Offside

Le donne e il fuorigioco. Binomio a volte antitetico, ma guai a dirlo o pensarlo…


I due più importanti telecronisti Sky, infatti, durante un fuorionda hanno espresso il proprio parere, non certo lusinghiero, nei confronti di una guardialinee impegnata in un match di Premier League. “ Qualcuno farebbe bene a scendere in campo a spiegarle il fuorigioco!”. “Perchè c’è una donna come guardialinee? Qualcuno l’ha fatta grossa”. Quindi si sono scagliati contro un’altra esponente della classe arbitrale, la prima donna ad aver calcato un campo di Premier: “Anche lei senza speranza…” E non sazi hanno commentato con un bel “ma fammi il piacere, amore!” le dichiarazioni della vice-presidente del West Ham che accusava il mondo del calcio di un certo sessismo.
Sfortunatamente per i due telecronisti il fuorionda è stato inviato da un anonimo al Mail on Sunday che l’ha pubblicato interamente.
Le critiche da tutta l’opinione pubblica britannica non si sono fatte attendere: “commenti medioevali”, “ Orrendo che il sesso sia l’unica considerazione quando si parla di arbitri donne” e così via. Il mondo del calcio, a partire dalla federazione fino a singoli giocatori (Rio Ferdinand in primis), hanno aspramente condannato e ridicolizzato i commenti dei due telecronisti. Infine Sky ha preso subito le distanze dalle dichiarazioni (definite imperdonabili) e il giorno seguente ha annunciato il licenziamento di uno e ha costretto alle dimissioni il secondo.
I due accusati, d’altro canto, hanno cercato di minimizzare l’incidente adducendo che si è trattato di chiacchiere scherzose, come tante che si sentono al pub durante le partite; spostando l’attenzione sul “furto” di una conversazione privata. Ma vani sono stati i loro tentativi di redimersi nonostante le scuse ufficiali.

Se penso all’Italia, questa storia assume i toni e i colori di una barzelletta.

Impressioni di un pendolare inglese

Mi sono dovuto trasferire a Sheffield per assaporare e vivere la vita del pendolare.
Purtroppo o per fortuna, nei miei 25 anni trascorsi a Varese non ho mai dovuto o voluto fare ricorso ai mezzi pubblici per raggiungere scuola o lavoro. Vuoi che Bregano non goda di una stazione, vuoi che ho scelto di frequentare anche l’università a Varese, il risultato è che non ho potuto mai condividere gioie e dolori dei miei colleghi pendolari sui treni delle Nord o delle FS.
Felice di aver abbandonato l’automobile e il traffico, mai sfiorato dall’idea di comprarne una qui (mi sarei schiantato alla prima rotonda presa contromano!), appena arrivato mi sono munito del mio abbonamento del treno (60£ mensili che mi permettono di viaggiare in tutta la regione) e ho cominciato la mia avventura sui trasporti pubblici inglesi.
Così sono passato dalle Ferrovie Nord alla Northern Railways, che quotidianamente mi accompagna al lavoro (circa 25 minuti fuori città) e mi riporta a casa la sera.
Il servizio penso sia buono (paragonato alle testimonianze spesso riportate sulle pagine di VareseNews). Treni “moderni” si alternano a carrozze anni ’80 ricche in moquette e polvere. Posto a sedere quasi sempre disponibile. Gli orari sono per lo più rispettati. Controllori sempre presenti.

Sono entrato a far parte di una piccola comunità. Le stesse facce, ogni mattina intirizzite e assonnate, ogni sera stanche e provate aspettano il 7:41 o il 18:13 al binario 1. Un cenno di saluto e poi via, ognuno verso la propria giornata o il desiderato rientro a casa.
Comunità silenziosa. Il sonno del mattino, la stanchezza della sera, libri, ipod, cellulari, rendono il pendolare un animale solitario. Solitudine saltuariamente spezzata da infrequenti, ma dannosi disservizi. Ritardi, cancellazioni svegliano il pendolare dal proprio torpore. Il singolo diventa gruppo, alla ricerca di informazioni, soluzioni.

Il treno e i suoi orari che scandiscono le mie giornate. Le corse contro il tempo all’uscita dal lavoro per non dover aspettare quello successivo. Svegliarsi di soprassalto temendo di aver saltato la stazione giusta. Sperare che il viaggio duri qualche minuto in più per leggere la conclusione di un capitolo. Sperare che i viaggio duri qualche secondo per fuggire odori molesti.
Forse vivo una realtà anomala, o forse è l’Italia, come spesso accade, l’anomalia, ma credo che tutto ciò mi mancherà il giorno che tornerò a sedermi sui sedili di un’auto.

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Vacanze di Natale 2010

Tre settimane volate via come pochi secondi. Tre settimane di lotta contro il tempo per riuscire a fare tutto quello che mi ero ripromesso. Tre settimane per cercare di rivedere e riabbracciare tutti gli amici. Tre settimane in cui conoscere nuovi amici. Tre settimane per scoprire che qualcuno legge ciò che scrivo su questo blog! Tre settimane di cui due trascorse a tavola. Tre settimane con la mia famiglia.
Tre settimane intense, cariche di emozioni. Tre settimane che hanno reso il mio ritorno a Sheffield un evento strano, caratterizzato dalle emozioni più contrastanti.
La gioia del ritorno alla “realtà”.
La tristezza di dovere salutare.
Una domanda: qual è casa mia?
Mi piace pensare di avere due “case”. Due mondi diversi, altrettanto importanti, in cui vivere e crescere.

P.S. Approfitto di questo spazio per salutare tutte le persone che ho incontrato in questa veloce parentesi nella mia casa italiana. Grazie e a presto!

Odyssey

E giunse infine il momento di rientrare in Italia.

Natale, si sa, è con i tuoi…

Ma alla natura ogni tanto piace giocare cattivi scherzi. Ecco allora un’ottima perturbazione artica abbattersi sull’Inghilterra nelle giornate di venerdì e sabato. Neve e gelo che trovano ancora una volta i sudditi di sua maestà impreparati. Risultato: nuova paralisi.

Allarmato, trascorro le mie ore premendo aggiorna sulla pagina web dell’aeroporto di Manchester da cui dovrei volare, alla ricerca di notizie, speranza e qualche raggio di sole.

L’aeroporto è aperto, qualcosa si muove, nonostante la maggior parte dei voli sugli schermi rechi accanto la tanto temuta voce “cancelled”.

Ben peggiore è la situazione nelle altre parti dell’isola: Londra, Birmingham, la Scozia sono impossibili da raggiungere o da abbandonare via aria. La neve infatti ha raggiunto altezze proibitive per tentare di far volare qualsiasi mezzo.

Per nulla fiducioso, mi reco all’aeroporto.

Qualche sprazzo di sole si fa largo fra le bianche nubi cariche di neve quando leggo che il mio volo non solo è previsto, ma pare anche puntuale. Ma mai cantare vittoria troppo presto: pochi minuti più tardi, infatti, cominciano le segnalazioni di ritardi. Mezz’ora, un’ora. Poi compare soltanto l’espressione “delayed”. Aspettiamo. La speranza è l’ultima a morire, anche se si fa largo sempre più il pensiero di dover riprendere il treno in direzione Sheffield.

L’aeroporto nel frattempo assume le sembianze di un rifugio alpino. Tanta, tantissima la gente che mentre aspetta e spera, seduta per lo più per terra, socializza con altri sfortunati, cercando parole di conforto ad ogni annuncio di ulteriori ritardi o cancellazioni.

Così ho ascoltato le storie del businessman giramondo sudafricano, proveniente da Dubai e diretto come me a Milano, con la sua valigia ricca di mille viaggi e lunghe attese in aeroporto. O la coppia di Orlando, Florida, diretta in Germania, che ha atteso circa 12 ore prima di sentire annunciare la cancellazione del proprio volo diretto a Francoforte. O la ragazza tedesca nata in Romania, insegnante in Inghilterra, desiderosa di tornare a casa per il natale. Queste, e molte altre ancora, le amicizie che si stringono nell’attesa. Conoscenze fugaci e superficiali che però hanno il potere di rendere una giornata difficile e noiosa in un’esperienza interessante, di confronto e arricchimento. Dialoghi che durano pochi minuti o qualche ora, finché un altoparlante scandisce le parole che stai attendendo da 180 minuti: puoi tornare a casa.

Saluto l’allegra brigata e mi dirigo verso il gate. Stanco e felice.

Anarchy in the UK

Così titolava a nove colonne un quotidiano in merito ai violenti scontri avvenuti, in particolar modo a Londra, nei giorni scorsi. Scontri fra studenti e polizia in seguito all’approvazione in parlamento della riforma universitaria.
Così, mentre in Italia studenti e ricercatori cercano di fare sentire la propria voce contro la famigerata riforma Gelmini, qui in Inghilterra migliaia di giovani, che hanno definito la loro protesta “il nostro ’68”, hanno invaso le vie della capitale agguerriti, forse troppo, e gli scontri con la polizia sono stati inevitabili.
La riforma prevede l’innalzamento delle tasse universitarie in Inghilterra (non in Scozia e Galles) fino a 9000 sterline annue contro le attuali 3290£ per far fronte ad un taglio sostanziale (si parla dell’80% pari a 4.2 miliardi di sterline) dei fondi pubblici a favore dell’istruzione. Ossia, le università, qui per lo più private, possono decidere a loro discrezione di aumentare la retta fino a cifre per la maggior parte degli studenti inaccessibili.
In passato, quando vi fu un analogo aumento delle “tuition fees” tutti gli atenei optarono per la quota massima.
Il governo, a fronte dell’aumento, richiede che le università si impegnino a offrire soluzioni per studenti meno abbienti, che comunque, stando alla riforma, si troveranno a pagare più di quanto facciano ora i loro colleghi più facoltosi.
Altro fattore da considerare è che gli studenti inglesi per lo più non sono sostenuti dalla famiglie nel loro percorso universitario. La maggior parte, infatti, riesce a proseguire gli studi solo grazie a prestiti (cosiddetti d’onore) che si impegnano a restituire non appena inizieranno a guadagnare più di 15000£ annue.
Il movimento studentesco sostiene che la riforma rappresenti l’ultimo passo nella trasformazione dell’istruzione da bene pubblico a privato, la commercializzazione della cultura e di conseguenza della vita dei cittadini, quando l’educazione, secondo loro, è un bene pubblico universale a cui tutti hanno il diritto di accedere per raggiungere e manifestare le proprie qualità.
Personalmente assisto con attenzione, partecipazione e sgomento a quanto sta accadendo agli studenti in Inghilterra come in Italia. Senza entrare nello specifico delle singole riforme, mi pare di scorgere un comune e generale disinteresse della politica nei confronti della crescita e maturazione dei propri cittadini più giovani. Giovani che dovrebbero assicurare il futuro di una nazione.
Istruzione fa rima con formazione, dell’uomo e del cittadino capace di analizzare criticamente il mondo che lo circonda, consapevole dei propri diritti e propri doveri. In questo periodo di crisi, penso che la scuola, l’istruzione e la formazione debbano essere il motore della società da cui e con cui ripartire attraverso nuove idee, nuove persone, nuove mentalità.
La mia paura è che un popolo ignorante sia più facilmente malleabile e tale debba rimanere.

Let it snow! Let it snow! Let it snow!

La solita e funesta sveglia delle 6:30, questa mattina si è rivelata un po’ più dolce. Guardando, infatti, fuori dalla finestra scopro che la città è coperta da una spessa coltre di neve. Una ventina di centimetri. Tutto bianco. Tutto così natalizio.
Tutto paralizzato.
Mezzi pubblici fermi, scuole chiuse e ripercussioni ovvie su tutte le altre attività.
Una circostanza, però, mi ha lasciato quantomeno perplesso: nevica o nevischia dallo scorso weekend, da ieri costantemente e copiosamente, ma non ho avuto la fortuna di imbattermi in alcun mezzo per la pulizia delle strade.
Appena arrivato ero rimasto stupito positivamente della presenza di numerosi grandi contenitori per il sale lungo le strade o in prossimità di aree pubbliche (stazioni, scuole, fermate dei bus, etc.). Memore delle pesanti e continue polemiche che ogni nevicata suscitava in quel di Varese, pensavo che Sheffield avrebbe potuto rispondere efficientemente al rigido inverno. Oggi devo ammettere che in fondo ogni mondo è paese e la neve, anche a queste latitudini, è una brutta bestia da gestire.
Intanto io mi godo questo giorno di ferie inaspettate, guardando con un occhio fuori dalla finestra la neve che continua a cadere fitta fitta, mentre con l’altro seguo (attraverso una finestra sullo schermo del mio computer) la neve che scende nella mia Varese.

Sheffield, UK. 01.12.2010. Ore 7:00. Vista dalla mia finestra.

Sheffield, UK. 01.12.2010. Ore 7:00. Vista dalla mia finestra.

In heaven there is no beer…

Una decina di giorni fa in Italia sono entrate in vigore le nuove norme in materia di sicurezza stradale. Nuovi limiti, nuovi strumenti atti a disincentivare il consumo di alcool da parte di coloro che poi si devono mettere alla guida. VareseNews ha dato ampio spazio a questa nuova iniziativa e numerosi sono stati i commenti a riguardo.
Ammetto che la prima sensazione nel leggere certi commenti è stata di sorpresa, a volte, velata di sconforto.
Tutto ciò mi ha fatto riflettere e pensare come qui, nell’alcolica Inghilterra, il problema sia sì sentito, ma non suscita la benché minima polemica a riguardo.
Ricordo come una delle prime differenze che ho notato, appena trasferitomi, fosse legata all’assenza di automobili (taxi esclusi ovviamente) il venerdì e il sabato sera.
Pensate alla “facilità” di parcheggio a Varese una normale sera nel fine settimana, alle code che si riescono a fare all’uscita dai locali… qui i parcheggi sono pressoché deserti e per le strade si possono notare solo i profili curvi e retrò dei taxi inglesi.
Bere è un rito. Che sia il venerdì sera dopo il lavoro, il sabato pomeriggio durante le partite di calcio o un normalissimo sabato sera. Una fiumana di persone di tutte le età si riversa per le strade e si protegge dalla pioggia e dal freddo all’interno di un pub o un bar in compagnia dell’immancabile bionda. All’interno di questa ritualità non c’è spazio per l’automobile: si esce per bere, bere anche tanto.
La legge, poi, è molto severa contro chi sbaglia: un bicchiere di troppo ti spedisce diretto nelle reali galere. Ma dubito sia l’asprezza della pena ad essere il deterrente principale. Sono più propenso a pensare che siano più il rispetto verso se stessi (fegato escluso ovviamente) e gli altri, solo infine le regole, a condizionare positivamente questo vizio.
Infine, forse l’aspetto più importante, esistono alternative al trasporto privato. In città sono i mezzi pubblici e i taxi, numerosi e accessibili; mentre chi viene da fuori spesso si organizza con piccoli bus che trasportano l’allegra brigata nel suo peregrinare da un locale all’altro per cifre, da quanto mi è stato riferito, assolutamente ragionevoli se condivise da più persone.
Tra non molto tornerò in Italia per le festività natalizie: cene luculliane accompagnate da ottimo e agognato vino. Che fare? Il mio augurio è che anche da noi si possa trovare quel giusto equilibrio tra divertimento e rispetto, condito magari dalla possibilità di poter dimenticare l’auto in garage perché un’amministrazione, veramente attenta ai cittadini, oltre a leggi severe si preoccupi di offrire alternative che permettano di tornare a casa senza rischiare la propria e l’altrui vita.

This is England

Due ore e pochi minuti. Questa è la distanza che separa la stazione di Londra St. Pancras a quella di Sheffied. Poca cosa. Come andare da Milano a Bologna (senza frecciarossa). 120 minuti che però, una volta scesi dal treno, possono apparire un’eternità.
Londra, per chi scrive, non è Inghilterra. E’ un mondo tutto suo. A world apart. Una metropoli che ha in parte perso una sua connotazione geografica. Una città che ha abbandonato molti di quei quei tratti tipici britannici. In cui la lingua ha assunto mille sfumature e accenti diversi. Una città in cui si repira aria internazionale, moderna ed effervescente, dove veramente puoi trovare tutto e tutti. Città caotica e meravigliosa.
Due ore dicevamo. Due ore in direzione nord, attraverso la campagna inglese. Ed eccoci a Sheffield.
Sheffield è una città di 600,000 anime e per chi proviene da Bregano (anime forse 800) il salto è considerevole; anche se vanta l’appellativo di “ più grande villaggio di Inghilterra”, in quanto geograficamente isolata e priva di avvenimenti storici di rilievo.
Abbandonata la vocazione industriale e mineriaria che la rese “famosa” nella seconda metà del secolo scorso, dopo una profonda crisi durante gli anni ’80, si sta progressivamente trasformando in un centro moderno e interessante: ricco di iniziative e di possibilità. Città assolutamente vivace. E ricca economicamente, tant’è che una ricerca di Barclays Bank ha constatato come la regione di Sheffield in termini di reddito pro-capite sia seconda solo a Londra. Due università, migliaia di studenti, caratterizzano poi la vita sociale e soprattutto notturna.
Ma rimaniamo sempre a due ore dalla capitale. Ed ecco allora che emerge quel nord dell’ Inghilterra che non ha ancora del tutto dimenticato le sue origini. Gente dura come l’accento del loro inglese (io che speravo di tornare con un accento stile BBC…illuso!). Vecchi operai siderurgici e minatori che sembrano usciti da un film di Ken Loach o da Full Monty (ambientato proprio qui a Sheffield). Animali (in senso buono) da pub con cui condividere una, o più facilmente più pinte di Ale guardando un match di calcio o rugby.
Sheffield, così come i suoi abitanti, sono in piena trasformazione. Ci si sta lentamente avvicinando alla capitale. Forse tra qualche anno due ore saranno veramente 120 minuti.