Il vero protagonista del declino della cultura democratica in Occidente è il liberismo, un’ideologia economica che pone il mercato al centro di ogni transazione sociale e politica. Questa visione riduce lo Stato al ruolo di semplice “gendarme”, delegittimando ogni suo intervento regolatore in favore di un apparente ordine naturale dettato dalle forze del mercato. Oggi, il liberismo è diventato la “normalità” in cui viviamo, un paradigma talmente radicato che ne percepiamo raramente la pervasività. Ha alterato profondamente il modo di pensare, agire e relazionarci, penetrando nella vita quotidiana e trasformando le dinamiche sociali.
Questo modello economico ha avuto un impatto devastante sulla sinistra politica, in Italia come nel resto d’Europa e del mondo. La crisi della social-democrazia si origina proprio dalla sua incapacità di opporsi alle logiche dell’ultra-liberismo quando è stata al governo. Di fronte alle pressioni della finanza globale, degli oligopoli e dei grandi centri di potere economico, la sinistra ha finito per adattarsi, rinunciando alla sua vocazione storica: regolamentare il mercato, redistribuire la ricchezza e garantire i servizi fondamentali come sanità, istruzione, tutela ambientale ed equità sociale.
Questo allineamento al capitalismo ha piegato l’ideologia social-democratica, lasciandole unicamente la difesa dei diritti civili. Seppur importanti, questi temi non bastano a colmare il vuoto lasciato dalla mancata attenzione ai bisogni economici e sociali delle persone. Il tradimento dei principi fondamentali della sinistra ha generato un disincanto profondo nell’elettorato, contribuendo a un’astensione dilagante. Quando quasi metà degli elettori sceglie di non votare, come dimostra il tasso di astensionismo vicino al 50%, è chiaro che il legame di fiducia tra cittadini e politica è stato spezzato.
Il liberismo non si è limitato a ridisegnare l’economia, ma ha sostituito le tradizionali liturgie sociali e religiose con nuove forme di aggregazione centrate sul consumo. I centri commerciali sono diventati le nuove “cattedrali” della vita sociale, luoghi dove si riversano intere famiglie nel fine settimana. Qui, sotto lo stesso tetto, si trovano cibo, abbigliamento, tecnologia, mobili e intrattenimento: una combinazione irresistibile che soddisfa il bisogno di consumo e quello di socialità. La piazza, un tempo cuore pulsante della vita comunitaria, è stata svuotata del suo significato, così come i circoli culturali o le celebrazioni religiose, ormai percepite come obsolete. Il rito della messa si è trasformato in un’esperienza marginale, mentre quello del consumo si è affermato come la nuova liturgia dominante.
Questa rivoluzione sociale ha anche modificato profondamente le relazioni interpersonali, sostituendo la collaborazione con la competizione. Il confronto con l’altro non è più un’occasione di scambio o crescita, ma un terreno di scontro per ottenere un vantaggio. La concorrenza, nata come dinamica economica, è diventata una filosofia di vita, penetrando nella scuola, nel lavoro, nei rapporti familiari e persino nelle amicizie. L’altro non è più un alleato, ma un rivale da superare.
Questa trasformazione si riflette anche su scala globale, influenzando dinamiche politiche e militari. Le guerre contemporanee non sfuggono a questa logica: i conflitti non sono solo scontri tra nazioni, ma anche opportunità per potenti gruppi economici di accrescere i propri profitti. Le lobby delle armi, del cibo e dell’industria, con le loro strutture oligopolistiche, finanziano la politica e ne orientano le decisioni. La produzione di armi, ad esempio, si intreccia con la politica estera, spingendo per l’armamento dei belligeranti e perpetuando così un circolo vizioso di violenza e profitto.
Il liberismo, con la sua capacità di plasmare il nostro modo di pensare e vivere, non ha solo ridisegnato l’economia, ma ha costruito un nuovo immaginario collettivo. Se non si mettono in discussione questi paradigmi, si rischia di perdere di vista i valori fondanti della cooperazione, della solidarietà e della giustizia sociale, essenziali per ricostruire un modello di convivenza più equo e umano.