Nella rappresentazione dominante del mondo il nutrimento è il cibo e tutto quello che va con sé, la sua produzione, distribuzione e anche tutto quello che ne discende, ne sono un grande volano di vita e sviluppo economico: da quando le società sono passate dalla produzione per l’auto sostentamento alle economie di sovrappiù si è scatenata la forza dell’accumulazione che non ha pari come motore nella storia. Poi è iniziato il declino dell’occidente: capitalismo sfrenato, dottrina del liberismo e divaricazione progressiva e conseguente disuguaglianza tra i possessori del capitale e i lavoratori che si è accentuata con la finanziarizzazione del capitalismo. E tutto questo è avvenuto come per la storia della “rana nell’acqua bollente”: non ce ne siamo quasi accorti perché il tutto è avvenuto progressivamente. Oggi il capitale ha vinto, l’immaginario è stato colonizzato e la fede della “crescita economica infinita” è penetrata nella visione del mondo delle masse di occidente e oriente, fatta eccezione per culture che vivono al riparo dal fenomeno della globalizzazione. Eppure se noi siamo quello che siamo non è solo per lo sviluppo della scienza e della tecnica, forse se siamo quello che siamo è perché abbiamo sempre nutrito il nostro immaginario e formato la nostra coscienza e il nostro spirito attraverso l’arte e forse proprio la “tecnica”, figlia ribelle della scienza – heideggerianamente parlando – ha posto limiti allo sviluppo e alla coscienza dell’uomo.
Se c’è del vero perché allora dimenticarsi oggi degli artisti? Perché relegare molte arti a forme di intrattenimento e non dare loro la centralità che meritano? E’ spesso vero che l’offerta d’arte supera di gran lunga la domanda. Ma questo avviene perché nel nostro stile di vita, nella nostra educazione e nelle nostre pratiche quotidiane abbiamo espulso l’esperienza artistica come esperienza fondamentale e ordinaria e l’abbiamo marginalizzata a momento di svago, intrattenimento mondano, esercizio di virtuosità culturale. Eppure l’arte è una delle esperienze che connette gli strati più profondi dell’animo umano mettendoli in relazione alla realtà sociale e all’esperienza perduta di una condizione felice. L’arte, secondo una certa estetica, in molte delle sue forme racconta l’infranto della nostra esperienza alienata e ne ricostruisce frammenti, mostrandoci aspetti della vita autentica che nel quotidiano sono andati progressivamente eclissandosi. L’esperienza artistica ricostruisce quello che la storia ha distrutto e permette di vedere lontano, dentro e fuori di noi alla velocità della luce. L’esperienza dell’arte cambia chi la fa. Siamo diversi quando usciamo da una visita di una mostra di un bravo pittore rispetto a quando siamo entrati; siamo diversi quando il concerto è finito e usciamo dalla sala da concerti, e via così parlando di cinema, di architettura, di arti plastiche o fotografia. L’esperienza artistica migliora, sia colui che crea, sia coloro che la fruiscono.
Eppure, al di là dei “mercanti d’arte” che rispondo proprio alla logica degli interessi particolari e usano l’arte per arricchirsi, di norma le arti – nella società neo-liberista – o sono inglobate per produrre profitto, oppure sono marginalizzate nell’intrattenimento. L’arte non è centrale nell’esperienza dell’uomo nella vita moderna. E non può esserlo perché non solo non è funzionale al perseguimento di interessi e quindi funzionale al meccanismo produttivo, ma rappresenta uno spazio di totale libertà che diventa essa stessa critica del sistema e quindi pericolosa. Il sistema capitalistico neo-liberista ha paura della libertà, dello spirito critico, della conoscenza e dell’approfondimento psicologico. Perché questi aspetti finirebbero per smascherare le contraddizioni di un sistema costruito su interessi, inganni, diseguaglianze, competizione, calcolo, uniformizzazione degli stili di vita, appiattimento delle differenze, fondato su cibo spazzatura, consumi compulsivi, intrattenimento becero, ottundimento di massa, dove l’uomo rimasto solo, lontano dai suoi legami più profondi con i suoi simili e con la natura si ritrova in compagnia solo del proprio ego e non gli resta che nutrirlo e accudirlo come si nutre e accudisce il proprio animale domestico, aiutato dallo sviluppo dei social media.
Eppure basta guardare l’espressione di qualcuno che si sofferma di fronte ad un quadro, o il piacere e lo stato psico-fisico che cambia quando ascoltiamo un concerto, oppure quando vediamo l’armonia dell’architettura di genio: sono esperienze profonde e necessarie.
Oggi, nell’epoca del covid 19 molti artisti sono ridotti sul lastrico, attori che non possono salire sul palcoscenico, musicisti che vivendo di concerti, restano a casa con i loro strumenti, maestranze, tecnici di tutti i settori dello spettacolo che non hanno tutele e aiuti. E si sente parlare di aiuti alle imprese, al commercio, alle grandi aziende, ai parrucchieri e ai ristoranti, ma non si sente parlare di aiutare chi rende la nostra vita migliore avendo fatto una scelta importante di occuparsi di attività artistiche, consapevoli che fuori dal mercato è difficile vivere e che tutto si gioca dentro le regole del mercato, con tutti i compromessi che il mercato chiede. Verrebbe da dire “extra mercatus nulla salus” (non c’è salvezza e vita se si sta fuori dal mercato).
Questa è una delle forme della deriva della civiltà del mercato, che non si accorge di dimenticare chi ha fatto grande il suo popolo e non si ricorda più di quanto l’esperienza dell’arte sia una delle prime cose da tutelare, forse anche prima di tutti i protagonisti che nel mercato e di mercato vivono.