Crocifisso

Le porte della chiesa aprono alle 11.45. Mezz’ora dopo c’è la messa, come tutti i giorni dal lunedì al venerdì. Una quindicina di persone ci viene tutti i giorni della settimana (ben di più quelle della domenica). Sono anziane signore, per la maggior parte. Capelli grigi o bianchi raccolti, in mano un sacchetto della spesa. Ma non è un sacchetto di Esselunga o di Gs, è un sacchetto di Tesco o Sainsbury, Perché qui siamo a Clerkenwell Road, alla St Peter Church, quella degli italiani nel cuore di Londra. Sui volti di questo gruppetto di fedeli instancabili ci sono decenni di vita da immigrati nella capitale inglese, l’immigrazione di una volta che tiene salde però le sue piccole tradizioni del cuore. Il prete celebra la messa in italiano, le letture sono spesso recitate anche in inglese, la lingua madre del sacerdote che dà una mano al vulcanico padre Carmelo. Mezz’ora di preghiere, in una navata che per architettura e arredamento dà l’idea di essere in qualsiasi città – piccola o grande – del Bel Paese e lascia fuori le ansie della città. “Buona giornata”, augura il prete alla fine della messa. “Altrettanto”, rimandano le anziane signore in coro. Il segno della croce, la discesa dei pochi gradini verso la città, ci si sistema il bavero del cappotto agitato dal vento. “Buongiorno”. “Buongiorno”. E ci si torna a disperdere nella metropoli che ha visto nascere nuove vite in una lingua lontana.

Un ricordo in ritardo. E uno lontano.

Lo ricordo ancora bene, l’odore del Bar Clerici a Luino, circa vent’anni fa.

Quando era un po’ meno tirato a lucido, senza i “funghi” per il riscaldamento nel porticato, con i suoi tre cabinati con i tasti e gli stick spesso fuori uso.
All’apice del suo splendore.
Snow Bros. Final Fight. Street fighter 2.
Altri, a rotazione, hanno provato a prenderne il posto nella memoria, ma quei tre sono rimasti sempre lì.
Era la domenica che mi riempiva di gioia.
Portare pane secco per i cigni, che qualche volta mi hanno “morso”, al porto vecchio; poi un gelato al Vela, opure a quello che mio padre, con la testa ancora nei sessanta, chiamava ancora “al Varesina”.
E poi al Clerici.
2 gettoni, 4 se andava bene. Oggi, mentre li rigioco compulsivamente, e coi crediti infiniti in una finestra sul Mac, i miei favoriti non hanno che un briciolo di quella gioia da darmi. Ma non scappiamo nei ricordi.

Poi arrivarono le riviste.
O meglio, c’erano già, ma io fino ai 14 anni credo di non essermene accorto.
E arrivò, insieme, il Valhalla esotico del videogiocatore incallito, lo spettro sbiadito del Giappone.
Poco più in là, nel ’96, il Tokyo Game Show doveva essere migliore dell’eroina. migliore di qualunque orgasmo. Migliore di ogni possibile cosa che ancora non ero stato assolutamente in grado di provare. Ma migliore.

Non devo essermene reso conto, da subito.
Comedovecosaquando.
Parlavo del Giappone.
Di quelle immagini ricoperte di segni inconoscibili immaginando con gli amici , a caso e senza ragionarci davvero, da buon quattordicenne (ancora speranzoso), se i giapponesi stessi potessero capire la loro lingua. E non sapevo che una quindicina di anni più avanti quel dubbio me lo sarei portato ancora dentro, solo un po’ più a fondo.

Raddoppio i miei anni.
+14
Troppi 1up, avrei dovuto prenderne un paio in meno, forse.
Ma comunue alla fine ci sono. A Tokyo.

OMMMIioddDio! O peggio. Quello che avrei creduto di urlare sceso in quel del suolo nipponico, una volta atterrato.
Ma invece non urlo più.

26 settembre. Duemilanove.
Salgo su un treno. In un’ora abbondante sono al Makuhari Messe, a Chiba.
Da ragazzo, sulle riviste, non vedevo le code chilometriche. Non vedevo i coupon con cui attendere 3 ore per provare una beta.
La calca.
La disillusione.
Il TGS è piu’ o meno lo stesso, sono io che sono cambiato.

Torno a casa. Accendo il Mac.
Snow Bros è bello ancora come allora.

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Il mio professore di chimica fa il mago

Già inizia la sesta settimana di università: incredibile!

Sono di buon umore perché sono finalmente riuscita a partecipare attivamente alla discussione dei compiti di matematica nel nostro “gruppetto di studio”. Credo che il mio tedesco stia silenziosamente migliorando, per fortuna.

Del resto qui l’italiano lo parlo poco, e non me ne lamento: è stata una piacevole sorpresa vedere con quanta facilità si faccia amicizia tra studenti, e essere straniera non è stato per nulla un problema.

Meno male, perché solo avendo degli amici si può sopportare la lontananza da casa, dalla mia grande famiglia, dai miei amici di sempre, dai paesaggi stupendi che circondano la nostra Varese.

La mia vita qui è molto intensa, al primo posto ci sono chiaramente le lezioni, ma poi c’è anche il tempo per andare a correre in compagnia, per occuparsi dell’appartamento, per cucinare con i miei coinquilini (specialità tedesche e italiane a turno). E poi Erlangen è una città viva, dove da qualche parte c’è sempre qualcuno che fa festa (anche se noi, poveri studenti di Nanotecnologie, dobbiamo puntare presto la sveglia, perché abbiamo lezione al mattino tutti i giorni alle 8.15).

Devo dire che mi sto abituando anche a cose come il cibo della mensa (preoccupante!) e il tempo atmosferico (nonostante al mattino, appena sveglia, ancora guardi fuori dalla finestra, nella speranza di scorgere un raggio di sole..).  Ma in cambio di un professore che dedica alcune ore extra ai quattro o cinque che non hanno fatto molta chimica al liceo, ci si può anche abituare a certe cose!

Ora vorrei raccontare della «Lange Nacht der Wissenschaften» (La lunga notte delle scienze) che sabato scorso ha trasformato Erlangen e la vicina Norimberga in un laboratorio scientifico (ma non solo) aperto a tutti.

Protagoniste sono state naturalmente l’università, con i suoi ricercatori e anche i suoi professori, e la Siemens. I trasporti pubblici per l’occasione hanno funto da navette che collegavano le varie attrazioni scientifiche.

Ce n’era davvero per tutti i gusti: conferenze sulla fisica dei quanti, laboratori di biochimica, test psicologici, addirittura un “Nanotruck” (un camion dedicato alle Nanotecnologie!). Una buona parte degli eventi era dedicata inoltre alla medicina (infatti a Erlangen l’ospedale e le varie cliniche occupano un posto di rilievo). Ma l’evento più popolare in assoluto è stata la “Zaubervorlesung” (e cioè la “Lezione di Magia”) di “Magic Rudi”…il quale altri non è che il mio professore di chimica! esperimenti

È un mito tra gli studenti, ma la velocità supersonica con cui si sono esauriti i posti nelle sale dove ha fatto il suo spettacolo dimostrano che anche tra i bambini e gli adulti è molto popolare. Lo show si basava su trucchi di «magia chimica», che Rudi alle volte mostra anche a noi durante le sue lezioni. Proprio oggi, per esempio, ha inspirato dell’elio, per mostrarci il buffo cambiamento della voce che ne deriva (sì, è proprio il gioco che si fa alle feste di compleanno, con il contenuto dei palloncini!), e poi un’altra sostanza (il SF6), che rende la voce molto profonda -infatti si è messo a cantare “What a wonderful world” 🙂

Amare è sottrarre. Or: fun comes with strings attached.

Mi sono addormentato come accade di solito, sul pavimento della stanza di G.
Dopo un ramen di corsa a shibuya, per cena, e un kaki e un paio di daifuku mangiati sul tavolino pieghevole nell’angolo della camera.
Nella sua coperta ammuffita ma calda, e abbastanza spessa da non stare troppo male per terra.
Mentre in tv davano un film che di solito avrebbe destato il mio interesse.

Suona il telefono, è un messaggio del “caso umano”, cosi’ lo hai ribattezzato. Vuole scopare. Adesso. Devo andarmene.
Pare giusto, a ognuno il suo.

Oggi mi sono tolto l’anello che ti dà così fastidio. Tu no invece. Hai tolto la protesi, e ridendo mi hai detto che una parte di te non e’ mai cresciuta. “Cosi’ si puo’ essere bambini per sempre, almeno in parte”. Età apparente, anagrafica e mentale non sempre coincidono.

Tokyo, luci costanti, appariscenti.
Ma il buio dentro, quello rimane.
Il sole pallido che filtrava dalle tende oggi, ha fatto un po’ di chiarore. Credo.

Rich mi chiama da Londra. Un amico di un amico gli ha detto che ci ha visto in tv, nella pubblicità dove siamo apparsi assieme.
Ma niente.
La rete, così vasta e infinita, non vuole saperne di regalarmi un attimo di distrazione leggera, e del video nemmeno l’ombra.

Torno a letto. Nel mio, questa volta.

5 motivi

Per cui ne è valsa la pena.

Un tardo pomeriggio a Odaiba, con Richard.

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I fiori di Yoshi. Inaspettati. In mezza bottiglia di plastica sul mio tavolino sempre in disordine.

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Il rikugien. Malgrado la pioggia.

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Il chirashi a Tsukiji, dopo una notte al Karaoke.

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Gli amici.

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Essere “via”. La scimmia, il pullmino.

Mentre torniamo, la guida poco sicura dell’autista mi sveglia un paio di volte dal mio meritato sonno riparatore.

Un pullmino troppo carico di vestiti e di materiale scenico perde aderenza più volte sul ponte di Odaiba
Mi chiedo se le nostre carcasse di modelli, truccatori, parrucchieri, dilaniate dalle lamiere contorte, avrebbero comunque un profumo migliore di quelle delle persone “normali”, e una compostezza ad ogni modo molto stylish, e ritorno a Morfeo.

Maxx è di los angeles, studia economia a Tokyo e di solito fa il tuner di auto da corsa, ma ogni tanto anche il modello.
Ida di Stoccolma, ma vive a New York (o a Parigi, intercambiabilmente), e i suoi denti consumati dai succhi gastrici raccontano più di quanto faccia lei a parole della sua vita.

Pavel è di San Pietroburgo, dove non può tornare fino al duemilanonricordoquando, perché ha disertato il servizio militare; mentre vive a Londra con la sua famiglia (ma non ci vive mai, in realtà) gira il mondo per essere a tutte le “settimane della moda”.
Io sono il protagonista.

Non ho dormito ieri notte; almeno un’ora avrebbe aiutato.
Al mio “non risveglio” distolgo lo sguardo dallo schermo del pc, dalla pornografia random che mi ha tenuto compagnia. Spengo la sveglia, inutile, e mi domando se il mio pallore cadaverico e le mie occhiaie marcate saranno il mio tratto distintivo nelle foto che farò a breve.
Difficile, dormire.
nella mia testa solo J.
J.
J.
Decisamente troppe J.

Fa freddo, abbastanza da non voler stare una decina d’ore praticamente nudo a fare cambi d’abiti della collezione primaverile di non so quale nuovo brand in un parco di Chiba dove hanno allestito il set.
Magra consolazione le scarpe di Alexander McQueen che indossero’ in uno degli outfit. Per quanto bellissime sono un 42, io ho il 44, ma le hanno scelte e non ho possibilità di replicare. Edonistica autocontemplazione mista a dolore in vista.

Kudo-san, il direttore artistico che ha passato tutto lo shooting a dirmi quanto che fossero erotici e sexy i miei peli del petto, togliermi e mettermi i vestiti e stare molto attento che fossero sistemati bene, lisciandomeli bene addosso, mi lancia in rapida successione un guinzaglio e la mia nuova amica, l’accessorio da set che ha reso se non altro la giornata più movimentata.
Una piccola scimmia tropicale, in contravvenzione a non si sa bene quali norme sanitario/eco/deontologiche, e ci assicura che è tutto in regola.

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Mentre indosso solo le mie mutande verde speranza e provo camicie e pantacollant improbabili, suona il mio telefono.
J.
Che gradisce in seguito la mia mail con le foto del primate, e mi fa notare la sorprendente somiglianza tra sé e la scimmia.
E’ terribilmente vero, e mi piace ancora di più ora.
Vuole rivedermi. Il mio incarnato ne acquista in freschezza.

Passano le mie undici ore. Mi piacerebbe rubare un paio di cose. Sarebbe terribilmente facile, ma di sicuro non una buona idea.
Comunque sono a casa, ma con la testa non sono tornato a Tokyo, sono in Lombardia.
A. è dall’altra parte del telefono, e sua madre sotto i ferri.
Lotto con i miei occhi per tenerli aperti, il mio corpo è a puttane, 4 ore di sonno in 40 ore sono poche. Lo lascio dopo una prima chiamata, con la promessa di risentirlo dopo un’ora.
Cazzo. Mi stavo dimenticando della nostalgia? A., così poco bravo nel dimostrare sentimenti in maniera diretta, così bravo ad essere un amico fedele in tutti questi anni. Mi manca Il tuo odore. I tuoi abbracci incerti.
Vorrei piangere e invece mi addormento, più dell’ora pattuita.
MI risveglio 3 ore dopo nello stato in equilibrio precario in cui sono ora, e leggo il tuo:
– la stanno chiudendo. questo è quello che so. il chirurgo parla a monosillabi.
adesso viene la parte peggiore. –

Meglio dormire, a domani Ciccio.

Praying mantises – Incontri che lasciano il segno

Masa è tornato dopo due giorni.
Non sembra felice, sembra solo distante, disallineato dallo spazio reale della nostra piccola cucina-salotto, se così si può chiamare.
Nel suo italiano molto migliore di quanto lo sia il mio ambiguo giapponese mi dice soltanto, in risposta al mio -Come è andata?-
-Non lo so. Credo di Morire. Sono solo molto stanco.-

Decido che non è il caso di fare altre domande, perchè anch’io mi sento così, oggi, e certe cose si capiscono meglio senza le parole.

Ieri, un incontro speciale, quello con una mantide, è stato la rivelazione.
e, in fondo, se in Giapponese “mantide” si può scrivere anche con i caratteri di “falci affilate” un motivo ci sarà.

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J. era la mia mantide per ieri sera.
In quell’abbraccio senza tregua, tagliente e profondo, calore e ferite, nel sapere che quell’abbraccio non è solo mio.

Certi incontri, se fanno male, lasciano il segno.
E a me i segni piaccono molto.

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Malaga: rischio jet lag

Non ho ancora deciso se Malaga città mi piace. Dopo più di un mese che sono qui. Sicuramente non si può dire che è tra le più belle città che io abbia visto, non offre moltissimo alla propria sensibilità estetica. Però ogni tanto è in grado di dare tocchi e squarci di romanticismo: il porto al tramonto; la cattedrale e l’alcazaba illuminate nella notte; i vicoli infiniti e irrazionali. Non ho ancora deciso quindi se Malaga città mi piace: ogni volta che dico che è brutta riesce a rimandare il mio giudizio definitivo un’altra volta regalandomi qualche istantanea sorprendente.malaga-spain1

Ma probabilmente non è dalle sue mura che bisogna aspettarsi molto, bensì dalla sua vita movimentata che col tempo si impara a conoscere. E i Malagheni sembra che se la sappiano godere, la vita. Soprattutto quella notturna. E riguardo a ciò, bisogna chiarire subito che seppure l’ora che vedo in questo momento sull’orologio è la stessa che vede un italiano sul proprio, a Malaga si vive ad un fuso orario di almeno due ore indietro. Si pranza verso le tre del pomeriggio. E’ vietato cenare prima delle 10. Se provo a fare un’aperitivo all’ora in cui la farei a Varese mi trovo al tavolino di fianco una famiglia o una coppia che mangia una fetta di torta con una tazza di tè per la merenda. E di conseguenza è normalità vedere strade affollate alle due di notte come posso trovare il corso Matteotti solo nel sabato pomeriggio e altrettanto è comune che la “serata”  finisca alle sette del mattino durante il weekend, soprattutto per i giovani ovviamente.

Ai Malagheni piace far festa insomma. Ogni occasione è buona. E se un giorno festivo cade di domenica, bè, niente di più facile che spostarlo e fare vacanza il lunedì, così anche la domenica sera si può uscire.

In tutto questo mi devono spiegare perchè i poveri studenti di medicina, contro ogni logica e contro il “fuso orario” della città, devono andare a lezione alle otto del mattino.

Il mio coinquilino argentino Oscar spiega questo stile di vita con il sole e il caldo, presente tutto l’anno in Andalusia. Può aver ragione visto che stiamo vivendo i primi giorni di novembre e la temperatura è ancora costantemente sopra i venti gradi. L’autunno non ha ancora dato segno di sè.

O forse semplicemente l’autunno qui non esiste. Solo le castagne vendute a pochi metri dal mare provano a ricordarlo.

E non oso dire che mi mancano i colori dell’autunno, non so quali reazioni e imprecazioni potrei provocare.

Asakusa ti rimette in sesto, forse.

Intro – Partiamo dal fondo.

Ma partiamo, in qualche modo.
Una giornata quasi perfetta, dopo alcune di fila particolarmente poco azzeccate, mi piove addosso quasi inaspettata, e infonde un po’ d’aria fresca nel guazzabuglio dei miei pensieri.

Dopo una cena offerta(mi), un paio di regali ricevuti, circa 200 foto fatte, sono a casa sul mio futon.
Mi butto al computer (il mio fido MacBook).
Passano 5, 10 minuti.
Il mio coinquilino bussa alla porta della mia camera trafelato. Il suo ex moroso lo vuole vedere SUBITO (è quasi mezzanotte, e tra poche decine minuti l’ultimo treno per Shinjuku potrebbe fare un ciao beffardo a Masa, senza permettergli di ricongiungersi col suo motokareshi, ovvero ex fidanzato) e gli serve il mio phon.

Part one: Decostruire la giornata

Junko, un’ amica che di mestiere fa l’infermiera, ma che nella mia testa vende palloncini colorati o confettini di zucchero, qualunque cosa tranne che il suo vero lavoro, mi ha chiesto di andare con lei, “Jakomo” e la sua amica Nakagami-san ad Asakusa, uno dei quartieri più caratteristici di Tokyo, per il Tori no Ichi, un mercato-festa tradizionale che si tiene due volte l’anno.
Io, che sottosotto sono un pessimista introverso e tendente al nichilismo oggi proprio non ce la faccio, e mi lascio andare al pensiero-positivo, e cedo, cedo all’allegria e alle bancarelle con ogni ben di Dio (ma non il “nostro”, di Dio..);
cedo al “lancia una moneta, tira la corda della campana e prega perche’ il desiderio si avveri”

La felicità va costruita.
Dopo anni è il massimo che sono arrivato a capire.
Ho chiesto solo un po’ di forza in più.

Part two: chi cosa dove

Ho ventotto anni, studio a tokyo, nonhoancoracapitobene cosa, ma in teoria cerco di migliorare il mio giapponese, e di fare un po’ di ricerca.
non ho mai “tenuto” un blog.
Sono incostante, testardo, irrazionale (a tratti), ma in fondo un “buono”
La mia Italia… E’ in sospeso
Per ora cerco me stesso, lontano da Varese, lontano da tutti, e cavo alcuni ragni da buchi oscuri, se mi riesce.

Yoroshiku onegaishimasu

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