La politica è una professione. Lo si vede in questi giorni nell’incapacità degli eletti cinque stelle di trovare un compromesso costruttivo per l’Italia, ma soprattutto nel tragico se non grottesco fallimento di Mario Monti.
Si è presentato sulla scena politica come il salvatore della patria, con l’aria di colui che ha capito tutto da tempo. Aveva la possibilità reale, se ne avesse avuto il coraggio e la capacità, di mettere in campo alcuni significativi gesti politici che, nel momento stesso in cui si è insediato, nessuno gli avrebbe bocciato. Erano giorni tragici e molto delicati. Ma il sig. Monti da Varese ha fatto la cosa più facile che si poteva fare: il ragioniere esattore, falciando a destra e a sinistra imposte ai più deboli senza toccare quasi nulla dei capitali liberi, abbondanti ed esentasse in circolazione e senza mai entrare nella famosa “fase due della crescita”.
Ma non basta, inorgoglito e accecato dal piacere di gestire il potere si è pure candidato, nonostante il niet di Napolitano, ed è stato punito severamente dall’esito elettorale. Una candidatura alla presidenza della Repubblica sfumata in poche ore di eccesso di ambizione. L’Italia ora giace nello stallo più assoluto, ma quello che fa più male è che in questa situazione l’unico che ne giova è proprio colui che ce l’ha messa e cioè il solito, l’intramontabile, indistruttibile, imperituro ed indelebile cavaliere, la cui tenacia è pari solo alla gravità e al numero delle inchieste che lo riguardano. Agli italiani piace così? Il guascone che prima ti frega e poi ti promette che ti restituisce il maltolto? Prendiamone atto, qui più che sociologi, politologi o economisti, serve uno psichiatra per capire meglio.