di Mboro che, tra l’altro, risulta essere la fabbrica più grande di tutta l’africa occidentale. Con due sole industrie nel raggio di circa 200 km, su cosa si regge l’economia? Pesca e turismo, questa è la risposta. Capite bene che un sistema economico di questo tipo è molto fragile. In primo luogo la pesca –di cui molto arriva in occidente- per ovvie ragioni si puo’ praticare solo lungo le coste atlantiche mentre i turisti si concentrano a sud dello Stato, nella bellissima regione della Casamance (sotto il Gambia) che è oggetto di moti secessionisti. Ma anche volendo, investire in industrie in Senegal è molto difficile.
Infatti, il più grande problema che affligge il paese riguarda l’energia elettrica. Di norma, i black out spengono quartieri o città intere circa 1 o 2 volte al giorno. Capita cosi’ di camminare per le strade e imbattersi in falegnami, fabbri, sarti, artigiani con le mani in mano, stesi su tappeti nell’attesa del ritorno della tensione per far funzionare i macchinari. Sono pochi gli esercizi commerciali o le persone in possesso di un gruppo elettrogeno che è colonna sonora -e segnale- dell’arrivo dello stop. Ma i disagi non si fermano certo qui. Pensate ad un commerciante i cui frigoriferi si spengono a ripetizione durante la giornata per un tempo imprecisato, che fa dei suoi prodotti? Li butta tutte le volte?
La causa dei black out è un mistero. La versione ufficiale della società che gestisce la rete elettrica di Dakar è che, a causa di infrastrutture troppo vecchie per le esigenze della città, quando l’energia richiesta dalle utenze é troppa, la rete non sarebbe in grado di distribuirla e quindi si blocca tutto il sistema per evitare il collasso della rete. Molti cittadini invece accusano il governo. Dicono che i soldi per comprare il petrolio per far funzionare le centrali “sparisce” misteriosamente e quindi bisogna razionare quello che c’è. Qualunque sia il motivo, lo sperco di energia in tutta la città è comunque evidente. Ad esempio, mentre scrivo (sono le 6 del pomeriggio qui e il sole è ancora alto sull’orizzonte) i lampioni nella strada davanti all’ufficio sono accesi per non si sa quale ragione.
Ma anche quando la corrente c’è, ci possono essere altri problemi altrettanto seri. Infatti, non sempre dalle prese elettriche “sgorga” corrente a 220 V ma il voltaggio puo’ ondeggiare senza preavviso. Questo causa enormi danni agli apparecchi elettrici che non sono dotati di speciali protezioni che qui in Senegal rimangono piuttosto costose.
Tuttavia, chi investe nel paese c’é. I cinesi, ad esempio, stanno spendendo moltissimo per infrastrutturare il paese ma la strada é ancora lunga e il lavoro da fare ancora molto. . In ogni caso è difficile pensare ad un serio sviluppo industriale con l’energia elettrica che funziona a singhiozzo.
In questo contesto si inserisce anche uno dei progetti che CESES ha in Senegal. Si tratta di dotare il liceo Limamoulaye di una copertura con pannelli fotovoltaici per garantire al luogo pubblico di continuare a funzionare normalmente anche quando la corrente non vuole arrivare. Ad oggi, pero’, il progetto pare essersi arenato. Il milione e mezzo stanziato dal ministero degli affari esteri Italiano rimarrà congelato fino a quando il governo senegalese non farà partire la ristrutturazione dell’intera scuola. Questo vincolo non è poi cosi’ stringente se si pensa che i soldi per i lavori di ristrutturazione sono già stati trovati ma sono inutilizzati per via di un rimpallo burocratico tra i vari ministeri. E se la situazione non si sbloccherà entro fine anno, tutto il progetto rischia di saltare.