Il voto amministrativo prima di decretare vincitori e vinti certifica la disaffezione per la politica, che ha raggiunto livelli più che preoccupanti. Lo scollamento tra la classe politica e la società fatta da persone, lavoratori, imprenditori, disoccupati, giovani, donne, immigrati e pensionati è oramai totale. Il collante della credibilità e della fiducia non c’è più. Le logiche interne del potere, dei meccanismi parlamentari, delle segreteria dei partiti, dei giochi della mediazione e del compromesso, sono talmente lontane dai bisogni della gente comune che, per quanto degni e necessari, hanno fatto perdere di vista alla politica che cosa serva veramente alla società civile. In epoca di benessere pochi se ne accorgevano, in epoca di grave crisi, nessuno riesce più ad ignorarlo.
Ma l’indifferenza alla politica può essere un preludio alla rabbia collettiva e dopo che ci si arrabbia togliendo il voto, quale altra forma può prendere questa rabbia? Il vuoto della rappresentanza non può restare tale, sempre qualcosa sopraggiunge per colmarlo. Il fatto che anche il movimento cinque stelle abbia un calo vistoso a Roma sta a significare che attendere, non scegliere, non sporcarsi le mani con scelte politiche concrete, fa arrabbiare in egual misura e la punizione del voto vale per tutti. Oggi, con uno scandaloso governo dell’ammucchiata e un movimento congelato nella solitudine della sua “purezza”, le persone non sanno più a che santo rivolgersi. La storia insegna che sono momenti come questi che sono molto pericolosi per una società smarrita. Ci vuole una mescola di novità, volontà, coraggio, determinazione, interesse al bene comune e forza per sollevarsi da questa stagnazione della credibilità politica, ma all’orizzonte nulla si vede, se non le nebbia dell’incompetenza e del sistema che vince sulla volontà di pochi buoni.