Happy Thanksgiving.

Ho messo in pausa Tokyo per qualche giorno.

Allor scoccare del quinto mese la mia testa sembra sfiancata dal continuo switch linguistico, e ho avuto il bisogno di rifugiarmi nel più accogliente abbracio dell’ idoma inglese.

Da qualche giorno sono nell’Illinois. In California. In Texas.

Ovunque, ma non a Tokyo. Ovviamente ci sono ancora, ma non mi va di rendermene conto.

Kyl mi ha invitato a passare la cena del ringraziamento nel suo appartamento a Senzoku.

Festa “nuova” (per me). Facce nuove, un melting pot inatteso. Americani, Canadesi, più qualche “intruso” peruviano, inglese, e non meglio identificati. Qualche giapponese, ma tutti parlano in un inglese perfetto, e non si azzardano a ferire le mie orecchie con i suoni cosi’ ingegnosamente vocalici della loro madre-lingua.

Un sottobosco di culture che si sono amalgamate in modo diverso al congestionato brulicare della capitale dell’est; molti di loro non parlano troppo bene il giapponese, se non zero del tutto. Anche avendo vissuto qui per anni. Un lusso che ti puoi permettere solo in una megalopoli così stratificata, ma difficilmente nelle altre città del Sol Levante.

Qui puoi trovare ogni ingrediente. Oggetto. Liquido. Libro. Rivista. Vestito. Tessuto. Spezia.

Basta pagare.

In effetti ero solo parzialmente, ma terribilmente, stupito  nel vedere il tacchino entrare in scena in tutto il suo grasso, tras-lucente splendore. Nessuno o quasi mangia il tacchino qui, e nessuno lo vende, specialmente intero. I cranberries. Ogni altra cosa difficilmente concepibile ad una mensa giapponese.

-E’ bastato pagare tutto a peso d’oro!-

Kyl scioglie ogni mio dubbio.

Domani torno a Tokyo, promesso.

zen

Una gran voglia di correre

Ci sarebbero tanti modi per replicare o aggiungere qualcosa alla lettera del direttore della Luiss, quanti almeno sono gli italiani che stanno all’estero. Ognuno, è chiaro, avrà il suo pezzetto di cammino da raccontare. A me, che certo non sono venuto a Londra per sfruttare i vantaggi di una laurea e non ho intenzione di rimanerci per sempre, vengono in mente molti aspetti quotidiani della vita (da immigrato) in questa metropoli, che valgano come possibili chiavi di lettura di una avventura lontano da casa. La prima è la ricerca di una vivacità che in Italia non trovi, al di là che tu sia laureato, ricercatore o semplice vagabondo. Spesso, a prescindere dal merito, è la paura di invecchiare giovane che mette le ali ai piedi. Quando qui cerchi un lavoro la prima cosa che vogliono sapere è: che cosa sai fare? Se lo sai fare, qualsiasi cosa sia, puoi trovare il tuo spazio, ti mettono alla prova. Anch’io ero in questa situazione un anno fa, mi ero messo in testa che avrei impiegato mesi a sistemarmi. Ci sono voluti 6 giorni. E quando in un’agenzia di lavoro mi hanno detto che potevo iniziare, era un venerdì, beh…il lunedì ho ricevuto la prima convocazione! Tutto in regola. Anzi ho fatto subito anche il National Insurance Number, di fatto il numero fiscale che ti fa esistere nel mercato del lavoro UK. Anche qui: pochi giorni e la tessera, gratuita, l’avevo in tasca. Per i lavori, generalmente, ti chiedono il curriculum e la lettera di presentazione. Devi dire chi sei, un po’ come il tema a scuola, solo che in questo caso ottieni spesso almeno un colloquio. Poi c’è la casa. Conosco persone che hanno cercato una stanza, l’hanno trovata e hanno traslocato da un punto all’altro di Londra in meno di una settimana. Nei musei ci vai gratis e ti raccontano una bella parte di storia artistica italiana, oltre a farti conoscere l’arte di oggi e di domani. Nei bar e nelle biblioteche trovi la connessione wi-fi gratuita. Intendiamoci: Londra non è il paradiso. E’ una vita spietata, le grandi opportunità che ti da’ possono essere al prezzo di una concorrenza sprezzante, di giornate a passo di marcia, amicizie spesso improvvisate, notti insonni per il rumore. In molti qui non trovano spazio e se ne vanno. Però penso che essere giovani richieda anche questo: se hai voglia di correre non puoi sempre tollerare che gli altri ti trattengano.