L’articolo 18 è una tutela, una protezione del lavoratore di fronte all’arbitrio di un imprenditore che a fronte di un momento difficile o per la sua incapacità di gestire l’azienda vorrebbe licenziarlo. Tutelando i lavoratori delle aziende con più di 15 lavoratori da un possibile licenziamento arbitrario e senza giusta causa, non si fa altro che un atto di civiltà riportando un po’ di equità nell’eterno conflitto tra il capitale forte e il lavoro debole. Questo governo di “sinistra” crede ai valori del mercato come meccanismo che si autoregola e vuole togliere una delle tutele dei lavoratori appellandosi alla forza del mercato, al ruolo delle multinazionali e ai capitali stranieri che di colpo sceglierebbero di investire in Italia. Questa è una favola per ingenui. La rimozione dell’art. 18 va nella direzione di comprimere i salari perché il lavoratore sarebbe più esposto e quindi – con meno tutele – più ricattabile. Il modello è quello di fare concorrenza ai paesi emergenti, non investendo sulle abilità, sulle specificità italiane, sul potenziale creativo e innovativo, ma schiacciando i salari verso il basso per poter competere contro di loro proprio sul loro terreno.
Ed è una favola che le multinazionali (che Dio ce ne scampi) sceglierebbero l’Italia se le tutele del lavoro fossero assottigliate. Le multinazionali scelgono i loro investimenti in termini di efficienza marginale del capitale. Se investo 100 e alla fine dell’anno guadagno 110 allora vale la pena investire. Ma prima ancora di vedere se possono liberamente licenziare vorranno verificare se il sistema della giustizia funziona, se la banda larga esiste, se la burocrazia non li soffoca, se le infrastrutture ci sono. L’ultima cosa che guarderanno è se possono licenziare con facilità. Un buon imprenditore desidera tenersi stretti le professionalità che ha formato.
In un momento in cui veramente servirebbero politiche keynesiane di sostegno alla domanda, ci vengono a raccontare che sono le riforme sul mercato del lavoro che potrebbero risolvere la crisi.
La crisi è figlia primogenita dell’eccesso di libertà e delle perversioni del mercato oligopolistico dei gestori della finanza. Il tempo delle favole pensavo fosse finito, o almeno sembrava con l’era Renzi, un bravo boy scout attento ai ceti più disagiati in un’epoca martoriata da una profonda crisi. Che ci fossimo sbagliati?