Ma chi sono gli italiani di Londra? So bene chi sono quelli che ho incontrato io, certo. Più difficile è però scoprire i tratti generali di un insieme così elastico, così eclettico, confuso. Possiamo prendere gli italiani nati a Londra da genitori che lasciarono l’Italia nel secolo scorso e che hanno avuto a loro volta figli e nipoti. Però non basta. Allora, prima di rompere le righe (ma non per sempre) da questa città ho rivolto la domanda a padre Carmelo, alla chiesa italiana di Clerkenwell Road. Volevo avere un colpo d’occhio su questa marea di vite che sfugge alle statistiche, che non affolla le cronache, che non appassiona quelli che non hanno mai varcato il recinto di casa. E con padre Carmelo si va sul sicuro, perché da lui sono passati e passano in parecchi. Ne battezza i figli, ne confessa i peccati. Celebra le messe per i loro morti, sepolti in una terra che non è quella natia. A volte smista fra i parrocchiani le bottiglie di olio, il vino, i torroni fatti arrivare dall’Italia, che per molti ancora significano il sapore della propria storia, anche se ormai li trovi in qualsiasi supermercato della città. Lui arrivò a Londra nel 1971. “Era un altro mondo – ricorda -. Per entrare nel Regno Unito dovevo dimostrare che cosa venivo a fare, io come tutti gli altri migranti. Ti contavano i soldi in tasca e, se dicevi che stavi andando a raggiungere un parente, le autorità lo chiamavano e chiedevano conferma. L’aspetto legale era molto duro, si doveva andare a fare la registrazione dalla polizia…”. Quarant’anni fa. Il Regno Unito non era un paese comunitario. E non c’era il mordi e fuggi dei turisti, dei lavoratori, degli studenti. Per dire: padre Carmelo rammenta che in quegli anni non rispettare la coda alla fermata degli autobus o alla biglietteria dei cinema era ancora un tabù per gli inglesi. Ora, di notte, c’è l’assalto alla diligenza per infilarsi dalla porta posteriore su bus strapieni da cui rischi di essere lasciato a terra. Quasi subito padre Carmelo iniziò a lavorare come cappellano nelle carceri inglesi per assistere i detenuti italiani. “Negli anni Settanta – racconta – ho visto qualche italiano in carcere per droga, poi negli anni Ottanta sono diventati tantissimi. Fu un periodo veramente brutto, centinaia di decessi dovuti ad Aids e overdose. Erano ragazzi che venivano da tutta Italia, in particolare dal Piemonte, dalla Sardegna, dal Veneto”. Uno scorcio che non dice certo tutto sul paesaggio italiano a Londra, ma che resta scolpito bene nel background di molte famiglie immigrate qui negli ultimi decenni. Poi i tempi sono cambiati. “Londra ha sempre catalizzato molti studenti. Per la lingua, per la libertà, per l’arte”. Le frontiere si sono aperte, la tecnologia ha liquefatto i tabù. “Negli ultimi dieci anni ho registrato un nuovo fenomeno di giovani italiani inviati dalle loro società, spesso banche, o che da soli sono arrivati in cerca di lavoro. C’è per esempio, a Londra, una marea di medici italiani, di architetti, di avvocati, per non parlare di quelli che si occupano di finanza. E ho la chiesa piena di persone che hanno fra i 25 e i 40 anni”. Alla St Peter’s Church, cuore italiano nella metropoli britannica, da un paio di anni sembra che si siano moltiplicati i corsi pre-matrimoniali bilingue. Italiano e inglese. “Almeno 150 coppie all’anno – riferisce padre Carmelo -, due terzi circa vanno a sposarsi in Italia e poi tornano qua…”. E poi, appena sopra la sagrestia, vicino alla chiesa ci sono gli uffici delle Acli, che danno assistenza alla comunità in lingua italiana. Ci sono i corsi di lingua. La messa della domenica è il momento del ritrovo collettivo per quella parte di italiani che hanno fede. Ma perchè vengono e restano? “Perchè non trovano nulla di quello che cercano in Italia, anche se una parte di loro non vede l’ora di tornarci”.