L’uomo debole di Arcore

Cos’altro è Silvio Berlusconi se non un uomo debole, solo, frustrato e impaurito? Ora anche incattivito, mal consigliato e che, di fronte al suo tragico tramonto personale, vuole trascinare con se tutto il paese, pensando di essere lui stesso l’incarnazione dell’italianità più profonda. Berlusca

Lentamente ed inesorabilmente gli italiani gli hanno sfilato il consenso (a parte i voti della trovata sull’abolizione dell’imu che erano solo doping) e le forze sane lo hanno messo nell’angolo fino a fargli sputare il fiele nel gesto di ritirare i ministri del governo di larghe attese. Ma l’onta più grande l’uomo debole di Arcore la vivrà quando il suo tramonto terminerà con la diserzione dei suoi fedelissimi servitori, che abbandoneranno la nave come il capitan Schettino, perché restare con lui significherebbe scomparire dalla scena politica e la fedeltà, benché cieca, non arriva ad essere stupidità.

Un uomo solo, che la sua megalomania ha spinto a pagare donne per poter credere all’eterna giovinezza, che la sua impudenza ha spinto a credere che la legge non vale per tutti e si può truffare il proprio paese anche ricoprendo un ruolo pubblico, che la potenza del suo denaro gli ha permesso di essere cordiale con  tutti coloro che incontrava, elargendo denari a personaggi di dubbia reputazione.

Colui che sperava di diventare presidente della Repubblica italiana, ora giace prostrato e iracondo nel suo girone infernale che lui stesso ha costruito, rimbalzando da pitonesse a servi sciocchi e da loro stesso verrà abbandonato. Un epilogo triste per lui e tragico per noi, ma per una nuova rinascita dell’Italia bisogna purtroppo passare da qui. Vent’anni di ridicolo, vent’anni di promesse disattese, vent’anni di affari personali, vent’anni di interessi particolari, vent’anni di errori grossolani e vent’anni di  immobilismo, gli ultimi vent’anni stanno per finire e tutti abbiamo negli occhi le immagini del fil di Moretti “Il caimano”, per cui prepariamoci agli ultimi fuochi ma prepariamoci anche ad una rinascita civile, ad una normalizzazione, ad esprimere forze sane. Dopo ogni ventennio tragico l’Italia sa dare il meglio di sé e se si riesce ad uscire da questa tragica emergenza senza troppi danni, forse il Paese ce la può fare a ripartire. Auguri Italia!

I nodi vengono al pettine

Il desiderio sarebbe di parlare della bella rivoluzione che sta avvenendo nella chiesa di Francesco, oppure del tema dei pregiudizi di Barilla sull’omosessualità, o ancora del tema dei medici anti-abortisti in Lombardia ma la priorità, purtroppo, è ancora quella dell’anomalia della politica in Italia. Francesco

La vicenda delle dimissioni di massa dei parlamentari del Pdl la dice lunga sull’anomalia che da circa vent’anni domina la vita pubblica. In Italia, purtroppo, non esiste una destra liberale che offre un’alternativa al modello socialdemocratico, come esiste in tutta Europa. Noi abbiamo il partito di un uomo che “possiede” per gratitudine dei suoi uomini nominati la loro totale devozione, fino a decidere – dimettendosi –  di danneggiare l’intero paese per seguire il capo e il suo destino di pregiudicato. Come il famoso voto dei trecento sedici parlamentari che facevano finta di credere alla favola della nipote di Mubarak, anche oggi i parlamentari senza spina dorsale dell’armata brancaleoniana berlusconiana seguono il capo nel suo suicidio politico. Perché pare chiaro che il disegno sia far cadere il governo, sciogliere le camere per evitare il voto sulla decadenza e, andando a nuove elezioni, prendere ancora tempo ritardando la decadenza da parlamentare tutelato dall’immunità parlamentare di senatore. Il suo comportamento è totalmente egoistico, individualista, prepotente e irresponsabile. E’ venuto il tempo che le forze sane di questo paese voltino pagina e archivino una volta per tutte quest’anomalia democratica e l’Italia possa, sebbene a fatica, inquinata da anni di malcostume, riprendere il  cammino verso una Barillanormalizzazione democratica, che porterà anche e nuovamente centralità ai temi sensibili del nostro paese: lavoro, occupazione, giovani, competitività, crescita e tutto quello che riguarda il destino di un paese, un tempo ricco e prosperante.

 

Senza vergogna

Sarà forse il gran finale, ma che tutti i mezzi di informazione mettano in onda il video di un pregiudicato che spara a zero su uno dei poteri dello Stato, che aggredisce il più grande partito dell’arco costituzionale, che lancia invettive, promesse e pontifica con menzogne e ricostruzioni fantasiose, lo trovo scandaloso. Allora diamo diritto di replica a tutti, pregiudicati e non, ma coloro che non sono pregiudicati dovrebbero avere il doppio del tempo. Perché questo regalo pubblicitario a costo zero?Senza vergogna

Perché invadere lo spazio pubblico con le menzogne di un pregiudicato? Perché il servizio pubblico diventa complice del malfattore tediandoci con le sue litanie consunte? A che titolo quest’uomo può entrare ancora nelle nostre case ad abbaiare le sue storielle quando è stato dichiarato un frodatore proprio dello Stato?

Per citare Fellini: “Eppure io credo che se ci fosse un po’ di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire”.

Lo Schettino d’Italia

In questi giorni, in cui la nave da crociera Costa Concordia, è stata risollevata dalla perizia, dalla volontà, dal talento e dalla determinazione di uomini di buona volontà, viene spontaneo fare un’analogia tra l’Italia di Berlusconi e la Costa Concordia di Schettino. Berlusconi sta all’Italia come il capitano Schettino sta alla nave; ognuno per interesse personale, vanagloria, prepotenza ed ignoranza ha portato la propria imbarcazione di cui era al comando a naufragare sulle rocce, in modo tanto imprudente, quanto spericolato. E mentre la Costa Concordia si risolleva, l’Italia stenta a muoversi poiché lo Schettino italiano è ancora sul ponte della nave. Solo in queste ore, lentamente, con fatica, le forze sane del paese cominciano a reagire per porre fine a vent’anni di abusi della ragionevolezza.B & S

Ora è venuto il tempo di dire basta, di occuparsi di altro, di chiudere il capitolo e provare a discutere di argomenti importanti, basta parlare dell’esercito servile di yes man and woman, basta parlare del cagnolino Dudu e della fidanzata trentenne, basta parlare di pitonesse e di falchi, basta parlare di un miliardario che ha occupato con i suo interessi lo spazio pubblico e gli interessi pubblici.

Vorrei svegliarmi domani mattina sentendo parlare un altro linguaggio, trattare di altri Costa 2temi, vedere altre facce e sapere che da qualche parte ci sono quelle persone e talenti che hanno saputo rimettere in piedi il più grande relitto che la storia della navigazione abbia conosciuto. L’Italia è un po’ come la Costa Concordia e finalmente lo Schettino, truffatore e furbetto, è stato accompagnato sul viale del tramonto, ora abbiamo bisogno di una grande squadra che rimetta in piedi il paese ma per navigare e non per rottamarlo.

La “normalità” debole tra “anomalie” forti

Il partito/movimento/setta di Grillo è certamente una forza di destra. C’è voluto un po’ di tempo per capirlo ma ora è chiaro. Dall’altra parte il partito padronale di Berlusconi è un’anomalia che nessun paese del mondo ci invidia.

Entrambe queste due forze anomale che abitano la nostra democrazia acciaccata tengono banco, occupano la scena impongono  l’agenda e spiazzano l’elettore inconsapevole con le girandole di trucchi, bugie, forzature ed escogitazioni bizzarre.G&B

La setta di Grillo non possiede democrazia interna, in nome di un cambiamento radicale estremo e a somma zero (o tutto o niente), spadroneggia tra insulti,  censure interne e litigi puerili senza aver provocato e stimolato nessun cambiamento. Il blocco dell’anomala destra italiana, innamorata del proprio leader carismatico, si aggrappa ai vetri dell’ingegneria giuridica per salvare un pregiudicato dalla decadenza dal suo ruolo di senatore e attore pubblico con manovre che fanno sorridere uno studente di giurisprudenza. Al centro di questa tenaglia l’unico partito con la p maiuscola, il partito democratico, si arrabatta con “antiche” procedure di dialogo interno, primarie, democrazia, confronto, che agli occhi degli italiani paiono procedure obsolete e prive di senso. Questa è l’anomalia italiana, dove dirigenti leghisti tra cui un  ex ministro pluri-dimissionario si permettono di insultare un ministro in carica senza che nessuno dica niente. E intanto un claudicante governo dalle larghe incertezze, galleggia su piccoli provvedimenti senza saper mettere mano ai veri problemi del bel paese. Perché per riformare questo paese, oltre alla volontà politica di una maggioranza monocolore, servirebbe anche una volontà del paese stesso, che langue ripiegata sul proprio interesse particolare e non sa più vedere il futuro e respirare il senso di un progetto sociale per il bene comune.

Globalizzazione del gusto e artigiani locali

Non farò nomi e non farò pubblicità, ma essendo varesino di nascita anche se non più residente, mi capita ogni tanto di ripassare per il centro di Varese e notarne i cambiamenti. L’estate indugia e le gelaterie proliferano e fanno affari. Ho notato così che un tempo il gelato non era così buono, così curato, così gustoso e variato. Così, comperato il mio gelato in un ameno pomeriggio Varesino, il pensiero è decollato mettendo a fuoco il contrasto tra globalizzazione del gusto e valorizzazione del prodotto artigianale locale.

Non conosco bene tutte le realtà artigianali della nostra provincia ma mi sono accorto di un dato molto interessante: più le multinazionali spadroneggiano comperando piccoli produttori, uniformando i marchi, decidendo mode e stili di consumo e di vita, e gelatodiventando la misura e la cifra dei consumi, più le realtà locali involontariamente, come un anticorpo che reagisce al virus, si specializzano, recuperando qualità, ingredienti di valore, lavorazioni e procedure che vanno verso l’esatto contrario della standardizzazione del gusto. Piccoli produttori di birra artigianale, piccoli produttori di gelato e immagino una miriadi di imprenditori e di artigiani scoprono il piacere della qualità, del gusto, del pezzo curato e dell’unicità del proprio talento. L’offerta si divarica così tra lo strapotere del capitale delle multinazionali che controllano vita, stili e gusti mettendo negli scaffali prodotti tutti uguali e la reazione virtuosa delle realtà locali che si accorgono che il prezzo senza la qualità, cammina con le sue gambe, ma non va molto lontano. La corsa quindi al recupero del d.o.c. del prodotto di qualità, del prodotto che nasce nelle condizioni esclusive di una regione per il suo clima, la sua esposizione geografica e le capacità artigianali di una manodopera qualificata diventa vincente, anche se forse lenta e difficoltosa la sua affermazione. Alla fine, dopo la grande abbuffata di docprodotti di massa per tutti, depotenziati di gusto e di qualità, forse il tempo è venuto perché le tradizioni tornino ad insegnare la cura, la laboriosità dei processi, la complessità delle lavorazioni che producono gusto e piacere del consumo. Un segno positivo nella desertificazione causata dallo strapotere dei grandi produttori e della grande distribuzione e delle grandi corporations che comandano su tutto e su tutti.