Autumn in Madrid…

La vita frenetica di questa città che non dorme mai, mi ha fatto quasi dimenticare di quanto sia affezionata ai colori dell’autunno.

Ogni stagione ha il suo perché, ma per me l’autunno è decisamente quella più pittoresca, oltre che meravigliosamente nostalgica.

Adoro camminare per strada e accorgermi di come ogni giorno, quasi per magia, cambia quel paesaggio che fino ad un mese prima sembrava immutabile.

Il tempo è inesorabile e, se avessi aspettato un ancora un po’, avrei potuto perdermi una giornata perfetta, che descrivesse esattamente il paesaggio che stavo cercando.

Così, avendo come complici una giornata di sole e una macchina fotografica, ho pensato che andare al Retiro fosse il modo migliore per godermi questo spettacolo della natura, in silenzio.

Ho trascorso più di tre ore passeggiando per i vialetti alberati del parco, meravigliandomi per qualsiasi piccolo dettaglio che scoprivo.

Avrò modo di soffermarmi sul Retiro, suoi suoi monumenti e sui suoi incantevoli paseos più avanti. Oggi lascio spazio alle foto: le immagini, si sa, in certe situazioni sanno essere più eloquenti delle parole!

EPA (Espacio Polivalente Autogestionado): il Patio Maravillas

Ho scoperto un posto dietro casa che mi piace moltissimo. Si chiama Patio Maravillas e, come si può intuire dal titolo, è uno spazio polivalente autogestito, in cui si possono svolgere moltissime attività culturali e sociali.
L’ho conosciuto per caso, passandoci davanti mentre andavo a fare la spesa.
Pensavo che da quel palazzo entrasse e uscisse davvero troppa gente.
Così un giorno ci sono entrata per curiosare: al piano terra, sulla destra, ho trovato una stanza dove si raccolgono pezzi di biciclette per crearne nuove. Non sono mai stata appassionata di biciclette, ma ho sempre trovato l’idea di ricreare cose da materiali di riciclo semplicemente geniale. Seguendo i suoni delle voci e della musica che arrivavano dall’altro lato, mi sono poi ritrovata in una stanza piena di gente allegra, in un ambiente informale, come piace a me!
Mi sono presa una caña con dei ragazzi che già conoscevo e non sono più tornata fino a questa sera, quando mi sono decisa ad esplorare quel palazzo che tanto mi incuriosiva, insieme ad alcuni ragazzi che come me erano già stati al Patio.
Ho davvero trovato ciò di cui avevo più bisogno in questo momento: corsi di fotografia, coro, yoga, teatro e lingue GRATIS! Ci sono anche assemblee in cui si parla di economia, società ecc.
Insomma, come poteva non piacermi un posto così??
Ho trovato un modo per fare ciò che più mi piace e che mi tiene impegnata quando non ho lezione, a due passi da casa, senza spendere un centesimo!
Ma la cosa ancora più simpatica è stata trovare gente di ogni età ai corsi.
In Italia sarebbe fantascienza: la gente sopra i 40 anni ne starebbe alla larga, quelli più avanti con l’età lo classificherebbero unicamente come “posto per drogati”.
Invece no, è stupendo e ci tornerò spessissimo!
Tra l’altro, fanno anche da mangiare e per la modica cifra di 1.50 euro mi sono mangiata una tortilla da leccarsi i baffi!

Erasmus al capolinea?

Ormai questo fatto è sulla bocca di tutti: il programma di mobilità per studenti europei che ha riscontrato maggiore successo nel nostro continente potrebbe fermarsi qui, proprio nell’anno in cui si celebra il suo 25° anniversario.
Pensare che forse sarò una degli ultimi studenti a cui è stato dato questo “privilegio”, dovrebbe farmi pensare a quanto sia fortunata, invece mi riempie di rabbia.
Il vicepresidente della Commissione Europea, Antonio Tajani, ha ammesso che si stanno esaurendo le risorse finanziarie per questo progetto. Certo, c’è crisi: è sempre questa la motivazione per tagliare sulla cultura e su tutto ciò che ci può arricchire umanamente.
E il problema si fa ancora più grave se si considera che gli studenti che prenderanno una borsa di studio nel secondo semestre del 2012-2013 potrebbero non ricevere finanziamenti a sufficienza. Si parla del prossimo semestre!!
Dopo nemmeno due mesi a Madrid, alle prese con tutte le maledette procedure burocratiche (proprio per inviare entro la scadenza quei documenti che servono per la borsa UE ), ritrovarmi davanti a questa prospettiva mi ha lasciata a dir poco allibita.
230 euro non bastano per pagarsi l’affitto a Madrid (nemmeno per la metà dell’affitto), ma di certo avere a disposizione 230 euro in più fa comodo.
Partire con la sicurezza di avere un generoso salvadanaio e scoprire durante quest’esperienza che forse questa certezza non c’è più, è più una presa per i fondelli che d’altro.
Studenti universitari, siamo nelle mani del commissario al bilancio Lewandowski, che il 23 Ottobre presenterà una proposta in materia al Consiglio Europeo.
Si pensa all’Europa unita, ma se questo ennesimo taglio sarà attuato, a breve verrà negata una delle opportunità più concrete per crescere e vivere da europei, per potersi sentire davvero europei!

Sabado Madrileño

Da quando sono arrivata, il mio coinquilino continua a dirmi che dovrei abbandonare la mia vita da Erasmus, fatta di lauti pasti consumati ad orari improponibili, cañas, tapas e bocadillos, per intraprendere quella madrileña. Così, sfruttando un weekend libero dal lavoro, ha deciso di fare una Fiesta de bienvenido. E quale pietanza può rappresentare meglio la Spagna, se non la paella?

Come mi aspettavo era deliziosa ( o, come direbbero gli spagnoli, muy rica ); quello che però mi ha più divertito di questa comida è stato imparare tantissime cose su questo piatto che nemmeno conoscevo!

La paella ( che si pronuncia “paeglia”, e non “paella” o, peggio, “paiella” ), prende il nome dalla padella che si usa per prepararla. E fin qui niente di nuovo. Ma veniamo a quello che un qualsiasi turista in vacanza potrebbe non sapere: la paella è un piatto tipico valenciano, non madrileño, e gli spagnoli la mangiano a pranzo. Solo ai bambini viene servita nel piatto, mentre gli adulti la mangiano direttamente dalla padella. E ancora, per fare una buona paella, lo strato di riso aderente al fondo della padella si deve bruciacchiare. Garantisco che anche la parte quemada è ottima; l’unico problema viene dopo, quando si deve scrostare la padella! L’ultima cosa che ho imparato è che, nonostante ci siano diversi tipi di paella, quella classica si prepara con carne di pollo e di coniglio; quella di marisco ( con cozze, vongole e gamberi ) è più turistica.

Questa bontà culinaria è stata accompagnata da una bevanda che in Spagna è tanto popolare quanto la sangria, il tinto de verano, preparato con vino rosso e soda.

Per concludere la giornata in pieno stile madrileño, non poteva mancare la tappa obbligata al Candela, locale famosissimo di Madrid, che si trova nel quartiere Lavapies e che dagli anni ’80 rappresenta  uno dei punti di riferimento del flamenco spagnolo. Tutti i bailaores più famosi sono passati da qui e, ancora oggi,  il Candela rappresenta un punto di incontro per artisti e appassionati di uno stile di ballo intramontabile e caposaldo della cultura spagnola.

 

Madrid, torna la normalità dopo la tensione

Ancora proteste e manifestazioni sotto il cielo di Madrid, proprio in concomitanza con quelle di Piazza Syntagma ad Atene. Ieri il coordinamento “25-S” , gruppo di attivisti creato online e ispirato a quello americano di Occupy Wall Street, è riuscito a mobilitare migliaia di persone (6.000 secondo la Delegazione del Governo) per chiedere le dimissioni di quei Parlamentari  colpevoli di aver accettato le pesanti norme di austerity imposte dall’Europa per salvare le banche spagnole.

Quella che era iniziata come una manifestazione pacifica, si è trasformata verso le 19 in guerriglia urbana e la tensione tra forze dell’ordine e manifestanti è arrivata al punto tale che le notizie da Madrid hanno avuto risonanza su tutti le più importanti testate giornalistiche mondiali.

Gli scontri più violenti hanno avuto luogo in Plaza Neptuno, sede del Congresso, la quale è stata assediata per qualche ora. La risposta della polizia è stata immediata, con cariche e proiettili di gomma sparati contro la folla. Il bilancio finale è stato di 64 feriti, 27 dei quali poliziotti, e 35 arresti. E mentre oggi il Ministro dell’Interno appoggia la polizia, affermando che sarebbe stata costretta ad intervenire contro una “violenza estrema” attribuita ai manifestanti, IU e PSOE denunciano l’impiego sproporzionato delle forze dell’ordine.

Dall’altra parte, gli esponenti di 25-S, che hanno denunciato la presenza di poliziotti in borghese nel corteo, hanno deciso di convocare un’altra manifestazione il 29 settembre. Oggi, il giorno dopo la manifestazione, tutto o quasi è tornato alla normalità. Come a luglio, quando ebbi modo di raccontare un altro momento “caldo”, la tensione sale al massimo nel corso della manifestazione, per poi tornare tutto a posto. La cenere però è calda e la miccia è pronta ad esplodere nuovamente alla prossima occasione.

Finalmente Erasmus!

Sono qui da meno di un mese, eppure mi sembra che questa città mi stia ospitando da sempre. Forse perché Madrid era per me una città già conosciuta, forse perché è stato subito facile ambientarsi…o forse perché, in fondo, la mia avventura è già iniziata a luglio, con la disperata ricerca di un tetto sotto cui stare per questi dieci mesi.

Già, perché sicuramente la ricerca dell’appartamento è la prima cosa che uno studente Erasmus deve affrontare, quella per cui si crea una serie di aspettative che poi puntualmente vengono frantumate. E credetemi, durante la mia ricerca ne ho viste di ogni, tanto che quasi stavo per rinunciare a tutto. Poi, all’improvviso, è entrata in gioco una serie di reazioni che non immaginavo nemmeno potessero essere nascoste dentro di me. Quindi l’ostinazione per arrivare in fondo ad un obiettivo fissato da tempo, le decine e decine di chiamate dalle cabine del telefono, sotto i 43° del luglio madrileño, gli appuntamenti in orari e posti assurdi, l’ennesimo “appartamento” in cui nessuno desidererebbe andare a vivere.

Finchè l’ultima giornata del mio soggiorno estivo, ormai sconsolata e certa che mi sarebbe toccato ricominciare da zero a settembre, mi sono presentata all’ultimo appuntamento, quasi fosse solo una noiosa routine. E invece, nella mia incredulità, mi ha aperto la porta di casa un giovane ragazzo spagnolo, il quale ha saputo mettermi a mio agio dal primo momento. Josè mi ha accompagnata in un giro di perlustrazione di quello che da subito mi è sembrato non un semplice appartamento, ma una vera e propria casa, accogliente ed adatta ad una ragazza di vent’anni.

Niente materassi per terra, niente sgabuzzini claustrofobici spacciati per camere, niente pareti ammuffite e scrostate; bensì una casa curata in ogni dettaglio, con piante, quadri, pareti appena imbiancate con colori sgargianti, lampade etniche..e una vera cameretta!!

Vi lascio solo immaginare la felicità: avevo trovato il mio “piso” e avevo anche un coinquilino madrelingua. Da quel momento e solo da quel momento, mi sono sentita davvero una studentessa in Erasmus!

Dopo questo passaggio noioso ma obbligato, il 3 settembre è iniziato ufficialmente il mio soggiorno a Madrid, e più precisamente a Malasaña: quartiere situato nel centro della capitale spagnola, che si estende appena sopra Gran Vía, indicativamente tra calle San Bernardo e calle Fuencarral, delimitato dalle fermate della metro di Noviciado, Tribunal e Bilbao. Questa zona è ottima per i giovani e per la vita notturna, dal momento che ci sono moltissimi bar e locali adatti alle esigenze e alle tasche di tutti, aperti fino alle tre di notte (il sabato alcuni chiudono dopo le 6!).

Devo confessare che in questi primi giorni non sono riuscita a girare molto, dato che mi sono subito buttata a capofitto nella vita universitaria,nella sua burocrazia e nelle faccende di casa, tra pulizie e spese varie.

Per fortuna il corso di spagnolo, che mi sta impegnando ogni giorno da due settimane a questa parte, finirà venerdì e avrò una settimana libera per andare a zonzo, perdermi, ritrovare posti conosciuti e trovarne altri nuovi. Non vedo l’ora!!

6/05/2012: la presa della Bastiglia.

6/05/2012, ore 21.50, métro, linea 1, direzione La Défense.

Ad ogni fermata i vagoni sono sempre più pieni. Sciarpe, capelli, striscioni rossi. Bandiere, risate, canti e rose. Il métro non si fermerà a Bastille. La stazione è chiusa al momento. Mi trovo con degli amici a Reully Diderot, ci incamminiamo verso Place de la Bastille passando per Faubourg Saint Antoine. Man mano che ci avviciniamo a Bastille i cori si fanno più forti, la gente più euforica, i marciapiedi impraticabili. Non ci sono più passanti : c’è una folla urlante che si fa strada tra le automobili ferme che accompagnano gli slogan con il clacson. Ragazze che ballano sui tettucci delle automobili o che si sporgono dai finestrini con le braccia alzate, persone che corrono a comprare la copia speciale del quotidiano dedicato alle elezioni presidenziali, rumore di trombette e di fischietti, striscioni improvvisati ricavati dai cartoni della pizza d’asporto.

Poi le camionette de la gendarmerie e i poliziotti che cercano  di fare defluire persone di tutte le età che che intonano gioiose il coro che avevo sentito urlare per ore il 15/04/2012 al comizio di François Hollande all’Esplanade du Château de Vincennes : « François président ! François président ! ». Cerchiamo di avvicinarci il più possibile verso il centro della piazza nel quale troneggia la Colonna di Luglio oggi conquistata dai sostenitori del nuovo presidente. Un’impresa impossibile, dettata solo dall’euforia. Il bagno di folla spinge in direzioni opposte: c’è chi persevera e vuole arrivare nel centro della piazza, c’è chi non riesce più a respirare e vuole buttarsi ai lati. Per qualche minuto non riusciamo a muoverci né a vedere al di sopra delle nostre teste. Poi qualcuno riesce a spostarsi verso le vie che costeggiano la piazza, aprendo una piccola fessura nella mischia compatta. “In ogni caso l’uscita è a sinistra”, sottolinea un giovane sventolando la bandiera del PS. A fatica riusciamo a spostarci sui lati e a camminare sulla strada. Ma la festa continua, i bar sono pieni, i clienti brindano, sono rilassati, sorridono. Il clima è così festoso da sembrare quasi surreale. La gente cammina scomposta per i grandi boulevard, sconosciuti si salutano per le strade, persone di ogni tipo saltellano  da un lato all’altro della strada indecise se ritornare a Bastille o no.

 

Ansiosi di scoprire domani una nuova Parigi torniamo verso il métro. Il servizio è pure prolungato…allora è proprio vero che “le changement c’est maintenant!”.

Dans le métro

Il metronomo della quotidianità scandisce il ritmo di miliardi di passi che ogni giorno e ogni notte echeggiano per i corridoi del métro. Sguardi sfuggenti, stanchi, curiosi, euforici, tristi, svaniti si incrociano sulla banchina, sulle interminabili rampe di scale, sui vagoni che accolgono in poche ore innumerevoli storie.

Siamo nel regno della RATP, la Régie Autonome des Transports Parisiens. 14 linee métro, 3 linee tram, 2 linee RER (le altre linee del Réseau Express Régional sono gestite dalla società SNCF), 351 bus (dei quali 31 noctilien, bus notte) a Parigi e in banlieue. Un sistema di fili che fluttuando si intersecano, mossi incessantemente dalla mano agile di burattinaio rispettato e temuto. Una squadra compatta di funzionari diligenti che, a dispetto dalla rigidità dei loro movimenti e della voce metallica con cui proferiscono qualche monosilalbo, sembrano essere umani. Insomma, un imponente castello fortificato in cui tutto funziona alla perfezione, circondato da un profondo fossato in cui sguazzano branchi di documenti. Per avere accesso ai privilegi che il favoloso mondo dei transports commun offre ai residenti nella regione parigina, una battaglia combattuta a suon di firme, giustificativi, fotocopie, lettere e telefonate è inevitabile. Forse più che di una guerra si tratta di un duello, di uno scontro tête a tête con la grande macchina burocratica che tutto pervade, inesorabilmente. Ma alla fine, anche se con quel senso d’impotenza nel cuore che solo chi si è scontrato con il Dio Burocrate può provare, si raggiunge (quasi sempre) il fine che si è posti. Quando ci si avvicina al tornello all’entrata del métro brandendo fieramente il proprio Pass Navigo per studenti e lo si striscia con disinvoltura sulla superficie liscia del marchingegno, ogni singola briciola di rancore viene spazzata via dal vocio dei passeggeri, dalle melodie dei musicisti itineranti, dalla luce riflessa sulle piastrelle bianche.

Bastano una tessera di plastica e un prelevamento bancario effettuato automaticamente ogni mese per spostarsi in maniera veloce e pratica per Parigi e banlieues. Métro frequentissimi e frequentatissimi durante tutta la giornata solcano il sottosuolo della città, sbucando di tanto in tanto in sprazzi chiari o luccicanti, con l’acqua ai due lati. Persone che salgono, scendono, corrono, guardano, si fermano. Non sono mai ombre, mai sagome vuote in cui si passa attraverso. La notte, quando il métro riposa, si staglia il ricordo del rumore dei vagoni sulle rotaie, delle voci che annunciano o si scusano, si mescola alla solidità di volti, di frasi rubate (ascoltate o lette), di abiti firmati, di aliti imbevuti d’alcol, di sacchi a pelo e coperte che nascondono un’esistenza difficile.

Si sale, si scende, si corre, si guarda, ci si ferma. Tutto è automatico, tutto è naturale, tutto rientra nell’ordine della vita parigina. Eppure in tutto questo, nella normalità schiacciante di viaggi in métro c’è di più. C’è un pezzo di umanità, ci sono vite che urlano. C’è il ritratto di una città con le sue bellezze, le sue abitudini, i suoi interessi, i suoi ossimori, le sue contraddizioni.

Woody Allen à Paris

Qualche sera fa passeggiavo sovrappensiero per le stradine del quinto arrondissement quando passando di fianco alla chiesa Saint-Étienne-du-mont la mia attenzione è stata richiamata dagli scalini sul lato destro. E’ bastato un rintocco di campana per rendere chiara e distinta un’idea vaga che mi ronzava per la testa da giorni: è lì che Woody Allen ha individuato la soglia del ritorno al passato in Midnight in Paris.

In bocca ancora il retrogusto dolce-aspro di una tartelette au citron, negli occhi la luce gialla della sera parigina che inonda gli scalini che precedono una delle entrate secondarie della chiesa Saint-Étienne-du-mont.

Place Sainte-Geneviève è uno di quei luoghi che non possono essere schiacciati nella definizione scarna e troppo cauta di « bel endroit ». Place Sainte-Geneviève è molto di più. Al mattino la piazza si riempie di studenti dalle palpebre gonfie di sonno, diretti alla Sorbonne, alla bibliothèque Sainte-Geveviève, alla bibliothèque Sainte-Barbe.Con noncuranza un poco bobo (bourgeois-bohémien) si lasciano inumidire i vestiti e i capelli da fitti spilli di pioggia, senza nemmeno lanciare uno sguardo verso la facciata imponente di Saint-Étienne-du-mont. E’ piacevole guardarli con distacco per qualche attimo, cristallizzando quell’immagine di quotidianità che nella sua disarmante scontatezza porta con sé parecchi grammi di serenità. Al pomeriggio invece Place Sainte-Geneviève si anima di voci chiassose. Le porte dei licei si aprono, così come si aprono gli stomaci degli impiegati e deli universitari. Schiere di affamati si contendono gli scalini dell’église, luogo privilegiato per le pause pranzo all’insegna del low-cost. I turisti appena usciti dal Panthéon osservano curiosi la serie infinita di dettagli che rende così speciale anche un rapido passaggio per la piazza. Ma questo piccolo quadro vivente nel cinquième arrondissement la notte s’invade di una magia tanto sfuggente quanto certa.

E questo lo sanno bene le ombre chiassose che rientrano nei propri appartamenti dopo una serata in Place Contrescarpe, così come lo sa bene Woody Allen.

Attraverso lo sguardo stupito di Gill, il regista disegna a contorni sfumati quell’atmosfera surreale che solo un promeneur solitaire deliziosamente perso la notte per le vie di Parigi sa assaporare. E’ vero : « al mattino Parigi è bellissima, nel pomeriggio è deliziosa, alla sera è incantevole, e dopo la mezzanotte Parigi diventa magica ». Ed è sugli scalini dell’entrata sul lato destro dell’église Saint-Étienne-du-mont che il sipario si alza e la scena viene invasa dalla magia che solo Parigi la notte sa dare. I fari di una Peugeot 184 Landaulet nella notte, le voci gioiose dei passeggeri, l’espressione disorientata del protagonista…e poi la Ville-lumière negli anni ’20. Midnight in Paris non rappresenta solo uno dei tanti elogi di una delle città più ambite al mondo, ma è un pentagramma su cui danzano colori, suoni, odori, superfici, un crogiolo di sinestesie che si espandono nella fluidità del tempo. Considerare questo film come un puro tentativo di ritornare al passato attraverso la cultura (francese?) degli anni venti sarebbe estremamente riduttivo. L’essenza della mezzanotte a Pargi forse risiede proprio nell’intemporalità di questa città. Quandoci si perde la notte a Parigi la presenza diventa sempre più sfuocata. C’è solo la luce dei lampioni, il ciottolato delle viuzze in salita, il rumore dei propri passi e la leggerezza dello spazio. Il tempo non c’è più.

Nel mondo del pesce “made in Africa”

Nei post precedenti vi ho detto che il Senegal vive principalmente di pesca. Durante il mio mese a Dakar sono andato a visitare il secondo porto del Paese, Joal-Fadiouth. Si tratta di una cittadina a 5 ore a sud di Dakar, meta anche di molti turisti. Questo perchè Joal si trova vicinissima all’isola di Fadiouth, un piccolo angolo di paradiso completamente ricoperto da conchiglie bianche in mezzo ad una rigogliosa laguna.

Ma la nostra “missione” non era certo quella di visitare i negozietti sull’isola o di fare un giro in piroga per la placida laguna. Il nostro obiettivo era andare là dove nessun turista si addentrerebbe mai: il mercato del pesce. A Joal, infatti, eravamo in “servizio” per il CESES, la Ong che ci ha ospitato in Senegal, per effettuare un reportage tra le donne di un’associazione che sarà presto oggetto di un progetto di cooperazione. Oggi però non voglio parlarvi di questo progetto -ancora da definire nei dettagli- ma di quello che ho visto nel secondo porto del Senegal.


Partiamo dalla pesca. In Senegal non ci sono grossi pescherecci come quelli che siamo abituati vedere solcare i nostri mari. I pesci vengono catturati da coloratissime piroghe di legno che solcano le impetuose onde dell’Atlantico. Una volta riempita la barca di pescato, le piroghe tornano a riva. Di porti non c’è traccia. Le imbarcazioni ormeggiano alla fonda, poco lontani dalle rive della spiaggia che brulica di persone. Inizia così una lenta processione di uomini che, indossando una cerata, si immergono nelle acque, arrivano fino alle sponde delle barche dove ricevono una cassa di pesce. Tenendola sulla testa ritornano a riva e portano il pesce a destinazione. Alcune casse vengono scaricate direttamente sulla sabbia mentre altre sono portate al mercato, qualche decina di metri più indietro.

Nel mercato il pesce viene “malamente” scaricato sul cemento bagnato che fa da pavimento. Vengono organizzati diversi cumuli di pesce in base alla barca di provenienza e al tipo e attorno ad ogni pigna si affollano i compratori. Questi ultimi scelgono il pesce che desiderano acquistare e poi un’altra serie di uomini si occupa del carico sui camion. Il pesce viene raccolto in altre ceste, coperto di ghiaccio e portato ai camion frigoriferi che aspettano schierati su un lato della struttura. Una volta caricati partono verso le fabbriche di lavorazione. E oltre ai grossi mercanti ci sono anche le donne che vengono a comprare piccole quantità di pesce.

L’odore di pesce marcio penetra fin dentro i polmoni, pozze di acqua stagnante segnano la strada per arrivare al mercato e il pavimento su cui vengono scaricati i pesci non brilla per pulizia. Ma se le realtà del mercato può colpire, non è nulla in confronto al luogo dove il pesce viene affumicato. Noi siamo andati lì non per masochismo ma per il reportage per l’associazione e quello che ho visto è incredibile.

Il colpo d’occhio è incredibile. Tutti i numerosi banchi e forni sono immersi nei rifiuti. La discarica della città è tutt’attorno a tavoli pieni di pesce -sopratutto sardine- che verranno venduti sul mercato internazionale (solo africano, non temete). Con grande disinvoltura le donne, piegate su lunghi forni, mostrano come si prepara il pesce per il processo di affumicazione e poco importa se il pesce è gettato a terra, vicinissimo al pattume e con un maiale grosso come un vitello (giuro che era enorme!) che si aggira famelico tra i forni. Una volta “cotto a puntino”, il pesce viene preso, spezzettato in piccole parti e deposto su lunghe tavolate al sole per essiccare. E se qualche gabbiano decidesse di fermarsi a banchettare su quei tavoli, nulla glielo impedirebbe (e infatti è quello che accade regolarmente).

Girando per quei luoghi mi sono posto una domanda: è giusto cercare di cambiare queste abitudini? E la risposta che mi sono dato è sì. E non è un “sì” dato per etnocentrismo, per mire colonizzatrici, per paternalismo o dato guardando dall’alto in basso gli africani. E’ un “sì” dettato dalla volontà di aiutare un popolo a migliorare le sue condizioni. Noi occidentali disponiamo di conoscenze che una donna nata e cresciuta in un villaggio a 100 km da Dakar non può avere e non è per niente arrogante o etnocentrico il condividere i nostri saperi. Non è un caso che l’aspettativa di vita di un africano sia nettamente inferiore alla nostra.

Questo mio pensiero ha trovato conferma in una delle prime cose che le donne di Joal ci hanno detto: «abbiamo bisogno di formazione». E se tutto andrà bene, grazie al CESES un centinaio di loro verrà formato nelle migliori scuole di pescatori italiane per poi trasmettere le loro conoscenze alle compagne in patria. Vi terrò informati su questo progetto e, a breve, vi farò sapere i modi con i quali potrete sostenerlo.

 

Marco