Il “Pierino” Renzi è recidivo

Molti dei voti andati ai 5S vengono dal PD. Elettori stufi del “liberismo di sinistra” sono migrati verso nuove speranze. Il PD è crollato, il suo segretario fa finta di dimettersi, candidandosi insieme ai fedelissimi al senato, per controllare gli esigui numeri e per bloccare l’appoggio, quale che sia, ad un governo 5S. Pura vendetta, risentimento, miopia, di un uomo che ha perso tutto, e ora trascina anche gli italiani nella sua vergogna. La responsabilità del PD di lasciare campo libero all’accordo dei 5S con la Lega di Salvini e FI di Berlusconi è grande e se il mariuolo Renzi con i suoi accoliti insiste su questa strada, alle prossime elezioni si attesterà a percentuali grottesche rischiando l’estinzione e facendo macelleria di una importante tradizione social-democratica. Pur osservando il tentativo interno al PD di liberarsi dal livore e risentimento renziano, l’appello è ai dirigenti del partito perché non lascino il governo nelle mani della lega e con umiltà appoggino il vincitore 5S per dar vita ad un governo che abbia una qualche forma di anima nonostante il pericolo della politica dei due forni si prospetti all’orizzonte.Renzi Pierino

Il movimento 5S sa che molti voti ricevuti sono transfughi del PD che glieli hanno solo temporaneamente “prestati” e sono pronti, a fronte di un governo 5S-Lega, a riprenderseli alla prossima possibile tornata elettorale. Che per una volta vengano prima i cittadini rispetto all’ambizione di pochi oligarchi di partito, che diamine!

Renzi l’infingardo

Ora tutto è chiaro, Renzi mostra scarso interesse per l’Italia e per gli italiani, a lui interessa sostanzialmente il potere, gode nel comandare,  essere il capo, l’uomo solo al comando, per poter ora vendicarsi e giustiziare politicamente gli avversari, scaricando sugli “altri” la responsabilità del fallimento della sua politica neo-liberista. E’ un uomo ferito, molto ferito poiché anche lui – come il compare Berlusconi – è tristemente avviato sul viale del tramonto dopo aver perso tutto quello che poteva perdere, anche se aveva vinto magistralmente, cosa che sarebbe riuscita a pochi. E’ stato nuovamente sconfitto dall’elettorato con un risultato umiliante. Però  non vuole mollare la presa e blocca qualsiasi possibilità di apertura del PD al primo partito uscito dalle urne: il movimento cinque stelle. Sta lì per impedire un accordo. Il movimento ha indicato tre ministri economici che hanno il cuore a sinistra, certamente più a sinistra del PD renziano. Una grande occasione per il PD per essere nuovamente una forza social-democratica, ago della bilancia e appoggiare quei provvedimenti di politica economica realmente di “sinistra”. Forse proprio per questo Renzi non vuole, perché non è un uomo di sinistra ma è solo un uomo di potere. Gli accordi con Berlusconi erano più facili perché entrambe erano interessati alla plancia di comando, uno per i propri interessi aziendali  l’altro per la vertigine del comando e per la sua personale ambizione politica.renzusconi

Ma gli italiani hanno parlato, e con il 73% di partecipazione, hanno parlato chiaro. Ora sta ai colonnelli del PD cacciare l’infingardo e metterlo in punizione nello sgabuzzino, perché oltre che umiliare il partito, aver distrutto l’immaginario e il progetto di una vera sinistra socialdemocratica, ora sta trascinando il paese nel caos, lasciandolo in mano alle destre oppure nell’incertezza di non avere un governo. Forse proprio il movimento 5 stelle rappresenta oggi la nuova forza social-democratica attenta ai più deboli, all’ambiente, al mezzogiorno e con il coraggio di sfidare le regole che l’Europa impone. Se questo blocco riuscirà  a seguito delle dimissioni truffaldine del segretario Renzi, non saranno le monetine di craxiana memoria a fargli danno ma i potere 2forconi degli italiani arrabbiati. Ci pensi su il pierino della politica italiana, prenda atto della sonora sconfitta e se ne vada a riflettere sui suoi errori nelle belle colline toscane e lasci il posto a chi vuole provare a cambiare qualcosa  proprio nella direzione che lui ha tradito. Gli italiani lo hanno chiesto!

L’origine del disincanto

I dati sono disarmanti, tra coloro che non votano, che sono nauseati, smarriti, indecisi, insofferenti e disincantati dalla politica e dai partiti. I partiti sono al minimo storico della loro credibilità e il nuovo che avanza invecchia alla velocità della luce così da alimentare ulteriormente il disincanto che si fa cronico. Ma perché la politica non riesce ad incidere sulla vita dei cittadini in modo serio, profondo? Perché la politica non ha un’idea di futuro, non ha un progetto di società da offrire ai suoi elettori? Perché i partiti sparano promesse poco credibili illudendo i cittadini oramai indifferenti alla cosa pubblica?Disincanto 2

Proviamo a dare una lettura al fenomeno. La politica è diventata minimalista, oligarchica e autoreferenziale: pensa a conservare il potere che ha faticosamente conquistato. Gli spazi di manovra per incidere con un vero progetto sulla realtà economica e sociale è bassissimo. Da una parte l’Europa detta vincoli, impegni, regole e diktat per cui i governi nazionali devono muoversi negli spazi interstiziali, sempre rispettando con molta fatica i molti vincoli  e gli impegni molto gravosi: pareggio di bilancio, politica monetaria sottratta alla sovranità nazionale, parametri di Maastricht, politica agricola comune, standardizzazione dei prodotti alimentari, quote di produzione,  finanziamenti decisi da 27 paesi che si accordano a fatica sulle scelte. Per cui un’ Europa che dà regole, vincoli, ma non ha una visione del futuro, non riesce ad avere una fiscalità comune, non vuole avere un solo esercito  per risparmiare soldi sulla voce difesa del proprio bilancio.Goldman

Poi c’è l’influenza della finanza che è la vera regista del film, unitamente agli organi che la circondano: agenzie di rating, banche d’affari, il gigante Goldman Sachs, e le grandi organizzazioni internazionali come “l’organizzazione mondiale del commercio” (Wto), il G20, per non parlare delle organizzazioni semi-ufficiali come la “Trilaterale” o il “gruppo Bilderberg”, che riunendo i potenti della terra, fa accordi segreti sui destini dell’economia e delle società.

Altro soggetto in campo sono i grandi gruppi multinazionali che hanno la forza economica di poter sedersi al tavolo della politica per dettare le regole e fare richieste che vadano nella direzione dei loro interessi. In tal senso pare che la riforma costituzionale bocciata dagli italiani nel 2017 fosse in parte ispirata da gruppi finanziari interessati a indebolire il sistema di welfare italiano.

Poiché il vero potere sta nelle mani di questi organismi sovranazionali che possiedono la forza economica di influenzare la politica, la politica diventa inesorabilmente debole, fragile, incapace di contrapporsi e di avere uno sguardo sul futuro dei suoi cittadini e un progetto di società organico e compiuto. La politica diventa il servo sciocco di poteri che le ordinano cosa deve fare se vuole conservare i piccoli   privilegi di chi ne fa parte. Stando così le cose non possiamo aspettarci nulla di più del desolante panorama che questi anni è andato via via profilandosi: il disincanto e la tristezza vincono su tutti e la liturgia del voto si svuota ancor di più. Si va a votare pensando ad altro consapevoli che il giorno dopo sarà peggio di quello prima.

Né destra né sinistra?

Di Maio come Celentano? Una sua canzone recita: “io sono un uomo libero, né destra né sinistra”. E’ ancora possibile alimentare il malinteso sul pensiero unico e la fine delle diversità in politica? Forse quest’ambiguità narrata serve più a confondere l’elettore che non a far chiarezza sull’identità delle posizioni in politica. I valori della sinistra – sebbene un po’ in crisi in Europa in questo periodo – sono sempre gli stessi, netti, intramontabili e necessari e non possono essere confusi con i valori della destra. Per fare chiarezza serve partire dal significato in economia. La crisi della produzione di fabbrica tradizionale è come se avesse offuscato quello che è sempre stato il conflitto tra capitale (gli imprenditori detentori dei mezzi di produzione) e il lavoro (l’operai proprietario solo della sua forza fisica). Questo perché la delocalizzazione,  la finanza e la crescita del settore dei servizi hanno rimescolato le carte confondendo la visione della produzione nell’epoca post-moderna, dove tutto sembra essere “liquido”. Ma il conflitto tra capitale e lavoro è più che mai vivo, nonostante il capitale diventi liquido poiché si finanziarizza e prende strade digitali che lo fanno viaggiare attraverso continenti e paesi dalla forte redditività. Anzi, in questi anni la redditività del capitale ha redistribuito la ricchezza in modo molto disuguale, arricchendo pochi e impoverendo molti. Da qui tutte le recenti statistiche sulle poche famiglie che detengono la maggioranza della ricchezza mondiale e la progressiva crisi e sparizione del ceto medio. La sinistra con il suo desiderio di governo si è lasciata risucchiare nell’orbita gravitazionale del liberismo dove ha sempre abitato la destra schierata dalla parte del capitale, degli imprenditori, dell’idea che quando la marea della crescita economica sale porta su i panfili e anche le barchette, pensando di deregolamentare il mercato, limitare il ruolo dello Stato, abbassare le tasse, privatizzare i servizi come sanità, scuola e trasporti come fecero Thatcher e Reagan nei loro rispettivi paesi ispirati dai loro teorici che si nascondevano dietro: Heyek e Friedman. Dx SxRenzi ha tradito i valori della sinistra per prendersi i voti degli elettori di destra facendo politiche neo-liberiste e riforme tipiche che guardano al mercato piuttosto che all’intervento di uno Stato autorevole attento ai più deboli. I valori della sinistra sono sempre gli stessi: attenzione ai più deboli, all’ambiente, ai diritti umani, alla classe operaia, ai pensionati, ai giovani e lo fa con uno Stato forte che interviene nell’economia per evitare e correggere le sperequazioni e i fallimenti del mercato. Questi sono i cardini della sinistra. E non esiste la possibilità di non essere né di destra né di sinistra quando si fanno politiche economiche. Di MaioO si stimola la domanda oppure si stimola l’offerta; o si crede allo Stato oppure ci si affida al mercato; o lo Stato interviene nell’economia oppure non interviene; o si fa attenzione all’ambiente, all’inquinamento oppure si fa la crescita economica consumando territorio e gettando cemento in modo selvaggio seguendo interessi particolari. Poi, la socialdemocrazia è più raffinata e fa un mix degli interventi dello Stato e valuta dove il mercato è più efficace. Ma per fare il politico bisogna scegliere da che parte stare e quando si sceglie si perde l’altra metà del cielo e anche dei suoi voti. Di Maio è giovane e li vuole tutti i voti, sia di destra che di sinistra ed è per questo che non dichiara da che parte sta. Al primo consiglio dei ministri capiremo se dietro il Celentanogiovane pentastellato batte un cuore keynesiano oppure un fondamentalista del mercato. Un po’ di pazienza e i giochi saranno chiari.

Il carisma sprecato

Renzi è un buon comunicatore lo sappiamo, così come lo era anche Berlusconi. Berlusconi aveva un progetto molto chiaro e quasi dichiarato: entrare in politica per salvare le sue aziende. Lo scout Renzi invece scala una forza social-democratica di centro sinistra per ambizione personale e desiderio di comando, poiché il progetto politico non lo si vede se non in una riedizione polverosa della terza via blairiana in cui si vorrebbe conciliare uguaglianza e mercato. Ma i tempi sono cambiati e Renzi arriva tardi e non ne azzecca una, sbaglia su tutta la linea, viene bocciato e sballottato a turno dalla corte costituzionale, poi dal no di una schiacciante maggioranza di italiani, poi sulla riforma della pubblica Renzi 2amministrazione, ancora sulla legge elettorale e non da ultimo sulle manovre “oscure” per salvare banche cotte e bollite che hanno agito in modo truffaldino. Tralasciamo poi il fallimento confermato dai dati della crescita economica e sulla disoccupazione (poiché la responsabilità è antica e travalica l’epoca renziana); tralasciamo la riforma manageriale sulla “buona scuola”; soprassediamo sullo scandaloso “jobs act” e relativa abolizione dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori. Cosa resta? Restano rovine come nei territori dei recenti terremoti negli Appennini e l’unica cosa che svetta su queste rovine è il carisma del visconte dimezzato che non si placa e insiste nel voler tornare in sella al cavallo del potere. Antico vizio del popolo italiano credere nell’uomo della provvidenza. Ma questo accade quando la macchina amministrativa non funziona e la ragione è ancora più antica poiché l’Italia non è mai stata uno Stato-nazione come lo sono alcuni importanti paesi europei. Non abbiamo maturato l’idea che uno Stato forte e virtuoso è più conveniente di uno Stato debole dove proliferano i metodi familistici e mafiosi. Non siamo ancora (e forse mai saremo) un paese scandinavo. Ma serve una forza politica con un progetto chiaro e netto che si occupi di modernizzare il paese, di fare gli investimenti compatibili con la natura del nostro paese: energia, turismo, cultura, che lotti contro le disuguaglianze, che si ingegni nel creare lavoro buono, che combatta contro evasione ed elusione, che si occupi di ambiente veramente per ricostruire la fiducia e la voglia di fare di molti italici talenti. Renzi è inadatto, ha fallito e nonostante il carisma e l’ambizione personale è giusto che se ne vada lontano dalla cosa pubblica. La terza via vera, l’ha indicata con autorevolezza una figura altrettanto carismatica ma poco ambiziosa e per nulla assetata di potere. La terza via è quella che da tempo ci racconta papa Papa BergoglioFrancesco. Lui ha capito meglio di altri il disastro della finanza e la miseria del capitalismo rampante. Se Renzi anziché andare nella Silicon Valley andasse in udienza da papa Bergoglio, forse potrebbe avere l’illuminazione che fino ad oggi gli è mancata. Ma si sa che le favole sono per gli ingenui. Continuiamo così, diceva il regista, facciamoci del male.

Le mie ragioni per cui voterò no al referendum costituzionale

Ognuno ha le sue ragioni per votare si o per votare no. Il sottoscritto in quanto animatore di un blog pubblico crede sia giusto rendere pubbliche le ragioni della sua scelta.

Voto no con decisione e convinzione per queste ragioni:costituzione

  1. Una riforma della costituzione non la deve fare un governo bensì il parlamento con tutte le sue anime poiché rappresenta la carta con le regole fondamentali di un paese. Se il parlamento non è in grado di farla significa che il paese non è pronto per una riforma della costituzione.
  2. Questo governo e soprattutto il primo ministro non è mai passato per le urne. E’ frutto di passaggi parlamentari successivi in cui una maggioranza di centro-destra che sosteneva Berlusconi si è ricomposta prima per sostenere Mario Monti, poi Enrico Letta e infine Matteo Renzi. Come può un primo ministro dare vita al cambio delle regole fondamentali senza avere una vera legittimazione popolare? Considero questo governo non sufficientemente autorevole e legittimato per cambiare le regole della costituzione.
  3. Per quanto piena di difetti, la democrazia prevede il voto come forma di partecipazione alla vita democratica e l’idea che non si possa esercitare il diritto di voto per i rappresentanti del senato non mi piace.
  4. Che il senato sia composto da sindaci e consiglieri regionali che devono di tanto in tanto andare a Roma a prendere decisioni su alcune materie importanti mi dà l’idea di un’attività dopolavoristica un po’ approssimativa.
  5. Alcune competenze, ora nelle mani delle regioni, tornerebbero al potere centrale. Se il governo vuole costruire una discarica o fare trivellazioni nel mio comune, oggi è la Regione che deve autorizzare mentre con il sì sarebbe il potere centrale del ministero, che poco interesse ha nelle istanze locali e spesso subisce influenze dai poteri forti di gruppi industriali, finanza internazionale e potentati economici che hanno la forza di condizionare le politiche del governo.
  6. Per abolire il CNEL non serviva una riforma costituzionale ma bastava una legge ordinaria.
  7. In Italia non è il bicameralismo paritario che ha impedito di modernizzare il paese ma una visione miope della politica. Se un governo ha un progetto, una bussole e magari dei valori che lo guidano, l’approvazione della legge può essere fatta in tempi ragionevoli.parlamento
  8. La legge elettorale associata alla riforma elettorale fa sì che una minoranza nel paese (qualsiasi gruppo esso sia) potrebbe governare con una maggioranza di deputati del 18-20% l’unica camera che dà la fiducia al governo con una minoranza numericamente molto risicata di consenso nel paese. Questo è pericoloso per la democrazia.
  9. La grande crisi economica, diventata crisi sociale che il mondo e l’Italia stanno vivendo richiedeva sforzi nel senso di creare lavoro e non spaccare in due il paese per un si o per un no che poco muta la vita dei cittadini.

Renzi e le trivelle

Sarà mai possibile avere una “nuova” politica? Intesa come attenzione al bene comune, indipendenza dalle potenti lobby, forte contro la finanza mondiale e schierata dalla parte dei cittadini? Credo proprio di no. Oggi ci sono multinazionali che hanno fatturati pari al PIL di alcuni piccoli paesi, ci sono centri bancari come Goldman Sach che decidono le sorti di paesi come la Grecia attraverso le sue consulenze e le sue manovre sulla compra-vendita di titoli di Stato. Renzi è arrivato in modo anomalo alla politica (nessuno lo ha votato) ma sembrava voler ribaltare il paradigma introducendo novità, aria fresca, una rivoluzione nella classe dirigente. E cosa è accaduto? Che grazie alla magistratura che ancora riesce ad intercettare i vari furbetti, scopriamo un ministro (ex confindustria di un governo di centro-sinistra) che non fa che reiterare le malsane pratiche della politica furbetta favorendo Goldman sachquesto o quell’amico. Ma quello che più indigna è che Renzi non ha una visione politica per il futuro, un piano energetico, un piano industriale, una bussola con il quale far navigare il nostro paese nel mare della modernità globalizzata. Anche lui scivola nel piccolo cabotaggio, gestendo l’oggi e dimenticandosi del domani. Subisce la pressione dei petrolieri sapendo bene che l’epoca del petrolio è alla fine, poiché i morti prematuri da inquinamento da combustibili fossili in Italia sono già troppi (dati dell’organizzazione mondiale della sanità). trivelle 1E lui cosa fa? Perfora il mare-nostrum e si incammina sulla triste strada della politica che fa gli interessi dei potenti e non dei cittadini. Forse questo spinge a riflettere sul fatto che la politica da anni è sottomessa alla finanza e alle potenti lobby del petrolio e delle grandi industrie multinazionali e la sua voce è divenuta flebile e inascoltata e la sua azione inefficace. La democrazia rappresentativa risulta quindi indebolita poiché non riesce più a decidere del proprio destino ma si china supina ad interessi “altri” che tutto sono fuorché gli interessi dei cittadini.

Islam, banche e valori dell’occidente

Finisce un anno difficile, dove la crisi economica non smette di fare danni, il terrorismo mina nel profondo le nostre certezze, la politica arranca nel creare un po’ di benessere, la disuguaglianza del reddito cresce e diventa la cifra della nostra società, masse di profughi bussano alle porte dell’Europa. In tutto questo il dibattito riflette sul tema dell’Islam e allo stesso tempo irrompe sulla scena la grana delle banche avide e truffatrici. Apparentemente sembrano argomenti lontani ma forse, a ben vedere, sono facce di una stessa medaglia e siamo quindi obbligati a vederne le connessioni. Di fronte al pericolo di attentati da parte dell’IS (sedicente Stato islamico) o a fenomeni di immigrazione di massa, si ascoltano voci che contrappongono a queste minacce i valori dell’occidente cristiano, contrapposti alla barbarie di un Islam estremo e fondamentalista. Su questo punto non vi sono dubbi, i tagliagole dell’IS e i kamikaze suicidi sono “la barbarie” senza se e senza ma. Invece, sui valori dell’occidente cristiano bisogna fermarsi a riflettere quel tanto per scoprire che forse qui c’è un problema vero. Libertà, fraternità, uguaglianza, tolleranza, rispetto dell’altro, solidarietà, benessere, sviluppo, conoscenza, laicità dello Stato, ricerca scientifica, prospettive di vita, fiducia nello Stato, sono certamente sulla carta i nostri valori, ma l’interrogativo che irrompe è: li stiamo veramente perseguendo, onorando, consolidando e coltivando? Questo è il dubbio!banche
La fraternità la vede solo chi conosce il volontariato che nelle segrete sedi aiuta l’altro senza chiedere nulla in cambio, o nella struttura familistica di residui di comunità di vicini, parenti o ordini e club professionali, ma appena si esce da questi luoghi spesso (anche se non sempre) ognuno cerca di fregare il prossimo, che sia il professionista, l’artigiano o il commerciante, la banca o l’assicurazione. Viviamo con il coltello tra i denti nel timore di essere truffati dietro ogni transazione e scambio. L’uguaglianza è forse il più scandaloso dei tradimenti. Per citare Piketty – uno tra i tanti – la società del capitale sta creando una disuguaglianza strutturale a cui nessuno sa e vuole porre rimedio. La tolleranza poi, sembra essere estinta, quando orde di barbari bruciano i campi nomadi o se la prendono con la massa di poveracci che arrivano dalla guerra civile siriana. La solidarietà, parola oramai “vintage” è un residuato presente nelle strutture di uno Stato sociale costruito pazientemente nel dopo guerra ma che ora, inesorabilmente, l’ideologia liberista sta smontando pezzo a pezzo. Lo sviluppo è stato confuso con la crescita del PIL (prodotto interno lordo) che si nutre di distruzione, inquinamento, disastri ambientali, cementificazione e uso smodato di farmaci per poter avere il segno più alla fine dell’anno e si fatica a spiegare che sviluppo è esattamente il suo opposto, è un’altra parola e rimanda ad “altre” pratiche. Fiducia nello Stato? Non servono commenti perché i sondaggi la danno sotto le suole delle scarpe. Parliamo delle banche, delle assicurazioni, della finanza o delle multinazionali o ci fermiamo qui?IS
Il mercato e l’ideologia liberista stanno distruggendo il cemento collettivo fondato sui valori citati. Lo strapotere della finanza, la freddezza morale delle aziende multinazionali e l’antropologia del profitto stanno minando nel profondo i residui di valori che l’occidente ha costruito nei secoli dalla cultura greca alla rivoluzione industriale. L’occidente è allo sbando perché ha smarrito le proprie radici, abbandonato nella lussuria della crescita sfrenata, della ricchezza, del possesso di oggetti, dal confort e dalla competizione darwiniana per raggiungere posizioni socialmente riconosciute.
Il tarlo e la malattia sono diffuse nei gangli della nostra vita e non si vedono gli anticorpi nascere per difenderci. Lo stesso papa Francesco arranca e la sua voce si fa flebile di fronte all’arroganza della curia assetata di potere e potenza.
Un altro anno difficile finisce e forse il pensiero – perché non vinca la malinconia – va verso il fatto che serve un nuovo paradigma i cui i germi già si intravedono in tante realtà, in alcuni paesi, nelle esperienze delle transition town, negli imprenditori che decidono di prendere uno stipendio cinque o massimo dieci volte quello dei loro operai, nelle banche che aiutano le imprese del territorio e non comprano derivati in Asia, in persone che scelgono che i rapporti umani sono più gratificanti dell’iphone 6. Ma sono isole in un mare in tempesta e tuttavia segnano, come le bussole, la direzione a cui l’occidente deve volgere per recuperare i valori a cui dovrebbe aggrapparsi ma che ora sembrano affondare di fronte alle evidenze delle pratiche del nostro stile di vita quotidiano.

Il triste spettacolo del pensionato sceriffo

Quello del pensionato “terminator” che insulta giornalisti, la politica, dà lezione di condotta a destra e a manca, invitato da trasmissioni a dare il suo “autorevole” parere su come si trattano i ladri, sicuro di sé, ispirato dal demone della giustizia, è uno spettacolo triste, molto triste. A questo si aggiunge il deputato europeo della Lega che va in tv con la pistola e, mi pare, abbiamo oltrepassato il segno della decenza.pensionato
Rattrista il fatto che un tema così delicato, che coinvolge la vita di un giovane disperato, diventi un pretesto per invettive e chiacchiere anziché una vera occasione di riflessione.
La crisi ha spaccato in due l’Italia. Pochi hanno tanto e tanti hanno poco. Questo è il tema centrale: la disuguaglianza che si è accentuata sempre di più. E’ un fenomeno profondo in cui lentamente le élites e le oligarchie stanno riprendendo controllo del capitalismo finanziario e lo fanno smontando il welfare state, indebolendo i diritti acquisiti e delegittimando il pensiero critico. E in questo la politica italiana non fa che sottoscrivere supina, senza idee, senza progetti e senza midollo: funzionale alle dinamiche progressive dell’ideologia liberista dilagante, seppur perdente.bonanno
Sono anni difficili in cui la povertà, la disperazione, la disoccupazione hanno minato le fondamenta di una comunità che si regge sul principio di solidarietà. E l’acqua del benessere raggiunto che si ritira lascia affiorare le peggio pulsioni. Così non ci stupiamo che uccidere diventa un atto di eroismo quando dovrebbe essere drammatico sempre e comunque. Il tema, lo ripeto, è come impedire – dall’alto – che la disuguaglianza crei una spaccatura nella collettività e si scateni la guerra dei poveri. Non credo che gli Sati uniti d’America siano l’esempio da seguire. Proviamo a vedere come mai nei paesi scandinavi, non si vedono poliziotti nelle città e il tasso di delinquenza è più basso. Le società competitive e disuguali sviluppano invidia e risentimento sociale, le società collaborative sviluppano pace sociale. Pensieri semplici e comprovati ma che faticano ad essere condivisi.

La progettazione di spazi urbani e l’idea di socialità.

Nel suo libro “I bisogni degli altri” M. Ignatieff dice che quello che non si sa vedere, non lo si può dire e quindi non lo si può rivendicare. Prima serve definire i bisogni delle persone, poi elaborare un linguaggio per poterne parlare e infine la politica dovrebbe saper intervenire su tali bisogni. Ma quali sono i bisogni fondamentali delle persone? Perché la politica non parla di questioni che sono prioritarie per le persone?città1
I bisogni fondamentali sono quelli di socialità, di solidarietà, di vicinanza, affetto, reciprocità, i bisogni che hanno a che fare con la sfera più profonda di noi stessi quella legata alla dimensione dell’identificazione al gruppo, alla famiglia, al vicinato, al quartiere, agli altri, al prossimo. Ma lo strapotere del principio “interesse” ha spazzato via questi aspetti dalla vita della politica per lasciare spazio solo alle spinte di interesse tra costruttori e speculatori, affaristi e furbi, agenzie immobiliari e commercianti scaltri oltre ai furbi di ogni sorta. Domina la logica economica degli interessi e del profitto e si instaura di conseguenza una gerarchia di potenza. Chi ha mezzi fa pressione sulle gerarchie decisionali e diviene protagonista della progettualità urbana.
Gli spazi urbani cominciano ad assomigliare alle dinamiche degli interessi: prevalgono i problemi di infrastrutture, viabilità, ci si occupa delle industrie, della rete commerciale, la grande distribuzione diviene il nuovo luogo della liturgia dei consumi, come vera forma nuova di socialità contemporanea. Si diradano fino a scomparire gli spazi gratuiti, le piazze, gli arredi urbani, i luoghi di socialità, i percorsi verdi, l’acqua, le terrazze, gli alberi, i bar, le zone pedonali. E le città moderne si deformano fino a diventare luoghi invivibili e brutti. Si pensi al contrario a cosa è stata la Parigi capitale del XIX secolo come la racconta Walter Benjamin…..Città 2
Oggi la gente si rifugia nei centri commerciali anche di fronte alla mancanza di offerte alternative.
La logica dell’interesse privato si sostituisce a quella della progettualità dello spazio pubblico, pensato, gestito e ideato dal sistema pubblico, per la cittadinanza pensata nel suo insieme. E chi può superare questa impasse se non la politica? Solo coloro che gestiscono la cosa pubblica e che hanno il respiro di una visione dall’alto del bene collettivo. Per questo la politica dovrebbe ritrovare l’autonomia della decisione dai poteri economici e imporre la sua visione della città, come luogo della vivibilità, dello scambio, dello stare insieme a condividere esperienze in luoghi gradevoli, consumando cultura piuttosto che oggetti, facendo esperienza di luoghi e costruzioni che esprimono la genialità e la creatività di architetti e ingegneri che hanno ascoltato poeti e sociologi così da ripensare lo spazio Città3pubblico in modo più umano e funzionale a crescere cittadini migliori. Ancora un’utopia?