La vergogna è senza fine

Sono un compositore iscritto alla Siae, la società italiana degli autori ed editori il cui presidente è Gino Paoli, cantautore ligure, famoso nel mondo per le sue bellissime melodie. Apprendo che il nostro presidente è fortemente preoccupato al danno di immagine che gli verrebbe dal fatto che molto probabilmente sta emergendo che ha evaso al fisco italiano la bellezza di due milioni di euro. Paoli
Forse Gino Paoli era stato messo al vertice della Siae proprio perché rappresentava una faccia pulita che finalmente voleva occuparsi di un settore monopolistico che tanto assomiglia ad una lobby dove nelle passate gestioni che si sono alternate non sono mai riuscite a farla diventare un organismo veramente trasparente a tutela degli autori ed editori. Ed eccoci che ci risiamo, anche la faccia pulita di Gino Paoli si rivela essere un incallito evasore alla veneranda età di ottant’anni e la sua preoccupazione resta solo quella di tutelare la sua di immagine, non il danno di credibilità che arreca a tutto il mondo dei soci siae, al mondo della cultura e all’Italia degli autori ed editori, dimostrando di non essere all’altezza del compito? Il suo commercialista gli suggerisce di attendere nel dimettersi dalla carica di presidente ma noi piccoli soci vorremmo suggerirgli di farlo al più presto. “Senza fine, tu trascini la nostra vita” e scivoli nel più antico degli italici vizi della scorrettezza. Ma non c’è proprio nessuno in grado di esercitare con dignità il compito che gli è stato affidato?

Il paradosso Italia: due comici i più seri

Nello spettacolo da basso impero che l’Italia non smette di proporci – immersa com’è nei suoi antichi vizi – spiccano due figure che per grandezza, perspicacia e lungimiranza surclassano di gran lunga la mediocrità divenuta regola.  Roberto Benigni da una parte e Beppe Grillo dall’altra rappresentano delle schegge di umanità, di visioni del mondo, emozioni che di rado si trovano concentrate nei profili ordinari che costellano la nostra quotidiana esperienza, al netto di tutti i talenti, lavoratori, artisti e uomini di buona volontà italici. benigniMa se questi ultimi decenni l’Italia ha prodotto un’eccellenza, questa viene proprio da due figure di giullari talentuosi che per gran parte della loro vita artistica precedente ci hanno fatto ridere e sorridere. Ma ognuno di loro aveva in nuce qualcosa che con il tempo sarebbe maturato: la critica sociale in Beppe Grillo e la potenza di approfondimento delle emozioni per opere dimenticate o incomprese o superficialmente esperite. Ed ecco che Grillo diventa leader di una forza politica dal 25% mentre dobbiamo attendere Benigni per comprendere l’importanza e la bellezza della nostra costituzione, per vibrare di fronte alla criptica divina commedia di Dante oppure essere illuminati dal senso ampio e profondo del decalogo del vecchio testamento. Ci sono voluti due comici per risvegliare senso civico da una parte ed grilloemozioni autentiche e profonde dall’altra, in un’Italia in ginocchio dopo vent’anni di dominio della triste cultura delle TV commerciali e una vertiginosa “descensus ad inferos” nel magma dove politica, malaffare e mediocrità si sono abbracciati in una danza orribile. L’uno in grado di svelare la fragilità e la debolezza del potere, avvezzo ad arroccarsi dentro le proprie logiche autoreferenziali, lontano dal mondo, dalla realtà e dalla gente, l’altro in grado di ridare vita e senso alle pietre miliari della nostra cultura, la letteratura del divin poeta, la forza della nostra costituzione e la profonda saggezza e fascinazione del cristianesimo delle origini, Che dire? Per citare qualcuno: questo non risolve i nostri problemi ma almeno un po’ ci aiuta.

L’icona dell’ingiustizia

Il ministro Franceschini commenta che le proteste alla Scala di Milano creano un “danno di immagine all’Italia”. In effetti è piuttosto fastidioso che povertà, degrado, ingiustizia, malaffare, corruzione, sperpero di denaro pubblico, collusioni mafiose facciano indignare le persone proprio mentre il bel mondo esclusivo (nel senso letterale del termine) cerca di dare lustro all’Italia e alle sue serata con una prima sfavillante al teatro La Scala di Milano. Uno scandalo che non si riesca a tenere a bada l’indignazione, che non si riesca ad allontanare la rabbia, che non si riesca a reprimere i facinorosi che si permettono di protestare il loro disagio. conflitto
La serata della prima è l’icona dell’Italia dove la spaccatura tra benestanti e gente comune è arrivata ad un limite pericoloso e se ne vede la rappresentazione in tutta la sua drammaticità: vestiti di alta moda, personaggi della finanza e della politica, uomini e donne di spettacolo, imprenditori che si permettono una tranquilla serata di buona musica costruita con i talenti e il lavoro di italiani mentre dall’altra parte delle barricate si mescolano disoccupati a studenti, immigrati a gente che non ce la fa più, resa rabbiosa non solo dalla crisi che li ha stesi al tappeto ma dall’ulteriore umiliazione di scoprire ogni giorno di più che i soldi pubblici in molti casi servono per alimentare il sodalizio tra criminalità e politica, come un mani pulite infinito. Così dopo gli scandali di Milano expo, il Mose di Venezia, le ricostruzioni dei vari terremoti, mafia Capitale a Roma si fa presto a comprendere che il limite è stato superato. E mentre la politica si agita dentro le sue rigide logiche di gestione del potere e del consenso l’Italia naufraga, una volta di più nello sconforto e nel disincanto. In tutto questo un presidente del consiglio che si dice di sinistra fa le politiche che la destra non è riuscita a fare riesumando una terza via blairiana datata vent’anni, senza prospettare una vera visione e progettualità organica per lo sviluppo dell’Italia, sedendosi al tavolo con un pregiudicato inviato ai servizi sociali per gravi reati contro la collettività. Lo abbiamo già detto che la madre di tutti i problemi è la disuguaglianza sociale estrema e non ci GINI_Index_SVG.svgstancheremo di sostenere che fintanto che inseguiremo il mito del mercato libero che permette che un imprenditore prenda duecento volte di più del suo operaio le contraddizioni, i conflitti sociali e la rabbia dei meno abbienti non smetteranno di crescere. Scopriremo forse un giorno che è interesse di tutti vivere in una società più equa. Le statistiche mondiali misurate con l’indice di Gini (che misura la distribuzione della ricchezza in un paese) ci dice che la qualità della vita è più alta dove la distribuzione della ricchezza è più equa.

Il trionfo del brevissimo termine e il politico marketing

Il crollo inesorabile di ideologie e valori che la modernità ci sbatte in faccia ogni giorno con sfacciata evidenza lascia un solo eroe trionfante protagonista maldestro sul suo cammino: il mercato, soggetto bizzarro come un adolescente che non sa gestire tutta quella carica ed energia che non conosce confini e limiti.marketing3

Essere politico in questa fase della storia è cosa difficile veramente. Essere politico che pensa il bene comune, che pensa di correggere le  disuguaglianze sociali, che ha una visione e un progetto sociale, che guarda al di là dello steccato dei propri piccoli interessi e di quelli della sua parte politica è cosa difficile. Che cerca di tenere a bada le forze regressive della finanza e del mercato libero è cosa impossibile. Che pensa all’uomo inserito in una rete di rapporti tra uomini e tra gli uomini e il loro ambiente naturale, che pensa al futuro guardando alla storia. E’ totalmente utopia.marketing2

Oggi  più che mai il politico è marketing, è l’arte di conquistare un po’ di consenso che sia spendibile in  immediato potere. Oggi più che allora non contano le idee ma conta cosa desidera l’elettorato. Né di destra né di sinistra ma nel flusso del consenso. Serve piacere e manifestarsi, serve visibilità e comunicazione, servono contatti e opportunità, le idee, i progetti, la pianificazione di una visione, un sogno, un’utopia sono “old fashioned”.  La politica diventa marketing del consenso facendo naufragare qualsiasi forma di valore. I valori sono bandierine da usare all’occorrenza, per questo destra e sinistra si sono svuotati di significato e non rappresentano più visioni del mondo contrapposte e dialettiche. Si cavalca qualsiasi opportunità anche se le cose dette sono menzogne. Menzogne sulla crescita, menzogne sugli immigrati, menzogne sulle regole del gioco, una fiera infinita di piccole e grandi bugia al servizio di un minimo consenso. Uomini senza prospettive poiché senza una struttura di valori. Venduta anche questa per un pugno di voti. Il mercato, nella sua forma estrema, senza regole e senza guide sta erodendo lentamente ogni struttura di pensiero di valori, di visione globale dello sviluppo, di concetto su cosa è bene e cosa è male per gli uomini, per la società, per il vivere comune. Il politico resta così un uomo piccolo, con piccole idee, piccole missioni, piccole ambizioni e piccole capacità. Non possiamo non aspettarci che la nostra società non gli assomigli.

L’articolo 18 e la favola delle multinazionali

L’articolo 18 è una tutela, una protezione del lavoratore di fronte all’arbitrio di un imprenditore che a fronte di un momento difficile o per la sua incapacità di gestire l’azienda vorrebbe licenziarlo. Tutelando i lavoratori delle aziende con più di 15 lavoratori da un possibile licenziamento arbitrario e senza giusta causa, non si fa altro che un atto di civiltà riportando un po’ di equità nell’eterno conflitto tra il capitale forte e il lavoro debole. Questo governo di “sinistra” crede ai valori del mercato come meccanismo che si autoregola e vuole togliere una delle tutele dei lavoratori appellandosi alla forza del mercato, al ruolo delle multinazionali e ai capitali stranieri che di colpo sceglierebbero di investire in Italia. Questa è una favola per ingenui. La rimozione dell’art. 18 va nella direzione di comprimere i salari perché il lavoratore sarebbe più esposto e quindi – con meno tutele – più ricattabile. Il modello è quello di fare concorrenza ai paesi emergenti, non investendo sulle abilità, sulle specificità italiane, sul potenziale creativo e innovativo, ma schiacciando i salari verso il basso per poter competere contro di loro proprio sul loro terreno.art 18 bis

Ed è una favola che le multinazionali (che Dio ce ne scampi) sceglierebbero l’Italia se le tutele del lavoro fossero assottigliate. Le multinazionali scelgono i loro investimenti in termini di efficienza marginale del capitale. Se investo 100 e alla fine dell’anno guadagno 110 allora vale la pena investire. Ma prima ancora di vedere se possono liberamente licenziare vorranno verificare se il sistema della giustizia funziona, se la banda larga esiste, se la burocrazia non li soffoca, se le infrastrutture ci sono. L’ultima cosa che guarderanno è se possono licenziare con facilità. Un buon imprenditore desidera tenersi stretti le professionalità che ha formato.

In un momento in cui veramente servirebbero politiche keynesiane di sostegno alla domanda, ci vengono a raccontare che sono le riforme sul mercato del lavoro che potrebbero risolvere la crisi.art 18

La crisi è figlia primogenita dell’eccesso di libertà e delle perversioni del mercato oligopolistico dei gestori della finanza. Il tempo delle favole pensavo fosse finito, o almeno sembrava con l’era Renzi, un bravo boy scout attento ai ceti più disagiati in un’epoca martoriata da una profonda crisi. Che ci fossimo sbagliati?

L’inciampo del primato della matematica secondo Odifreddi

Secondo il brillante matematico Piergiorgio Odifreddi la matematica è da sempre impigliata nella rete del malinteso, della cattiva didattica, delle intrinseche difficoltà mai sciolte. Eppure – lui dice – lo sguardo al mondo del matematico rivela una profondità e una verità che neanche l’arte riesce a raggiungere. Servirà questa sfida? A chi poi? Lui enuncia le ragioni del perché la matematica, così utile e centrale nel mondo moderno, continua ad essere marginalizzata nell’esperienza delle persone, degli studenti e anche insegnata piuttosto freddamente dai docenti nelle scuole. Snocciola spiegazioni fisiologiche argomentando che l’intelligenza matematica si sviluppa solo dopo quella musicale, motivazioni psicologiche teorizzando che il fallimento del calcolo genera frustrazioni, motivazioni sociologiche che odifreddispiegherebbero che secondo la tradizione umanista e crociana italiana i matematici sono il pericolo e vanno tenuti sotto controllo per infine arrivare ad usare spiegazioni pedagogiche sostenendo che i programmi scolastici somministrati nelle scuole (peraltro vero) sono obsoleti e noiosi per cui alla fine tutte queste ragioni lascerebbero questa disciplina nell’angolo.

E’ vero, e condivido che la matematica apre a visioni e interpretazioni del mondo dove si riesce ad intravvedere la perfezione del creato, la complessità e la fascinazione del disegno e della logica che lo sottendono. Per cui conoscerla bene, apprezzarne lo spirito e la capacità interpretativa del mondo aiuterebbe ad conoscerlo , apprezzarlo e rispettarlo, ma Odifreddi dimentica, nel suo intervento “La bellezza matematica nascosta del mondo” che proprio grazie alla ordine cosmicomatematica, la  scienza e la tecnica hanno piegato il nostro mondo ad un dominio che segue oramai solo la sua logica interna. La tecnologia, oramai sganciata dal sapere scientifico, procedere su praterie di innovazioni che nulla hanno a che vedere con il benessere e la felicità delle persone. E lo fa stanno seduta sulle spalle della matematica, che presta i suoi servigi al mercato piuttosto che alla politica che dovrebbe agire per il  bene comune. Odifreddi dimentica che è proprio grazie all’abuso del sapere matematico da parte della finanza, dei tecnici e degli scienziati, che si è fatto scempio dell’ambiente e dei rapporti umani. Il calcolo divenuto strumento di interessi ha distrutto i rapporti fondati sulla solidarietà, transitando la società da una dimensione comunitaria ad una di tipo societaria.

L’arte non ha questa responsabilità e pur non intravvedendo nei dettagli scientifici le logiche del cosmo, dell’universo, non conoscendo perfettamente  le frequenze delle onde luminose,  gli spettri elettromagnetici, le orbite dei pianeti e la fisiologia delle piante, riesce a raccontare la vita, la complessità, la bellezza del mondo e anche ciò che il mondo sta perdendo  da una prospettiva diversa, che non la rende mai complice del disastro a cui assistiamo. Si può e si deve apprezzare la matematica, studiarla meglio e amarla per la sua profondità, ma bisogna anche che serva a riparare ai danni che lei stessa ha causato. Una sinfonia di Gustav Mahler in nessun momento ha distrutto un fiore in un campo e artel’architettura di una fuga di Bach, mostra in modo più istantaneo, completo e gradevole gli ordini nascosti del mondo, e in più può accedere a questa esperienza estetica anche la persona più ignorante della terra. Ci sarà pure una differenza?

Irpef o Irap: due visioni del mondo

In derby tra Irpef (imposta sul reddito delle persone) e Irap (imposta regionale sulle attività produttive) non è altro che la storica rappresentazione e contrapposizione tra  sinistra e destra: sostenere i ceti deboli e il loro consumo oppure detassare il capitale produttivo? Che un governo guidato dal centro-sinistra sia di fronte al dubbio è già significativo di quanta sinistra sia rimasta in Italia. Ma al di là delle contrapposizioni merita un’analisi su quale delle due riduzioni porti più effetti e crescita dell’economia.tasse2

Quando il sistema economico ristagna da anni con una domanda interna molto debole, è molto probabile che un aiuto ai consumatori di fascia di reddito bassa e medio-bassa, si traducano immediatamente in consumi di beni e servizi. Un imprenditore, anche se in sofferenza, non assumerà e non si metterà a produrre di più se non è incentivato dalla domanda di beni e servizi che proviene dai consumatori, a meno che non ci siano rivoluzioni tecnologiche all’orizzonte, nuovi mercati che si aprono oppure beni che producendoli creino essi stesi un forte incremento della domanda. Gli investimenti sono una funzione dell’efficienza del capitale. Se un imprenditore non pensa di guadagnare nel medio termine, non rischia tassedenaro, né proprio né quello delle banche. Ma un consumatore che non tira la fine del mese, se riceve 100 euro in più, li trasforma immediatamente in consumo. In questo caso la ricetta keynesiana a mio parere si mostra molto più efficace che la ricetta neo-liberista. E tutto questo considerando strettamente la logica economica e senza contare che un po’ più di giustizia sociale non farebbe neanche tanto male.

Noi gente a sud della Svizzera

Noi gente del nord un po’ ce lo meritiamo. Trattiamo male i meridionali da decenni, per non dire gli albanesi i marocchini o i senegalesi e adesso tocca un po’ anche a noi. Qualcuno più a nord vuole mettere un tetto al numero dei migranti e frontalieri e ci tratta come noi trattiamo i lavoratori del sud. Vedi un po’ i casi della vita. Magari impariamo qualcosa. O meglio lo imparano gli italiani che hanno cavalcato la discriminazione da lustri.

Detto questo forse bisognerebbe anche spiegare agli svizzeri (a quelli del Canton Ticino soprattutto) che quando per decenni gli italiani benestanti hanno rimpinguato le loro emigrantibanche di capitali fuggiti illegalmente dall’Italia, o hanno costruito le loro infrastrutture nel dopoguerra ammazzandosi di lavoro nei tunnel e nelle autostrade, si sono leccati i baffi e sornioni ne hanno ben approfittato. Quando poi il livello dell’acqua scende con la crisi lasciando all’asciutto qualcuno del loro popolo che fatica – ahimè anche nella florida Svizzera – a trovare lavoro, allora si corre ai ripari con le quote e contingentando le entrate.

Ma ricordiamoci che oggi, nel Canton Ticino non vanno più solo operai, muratori ed infermieri, ma la Svizzera chiede tecnici, ingegneri, professori e quadri dirigenziali. Forse più che la crisi morde l’invidia che gli Italiani sono bravi, competenti, preparati e creativi e che nella ridente e verde Svizzera qualche volta scarseggia il capitale umano e la riserva di professionalità sta proprio di qua.

Come diceva qualcuno, “questo non risolve il problema ma un po’ aiuta”

Abbiamo un’opposizione in Italia?

Tanto rumore per nulla, verrebbe da dire. Forse non siamo più abituati in Italia ad avere un’opposizione da molti lustri.  Sebbene in modo colorito, eccessivo, sgangherato e un po’ folcloristico – amplificato da un web sconcio che non nasconde nulla e dà la parola proprio a tutti, anche a coloro che non sanno perché parlano, -l’Italia scopre che i parlamentare del movimento cinque stelle  cominciano a fare un’opposizione degna di questo nome. Di fronte a questa nuova creatura che nasce con vagiti e urla assordanti, il sistema delle alleanze comincia a scricchiolare  mostrando la vecchiezza dei suoi modi e costumi. Ne sono un esempio la “ghigliottina” della presidente della camera che sembra essere una reazione eccessiva di nervosismo ma anche lo scandaloso incontro  Renzi-Berlusconi sulla legge elettorale che assomiglia molto alla vecchia pratica  democristiana  di Forlani e Craxi.parlamento

Non Beppe Grillo o Casaleggio, che muovono i fili per i loro interessi, ma un gruppo di parlamentari mossi da spirito civico, imparano la lotta civile per il bene comune e non si fermano davanti a nulla mostrando di non avere timore reverenziale per i navigati potenti che si sono ramificati nei gangli delle istituzioni. La stampa ci ricama perché  deve vendere la propria merce al mercato dei lettori, ma forse la presenza di persone pulite che hanno voglia di lottare potrebbe essere il segno che qualcosa comincia a cambiare. boldrini

La nascente opposizione contrasta in modo netto con gli ultimi gesti disperati del miliardario di Arcore lasciando nell’ombra un partito democratico che si sta democristianizzando. Questa immagine si cristallizza  mostrando il nuovo e il vecchio e, come spesso accade, i sommovimenti veri innescano restaurazioni alimentate dalla paura di perdere i privilegi acquisiti. Quello che manca nello scacchiere è una sinistra vera, che rappresenti le istanze dei lavoratori, dei pensionati, dei giovani, dei disoccupati e delle imprese che si modernizzano. Prima o poi qualche soggetto si renderà conto di questo vuoto e lo riempirà. Allora forse l’Italia avrà passato il suo periodo di quarantena berlusconiano e potrà rimettersi in cammino con dialettiche vitali fondate su progetti e idee a confronto. Stiamo a vedere….

Cittadini e politici: piccola antropologia dell’italianità

Qualcuno ha detto che i nostri politici sono lo specchio della società civile. Perché mai non dovrebbe essere così?

Dopo quasi sessant’anni di democrazia in Italia il senso di fastidio per la politica e per i politici è cresciuto in modo esponenziale: dai più noti puttanieri ai piccoli imbroglioni, dai grandi evasori agli occulti manovratori, dagli ingenui furbacchioni alle vittime di complotti, dagli inconsapevoli a cui comprano case vista Colosseo ai più “sfigati” che con complotti si ritrovano la terrazza riparata, da chi piazza il figlio a chi piazza la famiglia, da chi si fa rimborsare le spese per le mutande a chi si compera il suv perché nevica. La lista è infinita ed è nauseante. Ma perché tutto il peggio dovrebbe essere concentrato proprio nella politica? Forse è vero, come abbiamo scritto altrove in questo blog, che la politica è anche un po’ come una lotteria: chi ci arriva gode di privilegi, benefit, redditi e prebende innumerevoli ma nella massa di politici certamente ce ne sono un’infinità corretti, Sordimoralmente integri e appassionati. Ma allora cosa sta a significare il “Tutti a casa! Non se ne può più di questa classe dirigente” che si leva da più parti? Sta a significare che è tempo che in quel luogo del privilegio ci vadano altri a fare disastri e a godersi la bella vita. Se è vero che i politici non sono altro che noi stessi con un po’ più di fortuna, molta ambizione,  un po’ di faccia tosta e buona attitudine al compromesso, allora significa che si tratta di snellire il turn over e che sulla giostra ci salgano anche altri cittadini.

L’Italia è giovane, troppo giovane e nella sua storia lo straniero ha richiesto gabelle e balzelli per secoli. Non ci piace pagare e siamo creativi per evadere tanto quanto siamo egoisti e individualisti. Il boom economico ha dato un grande aiuto a rinforzare i difetti italici. Non esistono gli uomini della provvidenza. I politici siamo noi, così come i partiti siamo noi.  I loro difetti sono i nostri, non esistono buoni e cattivi ma il mal costume della politica è il malcostume che pratichiamo prima o poi un po’ tutti. Non è detto che sia possibile trasformare un italiano in un cittadino europeo civile, rispettoso delle regole, solidale ed eticamente rigoroso. Non è detto che ci si riesca perché non sa dove impararlo, i maestri non ci sono e il contesto della società tecnica non lo aiuta. Impariamo a sopravvivere nella polvere e a muoverci come animali nella savana, attenti e disincantati predicando bene e razzolando come possiamo. Essere consapevoli forse aiuta ad essere meno indignati, perché fino a qui pare che neanche l’indignazione aiuti il cambiamento.