Dakar é una città di quasi 3 milioni di abitanti (stando ai dati ufficiali) e, dopo un mese di permanenza, penso di aver capito abbastanza bene cosa facciano i suoi abitanti durante la giornata.
Partiamo dai più piccoli. I bambini che vanno a scuola non sono molti per una complessa serie di motivi. Qui, infatti, le famiglie sono estremamente numerose e mandare tutta la prole a scuola getterebbe sul lastrico moltissimi nuclei familiari. E cosi’, specialmente in quelle con minori disponibilità economiche, si fanno delle scelte. In questa triste “competizione” tra fratelli, inutile dirlo, le donne partono estremamente svantaggiate. Ma camminando per le strade, capita di incontrare molti bambini che chiedono l’elemosina. Devo ammettere che è difficile dire no a quegli occhioni dolci che ti fissano imperturbabili, a quei visi scavati e a quelle mani magrissime ma, pensando razionalmente, i soldi che darei loro non finirebbero mai nelle loro tasche. Infatti, la maggioranza dei bambini per le strade di Dakar sono alunni delle scuole coraniche. In queste scuole i bambini vengono affidati dalle loro famiglie ad un Marabut che dovrebbe occuparsi della loro educazione e provvedere al loro mantenimento ma non sempre i Marabut sono animati da filantropici sentimenti e i bambini per le strade a chiedere l’elemosina ne sono una prova. Ovviamente, non é possibile generalizzare: non tutte le scuole coraniche funzionano in questo modo, sia chiaro.
Con l’aumentare dell’età, i destini dei ragazzi si differenziano ancora di più.
Sono pochi igiovani che proseguono gli studi e moltidi questi lo fanno grazie anche a borse di studio. Un giorno, mentre andavo in centro Dakar in taxi, una folla di ragazzi ostruiva la strada. Erano proprio i giovani studenti in coda davanti alla sede principale di una banca che quel giorno assegnava le borse di studio per il prossimo anno accademico. Ma i ragazzi che studiano sono una percentuale molto piccola tra i giovani. La gran parte non va a scuola ma inizia a trovarsi lavoretti in botteghe artigianali: falegnamerie, sartorie, panifici e cosi’ via. Molti altri, invece, si occupano di “trasporto merci”. I carretti trainati da cavalli, infatti, hanno conducenti che difficilmente superano i 25 anni. Anche in questo caso, la strada per le donne è un po’ più complicata. Le giovani donne si occupano principalmente delle faccende di casa e la loro educazione viene piuttosto tralasciata.
Passiamo quindi ai genitori. Se chiedi ad un ragazzo delle banlieue che lavoro faccia il padre o la madre, c’é un’altissima probabilità che ti risponda che non lo sa. Non é un qualcosa che deve stupire; qui i lavoratori che noi chiameremmo a “tempo indeterminato” sono molto pochi e la maggior parte delle persone vive arrangiandosi e inventandosi lavori. Ad esempio, sulle strade di scorrimento di Dakar –che in realtà sono sempre un lungo serpentone di auto in colonna- sono dozzine gli uomini e le donne che vendono qualunque tipo di merce. Si va dai pacchetti di anacardi fino ai giornali passando per accessori per cellulare, cd, ricariche telefoniche, cibo, bevande e cosi’ via. Riuscire a vendere qualcosa è un’impresa e non ho idea di quanti soldi queste persone riescano a portare a casa la sera (pochi, questo è certo). Oltre a questa grossa categoria, ci sono quelli che un lavoro più o meno stabile lo hanno. Ad esempio i pescatori che, grazie a coloratissime piroghe, riempiono di pesce i banchi del mercato. E sono proprio i mercanti, sopratutto di sesso femminile, a costituirsi come un’altra grande fetta degli occupati. Ma il mercato non è il solo posto dove si vendono prodotti sulle bancherelle. Infatti, ogni zona della città, ogni via, ogni incrocio puo’ diventare location ideale per fare il proprio business. Basta un tavolino e molta fantasia per diventare commercianti e, sopratutto in questo periodo di ramadan, i venditoridi cibo ambulante –ovviamente dopo il tramonto- pullulano per le strade. In questi posti è possible mangiare un panino (mezza baguette) farcitissimo a 450 franchi, circa 80 centesimi. Ci sono poi molti che si occupano dei trasporti e del turismo, uno dei pilastri dell’economia senegalese.
E infine ci sono le persone che non fanno nulla. Sono tante, forse troppe, me se di lavoro “vero” non ce n’è, non possono mica vendere tutti ricariche per telefonini o manghi lungo il ciglio di una strada.
Ho avuto modo di leggere solo di recente i tuoi racconti (ero in ferie…). Non so se ti ricordi di noi…siamo i “futuri genitori” del bimbo senegalese.
In tutta sincerità, diversi sono stati i sentimenti che ci hanno accompagnato durante le lettura dei tuoi post: curiosità, timore ed entusiasmo si accavallavano in una miriade di pensieri e speranze.
Non sappiamo ancora se e quando intraprenderemo il viaggio verso quella terra affascinante, ma una cosa la vogliamo sottolineare. Grazie per i tuoi racconti, grazie per quello che tu e i tuoi compagni di viaggio state facendo e…grazie per aver esportato un po’ di cultura italiana a quel popolo al quale appartiene anche (forse???) il nostro futuro bambino.
In bocca al lupo per tutto
Grazia e Paolo