L’epoca e la politica dell'”io”

Da Berlusconi a Salvini, passando da Renzi e Di Maio. Ho passato una vita a sperare di trovare una politica “ragionevole”, attenta all’equità, all’ambiente, ai ceti più fragili, ai giovani, ma ogni generazione di politici è stato sempre peggio. Come se l’entropia fosse propria della politica. Ho riflettuto molto sul perché di questo degrado dello spirito civico che spinge i miei connazionali dietro a figure carismatiche che incarnano una politica di interessi, personalistica, a volte spericolata e mai orientata al bene comune. La diagnosi è che in Italia domina la cultura dell”io” e non siamo mai riusciti a concepire e far maturare la consapevolezza del “noi”. Non siamo mai o quasi mai un “noi”, inteso come una comunità di persone che voglio vivere e stare meglio uno accanto all’altro.

E questo ha tante ragioni storiche (l’Italia è giovane e figlia di tante invasioni e domini stranieri) e culturali (vent’anni passati nel degrado della TV commerciale berlusconiana che ha lacerato visioni del mondo virtuose lasciando una fetta del popolo italiano in preda alla tristezza di culi e quiz che si insinuavano a tutte le ore del giorno e della notte.

Ma poi c’è un altro grande tema: il mercato! Il mercato inteso come la libertà di operare della domanda e offerta, priva di regolamenti, paletti e vincoli. Dalla rivoluzione industriale in poi il capitale ha macinato accumulazione e i suoi possessori, tanto potere da diventare una centrale oligopolistica talmente grande, rarefatta ed indefinibile che a stento si sa di cosa si parla quando si tenta di parlarne. La finanziarizzazione del capitalismo ha redistribuito la ricchezza in modo poco equo, facendo credere al ceto medio che avrebbe portato benessere a tutti. Ma nel frattempo il capitale sia fisico che finanziario diventava sempre più inafferrabile, soprattutto attraverso l’ingegneria finanziaria dei derivati. Così pochi gruppi di esperti di finanza piano piano potevano decidere il destino di banche, aziende e paesi (si veda Goldman Sachs cosa ha fatto con la Grecia). E in tutto questo ci siamo antropologicamente trasformati sperando di essere tutti imbarcati sulla nave del successo, della ricchezza, attraverso la follia dei consumi compulsivi, scivolando nell’angosciante illusione che comperando sempre più oggetti, sempre più raffinati, avremmo raggiunto una qualche forma di felicità. E l’inganno dura ancora e ancora, da quando Berlusconi raccontava che tutti potevano diventare ricchi seguendo il suo esempio di imprenditore imprestato alla politica, a quando Renzi voleva farci sognare con la rivoluzione della “rottamazione” del vecchio per transitare in un iperuranio “nuovo” dove finalmente avremmo conosciuto il benessere costruito da “sinistra” conciliando mercato e sociale. Per poi cadere “ad inferos” nelle braccia di un pericoloso bulletto che spaccia idee balzane, costruite attraverso un’infernale (questa si) macchina di studio del comportamento delle masse, che sa stimolarne la paura e riceverne in cambio consenso. E non vogliamo dedicare due parole al grande politico anti-sistema Luigino Di Maio, schiacciato dall’impossibilità di realizzare roboanti promesse che avrebbero sovvertito l’ordine costituito? Ma allora? Quasi mezzo secolo è passato e ci ritroviamo a questo punto? Verrebbe da citare il finale di una poesia di Anna Segre: “L’universo si smaglia perché il male tira i fili mentre il bene si ostina a tessere”. Chi ha più la forza di tenere a bada il mercato? Di perseverare con il ruolo di educare allo spirito civico? Di non soccombere di fronte a tanta deriva? Solo l’arte riesce ancora a fare astrazione dal decadimento diffuso, perché di fronte all’opera d’arte torniamo tutti incantati di fronte a quel frammento di esperienza dove l’infranto, solo per un momento, appare ricostruito e ci salva dallo sconforto. Andate a teatro, a sentire concerti, a vedere mostre. Non risolve ma aiuta! Resistere, resistere, resistere!

Frammenti di felicità in epoca di crisi

Più che la velocità, che purtroppo colpisce lo stile di vita di milioni di persone bisognerebbe riflettere sul fatto di saper stare e apprezzare  quello che si è riusciti a costruire e ad avere. Sembra banale ma forse è la ricetta di una possibile piccola felicità. Il turbo-capitalismo è concepito per farvi  sentire che vi manca qualcosa. Per cui siamo spinti a lavorare di più ad avere più impegni per inseguire più reddito per avere più oggetti,  più servizi e più opportunità. E questo, in una spirale che non finisce mai, che diventa moto perpetuo di frustrazione e insoddisfazione. Fermarsi e valorizzare quello che uno ha e ha costruito è come fare il punto su quello che veramente è possibile per ognuno di noi.shopping_9258

Molte volte il turbo-capitalismo mette a disposizione un’infinità di beni: auto, moto, barche, mobili, oggetti vari, elettronica, case in affitto per le vacanze, etc.. A tutti i prezzi. Se uno desidera un’auto di grande cilindrata, forse cercandola un po’ nell’usato e tenuta bene…. la trova. Se uno vuole – per esempio – una barca a vela a poco prezzo, la cerca e rischia di trovarla e questo vale per moltissime cose, compresi gli oggetti elettronici. Continua a leggere