Ho scelto un’università tedesca e sono contenta

Erlangen, ottobre 2009
mi chiamo Martina Ballerio, ho 19 anni, sono nata a Varese e qui ho fatto le scuole fino alla maturità, conseguita al liceo scientifico “Galileo Ferraris”, dove ho frequentato la classe sperimentale di tedesco. Sono appassionata di lingue, ma amo soprattutto il tedesco. Ed è per questo che ho deciso di andare a studiare in Germania. Prima di approdare a Erlangen e alla «Fau» (“Friedrich-Alexander Universitaet”), ho cercato parecchio in diverse città e università tedesche, come Bonn, Aquisgrana, Colonia e Duisburg.

Alla fine ho scelto Erlangen, la città dell’università, della Siemens e delle biciclette. Già perché qui tutti vanno in bici, soprattutto gli studenti. Contrariamente alla nostra Varese, gli abitanti di Erlangen hanno un vantaggio: non hanno salite. Qui è tutto piatto!

Non sono venuta in Germania per apprendere il tedesco, ma per studiare nanotecnologie, una facoltà che festeggia il suo secondo compleanno sia al Politecnico si Milano, che alla Fau di Erlangen. Per me affrontare questi studi è una grande sfida. Non so se ci riuscirò, però ci provo. I primi esami dovrò darli a marzo, questo vuol dire che non avrò modo di avere dei feedback concreti per qualche mese, e a seguire dovrò dare circa cinque esami piuttosto impegnativi tutti nello stesso breve periodo.

A complicare le cose si aggiunge il fatto che, se dovessi venire bocciata due volte anche in un solo esame, non potrei andare avanti a studiare. Ma devo ancora informarmi meglio a riguardo.

Le differenze con il nostro sistema scolastico e i nostri programmi sono notevoli. I miei compagni tedeschi hanno studiato sia fisica che chimica per 7/8 anni, mentre io, in Italia, ho studiato fisica per 3 anni e chimica addirittura solo per un anno. Per fortuna i professori hanno iniziato più o meno dall’inizio, quindi ho la possibilità di seguire. Noto però che per i miei compagni, al momento, è tutto molto (troppo) facile. Io mi sforzo di assorbire come una spugna tutte le informazioni possibili, soprattutto per quanto riguarda i nuovi vocaboli. Tuttavia, capisco i professori più di quanto avessi sperato, e questa è sicuramente una cosa importante.

Erlangen è una città tranquilla (soprattutto per quanto riguarda il traffico). È a venti minuti da Norimberga, ha circa 100 mila abitanti e sembra progettata apposta per accogliere un gran numero di studenti, che vivono solitamente negli “Studentenwohnheime”, quartieri a loro riservati formati da appartamentini dove possono abitare da una a sette persone, ognuna delle quali ha la propria stanza.

Io, per esempio, abito insieme a due ragazze e due ragazzi, in uno “Studentenwohnheim” vicino al centro. Due frequentano una facoltà tecnica e gli altri due quella filosofica. Con loro mi sono trovata bene fin da subito, una grande fortuna. Cuciniamo e mangiamo insieme spesso. Insomma siamo ben assoritti. Madeleine studia Giapponologia abbinata a pedagogia (per le facoltà cosiddette “filosofiche” bisogna scegliere più di una materia), Philipp studia Sinologia abbinata a Politica, mentre Andreas studia ingegneria energetica. Una delle ragazze, la più riservata (non si fa mai vedere in giro) studia teologia evangelica e se ne sta sempre nella sua stanza e non mette nemmeno mai piede in cucina.

È stato grazie ad Andreas che fin da subito ho trovato degli amici alla Facoltà Tecnica, tra i quali alcuni “Nanotecnici”, con i quali si è già formato un bel gruppo. Con degli amici è tutto più semplice! Del resto, come non è difficile immaginare, le possibilità di svago, divertimento, incontro e così via qui sono davvero tante.

La prossima volta vorrei raccontarvi del “Die Lange Nacht der Wissenschaften” e cioè “La Lunga Notte delle Scienze”, che si celebra tra Erlangen e Norimberga.

Tutti in posa

Covent GardenIl titolo dell’esercizio è: come mettere insieme una comunità italiana a Londra in modo casuale. Non importa che tutti i membri si conoscano o si frequentino. Ciò che conta, per la nostra finalità, è che ci sia una persona che li raccordi e ne possa ipotizzare una foto di gruppo.

C’è la ragazza di Milano che lavora in un lussuoso ristorante del centro, dove ha conosciuto un suo coetaneo di Pescara (un collega), e si sono fidanzati. Se si sposeranno, a quanto ho capito, vogliono tornare in Italia. Sempre da Pescara – ma bazzica tutt’altro giro – è arrivato qui il maestro di tennis. Studia economia in Italia, ha voluto imparare un po’ di inglese prima di laurearsi. Ha trovato lavoro in una catena di fast-food. Alla fine la nostalgia del mare lo ha riportato a casa, ha salutato lo zio che gestisce un ristorante italiano da vent’anni e ha ripreso l’aereo. Dura da più tempo l’avventura di quella ragazza romana che ha lasciato un lavoro sicuro per tentare la strada oltremanica. Vuole frequentare solo inglesi, perché così impara anche l’accento. Quando è arrivata ha trovato subito lavoro in un negozio a Portobello Road. La giovane siciliana, no, è ripartita dopo un mese. Troppo grigia per lei questa Londra. Il tempo non influisce invece sul sorriso contagioso del ragazzo toscano. Pare sia un genio dei numeri (al lavoro). Vive nel Regno Unito da più di cinque anni.

Che dire poi dei varesini? Più passa il tempo e più mi accorgo di quanti sono. C’è quello che da Masnago è venuto a fare uno stage in una grossa società a Finchley Road. Lì ha conosciuto un’altra ragazza di Varese e si sono scoperte amicizie in comune. Via via si sono aggiunte la ragazza di Biella che studia a Milano, dove studia anche la ragazza di Bari. E che dire di quel varesino che sta frequentando la Westminster University per convertire la sua laurea in legge qui, al posto di lavorare nello studio dei genitori? Esce spesso con quell’altro che è a Londra da 7 anni, ormai, scarpe a punta e accento british. A quanto pare (una ragazza lo fa) è facile anche fare avanti e indietro per finire l’università a Milano e lavorare in un grande magazzino vicino ad Harrods.

Tutte le persone in questa foto di gruppo hanno fra i 20 e i 30 anni. Vengono a Londra per cercare qualcosa, a volte non sanno bene che cosa. Fare avanti e indietro con Easyjet o Ryanair spesso costa meno di 50 euro. Tutto sommato si può rischiare. I primi lavori, per arrangiarsi, accomunano tutti. Lavorare nei negozi o nei ristoranti. Va molto il telemarketing: telefoni in Italia e guadagni molto bene. Sono solo alcune storie che ho conosciuto più o meno per caso in undici mesi e che sfuggono alle statistiche. In città come questa sai che sei straniero ma sai anche che tutti gli altri lo sono a loro modo. E il concetto di confine appare uno strumento vecchio.

La Rambla, sempre più giù

Il primo post di questo blog, ennesima brillante iniziativa di VareseNews, lo dedico a uno dei simboli della cittá di cui  saró il Blogtrotter. Parlo di Barcellona e della Rambla.

Alzi la mano chi l’ha percorsa almeno una volta da Plaça Catalunya alla statua di Colón. Dovete essere tanti, dato che si vedono piú italiani che in Piazza Montegrappa.

Quello che per decenni é stato il simbolo della Barcellona alternativa, colorata, variopinta, divertente e che si diverte, si sta trasformando nell’emblema di una cittá che non ha saputo gestire il boom del turismo low cost, dell’andata e ritorno con sbronza in giornata e del proliferare di piccole mafie che l’hanno resa una giungla scomoda.

Se di giorno un pó del suo fascino resiste, con i mimi ai lati della corsia centrale, i colori irresistibili dei fioristi, del mercato della Boquería e ci si deve solo preoccupare dei borseggiatori, é di notte il momento nel quale ci si chiede come si é potuta ridurre cosí.

Chiedetelo per esempio ai proprietari delle edicole che prima rimanevano aperte 24 ore e adesso alle 22 chiudono la serranda e scappano a casa.

La strada è diventata un mix di prostitute invadenti che non esitano a trascinarvi o a mettervi le mani in tasca, spacciatori, gruppi di 2-3 persone che se vi seguono per piú di 50 metri: brutti segnali, e un ampia scelta di “esseri” fuori controllo. Questo é quanto vi troverete di fronte.

Non un bello scenario. La Rambla non appartiene piú ai barcellonesi, che ormai la evitano e girano largo, provano ad unirsi in associazioni per salvarla, ma non vengono ascoltati.

Una speranza viene da quel grande strumento di denuncia sociale che é il giornalismo: ed é cosí che lo scandaloso servizio de El País di un paio di mesi fa, con foto inequivocabili di prostitute in piena attività all’interno del mercato della Boquería, dove di giorno si vendono verdure, formaggi e salami, ha sollevato un polverone  che non ha lasciato indifferenti le istituzioni. Possiamo sperare che l’aumento dei controlli che ne é scaturito duri nel medio periodo?

Per quanti di voi fossero interessati a leggere l’articolo in versione originale, o semplicemente vedere le foto che hanno messo sottosopra una cittá, lo trovate qui.

E la vostra esperienza su e giú per la Rambla, com’é stata?