Greta Thunberg: l’utopia necessaria

Di movimenti collettivi non se ne vedono più da anni, forse risucchiati nell’agio del consumo, nella distrazione della tecnologia e nel fascino dell’opulenza. Ma i movimenti collettivi sono motori del cambiamento, soprattutto dove la politica non arriva più, per debolezza, sottomissione all’economia e codardia rispetto ai poteri di multinazionali e potenti gruppi bancari.
Un movimento collettivo ha bisogno non solo di un’idea forte e di un leader, ha bisogno anche della rabbia di chi vi partecipa.
Greta Thunberg ha portato luce su di un dramma epocale diventato più che urgente, nonostante già da tempo tutti fossero consapevoli del ritardo con il quale i potenti del mondo indugiano nel prendere misure. E qui viene il bello, la diagnosi è spietata e radicale: non ci sono misure da prendere. Bisogna cambiare il modello di sviluppo e di crescita! Bisogna ripensare tutte le coordinate della nostra vita a cui ci siamo confortevolmente affezionati e questa è la cosa più difficile da fare. I soggetti che sono protagonisti dell’economia e della finanza mondiale non sono interessati a cambiare il sistema che li rende ricchi e potenti, anche se stanno segando il ramo su cui sono seduti.Non lo vogliono vedere, offuscati da potere, denaro e privilegi. La domanda è: ce la farà il movimento che sta nascendo a sovvertire l’ordine economico costituito per avviare una nuova fase di cambiamento profondo e radicale? La mia risposta è: credo di no. Usiamo una metafora tutta italiana: il movimento 5 stelle arriva sulla scena con intenti ecologisti ed ambientalisti ambiziosi e radicali. Poi, non trovando altri alleati sul proprio cammino, si rivolge all’unico soggetto disponibile: la Lega di Salvini, un partito che colerebbe cemento in ogni angolo d’Italia, che vorrebbe TAP, TAV, ponti sullo stretto, infrastrutture che diano lavoro a tutti, imprenditori e muratori, per portare a casa un po’ di PIL (leggi blog precedente su Pil buono e Pil cattivo). E cosa succede? Tutte le ambizioni sul tema clima, ambiente, inquinamento, cementificazione vanno a infrangersi contro un lungo processo di mediazione e compromesso che finisce per svilire e dissolvere la spinta originaria.Cambiare il modello di sviluppo chiede prima di tutto di decolonizzare l’immaginario liberista dei fondamentalisti del mercato, che ancora credono alle favole e che stravincono riempiendo gli scaffali dei centri commerciali di oggetti inutili. Questo è il punto nevralgico. Le grandi masse di consumatori non sono né pronte, né interessate a considerare un modello alternativo di società fondata sulle relazioni e non sul possesso degli oggetti.
La tecnologia offre già il futuro in termini di mobilità, produzione di energia, economia circolare, produzione di cibo locale, ricostruzione dei tessuti urbani, edilizia bio-sostenibile, riorganizzazione della viabilità cittadina etc. C’è già tutto a disposizione, quello che manca è solo la volontà politica che è ingessata poiché succube e subordinata agli interessi dei grandi potentati economici. Chi tocca i fili muore. Per cambiare le cose serve un lungo e lento lavoro di erosione delle certezze sul successo del capitalismo e una lenta ed inesorabile crescita di una visione che un modello alternativo è possibile se viene elaborato dal popolo. Ma il popolo ancora non lo sa che sarebbe saggio desiderarlo. Greta Thunberg va dritto e dice cose sagge ma dall’altra parte bisogna che la scintilla prometeica di un nuovo movimento collettivo guidato da giovani, rimetta al centro il tema della sostenibilità e del modello di economia che vogliamo. Greta c’è e il suo ruolo lo ha svolto, riuscirà lo spirito dello “
Statu nascenti” a risorgere dalle proprie ceneri?

Salvini e i Rom

Da Berlusconi a Renzi a Salvini, ma cosa abbiamo fatto di male per meritarci tutto questo?

Salvini in questi giorni sembra un bambino che ha ricevuto un regalo più bello di quello che si aspettava. E’ spumeggiante, galvanizzato, eccitato per il nuovo gioco (ruolo) che si ritrova tra le mani. E che fa? Si scaglia contro il piccolo frammento più fragile della società italiana: i Rom, 0,23% della popolazione italiana.

Pensavo cominciasse il suo mandato da mafiosi, ‘ndranghetisti infiltrati nelle amministrazioni del nord, evasori incalliti, parassiti della pubblica amministrazione, fannulloni delle partecipate, evasori delle grandi aziende che con la loro furberia non pagano tasse all’erario. E invece no. Il neo ministro Matteo se la prende con i più deboli. Verrebbe da chiedersi – e nell’aria già risuona – se fare i gradassi con i più deboli non sembri più un gesto da bulli che da statisti?
I Rom un tempo erano una popolazione gioiosa, quando arrivarono in Italia intorno al 1470. Nomadi, artisti, artigiani, ballerini, allevatori di cavalli e addomesticatori di orsi. Un popolo tranquillo che si posizionava nelle periferie della provincia Italiana per portare una ventata di leggerezza, spettacoli e prodotti di artigianato (erano spesso abili nel lavorare il rame).

Oggi vivono in campi spesso degradati. La domanda allora da porsi è: sono loro che amano il degrado, oppure la società è cambiata e oggi rifiuta quello che ieri accettava di buon grado, quando erano invitati a fare spettacoli o a vendere i loro beni o a mostrare le loro arti? Va da sé che è la società che è mutata e potendo fare a meno di loro li ha abbandonati al degrado, loro che non sanno essere moderni, tecnologici, “civili” come lo siamo diventati noi. Loro che non tutti vogliono case di muratura, un lavoro fisso e integrazione come noi la concepiamo. Loro sono nomadi e vogliono vivere in modo diverso. Allora mi verrebbe da dire al sig. neo ministro degli interni: “vai a parlare con i capi del loro popolo e cerca di capire che cosa vogliono per uscire dal degrado e poter vivere come vogliono senza dover strisciare nella melma dei campi nelle periferie”. Forse porta meno facili voti ma c’è il rischio che si possa mettere sul tavolo un piano per sanare il degrado e offrire loro spazi, aree, infrastrutture per salvaguardare la loro identità e stile di vita, senza ricorrere a tristi pratiche di schedature. Il nuovo gioco Salvini, devi imparare ad usarlo, perché ora sei grandicello e non si può scherzare con la vita delle persone e se a qualche testa calda gli viene in mente di seguirti e fare gesti inconsulti contro i Rom, tu ne saresti responsabile. Pensaci neo ministro degli interni!

Uomini agli antipodi

Berlusconi decaduto è una buona notizia. Dove vada a scontare la sua penitenza è irrilevante, anche se molti si affannano a proporre soluzioni anche un po’ umilianti. Così, in questa competizione di profferte vorrei suggerirne una più simbolica che realistica. Dal momento che Berlusconi e il berlusconismo rappresentano il peggio del capitalismo Mujicamoderno, spregiudicato, familistico, clientelare, arrogante, al di sopra delle regole, forse un periodo di “stage” riabilitativo presso due giganti della modernità gli farebbero bene: sei mesi da Papa Bergoglio  e sei mesi da José “Pepe” Mujica. Non sappiamo cosa succederebbe, ma sono certo che non resterebbe indifferente alla loro nuova visione del mondo e che migliorando lui, migliorerebbe Papa Bergoglioanche un po’ lo spirito berlusconiano disceso in questi anni sull’Italia.

Questo Papa qua

Molti cominciano a pensare che questo Papa rischia troppo nell’essere così tanto Francesco. Parla di temi importanti in modo efficace e sincero, vuole riportare la chiesa di Roma su di un cammino originario nel solco del vangelo, condanna i comportamenti mondani, egoistici, il capitalismo predatorio, l’indifferenza , la ricchezza in quanto tale, il profitto sterile. Sembra un marziano per tanta forza in cui il suo messaggio irrompe nella nostra società secolarizzata. Papa Francesco

Sembra, dai primi passi, che la chiesa si stia rinnovando per davvero e da tempo non si sentiva una voce così autorevole, coerente e compatta nello smascherare le contraddizioni del capitalismo occidentale, delle sue malefatte, contraddizioni e sperequazioni che crea, fuori e anche dentro la stessa chiesa, introducendo trasparenza nella sua banca, lo Ior, chiedendo di utilizzare le strutture dei conventi disabitati per ospitare i profughi e i diseredati del mondo, rimproverando anche la sua gerarchia da comportamenti eccessivamente mondani e introducendo parole che sono la rivoluzione della normalità per una chiesa che si voglia tale.

E tutto il mondo resta basito di fronte alla normalità del suo messaggio che diventa dirompente solo perché il mondo è cambiato e la chiesa stessa si è fermata diventando estranea ai più, incomprensibile nelle sue posizioni teologicamente rigide e lontana dai più umili e più deboli, tutta protesa a salvaguardare i principi teologici di una logica interna rigorosa quanto sterile e a seguire le logiche di mercato facendo profitto dalle proprie strutture immobiliari e da alcune delle proprie attività interne (musei, visite guidate, vendita materiale religioso, etc). Nonostante esista sempre una chiesa di aiuto e di supporto, l’immagine della chiesa degli ultimi anni è stata di un’organizzazione lontana dalle persone e dal mondo, fatta di apparato, interessi e rinchiusa nella propria logica essa stessa secolarizzata.

Un Papa come Francesco sembra essere  una minaccia più  per la chiesa stessa, per i suoi apparati e  per la sua gerarchia,  piuttostoche che per la sua teologia e così tanto benefico per il mondo intero,  che ci auguriamo un lungo pontificato che possa proseguire la dirompente novità, annunciata in quel “buona sera” la notte della sua elezione. Coraggio Papa Francesco!