THE “CYBER COW-BOY” OF THE TWENTY FIRST CENTURY

Il “cyber cow-boy” che da pochi anni fa impazzire la stampa Australiana e internazionale è meglio conosciuto come Julian Assange. Egli finiti gli studi alla “Melbourne University”,una delle più prestigiose d’Australia comincia la sua battaglia per la libertà d’informazione che lo porterà, ben presto, a fondare, con molti collaboratori, Wikileaks e a essere uno dei personaggio più criticati e amati di quest’era.

Anche se il suo volto non appare più da alcuni mesi sui giornali Italiani, in questo paese la scuola e la stampa sono tuttora attenti a lui; infatti Assange e il suo sito web sono materia di studio e esame in tutte le high-scool della regione Victoria nel corso di inglese. La scuola Australiana è quindi molto attenta a ciò che avviene nel mondo odierno.

Questa chiede ai suoi studenti non solo uno studio accurato, ma anche un’interpretazione personale, da portare in esame, dei temi di attualità trattati, i quali per rimanere tali vengono cambiati ogni anno. È così compito della scuola creare una coscienza critica del presente all’interno della nuove generazioni.

Essendo circa due mesi in completa immersione nell’argomento ho cominciato, nel mio piccolo, ad avere pareri al riguardo e a comprendere in che luce gli Australiani vedono lui e il suo operato. Nella sua patria i giornali lo definiscono come: “hero”,”the digital Che”, “the young man who change the world” o “ the cyber cow-boy armed with a data stick”; definizioni ben lontane da quelle che apparivano nei nostri quotidiani, quando questo argomento spopolava. Sarà per la stampa favorevole o forse perché è uno dei primi australiani a lasciare un segno profondo, a livello mondiale, fatto sta che è realmente difficile, qui, trovare delle critiche al suo operato. Egli è specialmente apprezzato tra i giovani, per esempio è uno degli argomenti che i miei compagni di classe hanno studiato con più interesse durante l’anno scolastico.

In questo sistema noto però due pecche. La prima è che lo studio dell’argomento è fatto principalmente tramite fonti indirette e quasi nessuno, come in Italia, ha mai letto alcuni degli articoli presenti all’intero di Wikileaks. La seconda è che spesso negli articoli di giornale, in Australia come nel nostro paese, non si fa un chiara descrizione sull’uomo e il suo operato, mischiando tutto in un frullato nocivo all’informazione.

Con i suoi errori bisogna dire che, a mio avviso, l’intento di uno studio critico della contemporaneità all’interno della scuola dell’obbligo è un’idea nobile. Infatti mi è difficile pensare a una formazione completa senza aver sviluppato anche questo tipo di capacità.

 

AUSTRALIAN HEART (part 2)

Nei due giorni successivi Fran Haiz mi raccontò il tramonto di questa civiltà.

Tutto cominciò nel 1780 con la creazione, da parte degli Inglesi, delle grandi città, tuttora esistenti e prosperose, di Sidney e Melbourne.Queste permisero scambi più efficaci con la madre Europa ma anche una massiccia migrazione da quest’ultima al nuovissimo continente. Ben presto le città non bastarono più’ per accogliere questo flusso e molti cominciarono a insediare abitazioni, villaggi, città in tutta l’Australia.

Questi territori erano comunque già abitati,amati e rispettati dai cinquecento gruppi indigeni allora esistenti.

Lo scontro fu inevitabile. I nativi, non conoscendo neppure il significato della guerra per la conquista del territorio, rimasero travolti dalla nostra incomprensibile violenza, decimati e spinti in luoghi a loro sconosciuti. Così costretti a migrare dalla loro amata regione, le tribù si ritrovarono sole e private di una buona parte della loro cultura.

Gli attacchi alle popolazioni indigene continuarono fino al 1900 circa; è comunque sbagliato credere che con questa seconda data il sorriso ritornò sul volto di questi ultimi. Continua a leggere

AUSTRALIAN HEART (part 1)

Questo paese ha una storia antica, legata alla terra e a uomini forti dalla pelle scura.

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Quello che oggi desidero raccontarvi è sbocciato dai primi due pomeriggi di amichevole intervista a Fran Haintz, donna che per molti anni ha lavorato per la salvaguardia e integrazione delle popolazioni native australiane.

La prima cosa che ho appreso da queste conversazioni è che non si può parlare di una compatta e unica comunità indigena. Vi erano, prima del nostro arrivo, circa cinquecento gruppi, ognuno dei quali aveva la propria cultura inimitabile. Queste tribù vennero divise, dagli occidentali, in tre grandi gruppi: Coastal, Island e Desert. Questa divisione dipende dal territorio abitato, i primi erano situati in prossimità della costa, i secondi nelle isole e gli ultimi nel cuore desertico di questo paese.

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“Walking on the ocean”

Ho trascorso questi ultimi 5 giorni nella Gold Coast, che si trova nel sud del Queensland. Questa è una regione tropicale, dove circa un mese fa si è abbattuto il ciclone Yasi. Bisognerebbe capire perché spesso a questi fenomeni gli si da un nome femminile, ma è una domanda retorica alla qua

le tutti sappiamo rispondere.

Finita questa breve e necessaria presentazione vi posso parlare della mia esperienza in questa terra.

Tre palline e un diabolo non mi sono mai stati così utili. Con questi ho potuto conoscere i bambini, che accompagnati dagli anziani della spiaggia, mi osservavano, prima da lontano, poi, lentamente, sempre più vicino. Stavano lì un po’ poi si tuffavano nell’oceano.

In queste spiagge sconfinate si può trovare un’esemplare unico, autoctono. Solitamente durante il giorno è troppo impegnato a camminare sull’oceano per dedicarti del tempo, ma quando cala il tramonto li puoi trovare a sorseggiare birra chiara in piccoli gruppi con le loro tavole da surf tutt’attorno.

È questo il momento in cui, fra di loro, si raccontano le avventure della giornata e se la ridono davanti agli scampati pericoli. Spesso non esitano a offrirti una lattina e farsi due chiacchere con uno sconosciuto, a patto che anche tu abbia provato l’emozione di surfare l’oceano.

Sono sempre stato bene davanti all’infinito, o meglio davanti a quelle cose che sono talmente grandi che la nostra mente identifica come infinite, sconfinate. Forse ne sono affascinato, un po’ spaventato ma sicuramente, davanti a quell’insieme di goccioline tutte vicine, ci stavo bene.

Quindi me ne stavo lì, sorridente, sulla spiaggia sorseggiando birra chiara in compagnia di uomini impavidi.

Longboard Nation

Oramai si è fatta sera, il sole non cuoce più la pelle e come formiche gli amanti della lunga tavola vanno zizzagando per i lunghi viali alberati. Sorridono, tra il sudore e una sigaretta, indossano, quasi fossero vestiti firmati, graffi e lividi per mostrare il loro vissuto, il loro amore per il rischio.Ogni tanto si possono osservare che vanno in fila, di corsa, inseguendosi e spintonandosi l’uno con l’atro, altre volte decidono di mostrare, come pavoni, tutta la loro bravura e bellezza, altre ,invece, si siedono su delle vecchie poltrone sbiadite per riprendere fiato e guardare il tramonto.

Così la mia generazione, dall’altra parte del modo, cresce e diventa saggia: di quella saggezza che la strada gli dona.I più adulti insegnano ai nuovi arrivati cosa c’è di così grande in un pezzo di legno e 4 ruote. Questo tipo di insegnamento consiglia molta pazienza e sudore, e quando credi di avere capito, scendi dalla tavola e lo cerchi di scrivere è già scappato, veloce, e ti tocca risalire in long per provare a riacciuffarlo.

Le generazioni oramai anziane ci osservano sorridendo dai loro usci o seduti su dondoli da antiquariato. Qualche volta, se un giovanotto casca, si alzano senza intervenire. Penso che per loro sia come vedere un film che forse li riporta un po’ indietro.

Qui ogni cosa ha il suo ritmo, il suo specifico momento nel quale deve accadere, non prima non dopo. È già troppo tardi per uscire, é arrivata la notte gli ultimi scapestrati sono da poco tornati nelle loro case e per le strade rimangono solo i grilli a fare festa.