«Regardez bien: cette c’est l’authentique Afrique» (Guardatevi bene intorno perché questa è la vera Africa). Con queste parole Las, la nostra personale “body guard”, ci ha accolti all’aeroporto di Dakar. Il continente nero, tuttavia, ha deciso di accoglierci in modo piuttosto inusuale: con un violento acquazzone. E così, mentre la città lentamente si svegliava -erano le 6 del mattino- il nostro furgone sfrecciava per le vie allagate della città. Ci è voluta una buona mezzora per raggiungere quella che sarà la nostra casa per il prossimo mese e mentre il minivan affrontava il traffico, il profilo di Dakar cambiava lentamente. I palazzi rifiniti con cura lasciano il posto a case di pochi piani in cemento, l’asfalto cede il posto alla terra battuta (fango nel nostro caso), molte auto vengono rimpiazzate da carretti trainati da cavalli e i bordi delle strade si ricoprono lentamente di sabbia e rifiuti. Siamo nelle Banlieue!
Stremati da un viaggio che è durato quasi 18 ore, la nostra prima giornata in Senegal inizia dormendo. Sonnecchiando riparati dalle zanzariere e accarezzati dal soffio dei ventilatori la mattina è trascorsa tranquilla fino all’improvviso e repentino risveglio. La “colpa” è stato il camion della nettezza urbana che ci ha anche fatto vedere la prima, vera, grande particolarità di Dakar. Un lungo colpo di clacson ha accompagnato il suo arrivo (proprio sotto le finestre del nostro palazzo!) e in pochi istanti per le strade si sono riversati uomini, donne e bambini che trascinavano la spazzatura da depositare nel camion. Ci sono voluti almeno una ventina di minuti prima che tutti gettassero i propri rifiuti perchè, a causa delle strade strette e in terra battuta, il mezzo non può raggiungere ogni zona del quartiere e quindi la raccolta avviene solo in alcune vie ben precise.
Intanto, piacevolmente sdraiati sul classico tappeto senegalese sul quale si fa praticamente di tutto, abbiamo aspettato l’arrivo del pranzo. Una lunga attesa terminato solo verso le 14.30 (che sarebbero le 16.30 italiane, quindi immaginate la fame!) quando è arrivata la nostra cuoca. Abbiamo mangiato come perfetti senegalesi -a terra e dalla stessa grande pentola- il piatto tipi del paese: il ceebu jep, una pietanza a base di riso, pesce e verdure.
Nel pomeriggio -che in realtà è già sera- abbiamo fatto il nostro primo giro per Guedawaye lungo la via del mercato. Oltre ai colori e ai profumi, quello che colpisce è la quantità di persone che si aggira per le strade. E’ un brulicare incessante quello che per tutto il giorno anima le vie della periferia. Anche ora -a tarda notte- il viale sotto il balcone dal quale sto scrivendo è continuamente percorso da persone, soprattutto giovani e anche qualche bambino. E sono proprio i più piccoli ad essere i “padroni della strade” fino a quando non cala la notte. Colpisce anche la loro disponibilità. Con la goffa (finta) discrezione che solo un bambino può avere, mentre camminiamo per le strade una continua nuvola di bimbi si affolla attorno a noi per salutare, stringerci la mano o per essere immortalati dallo scatto di una macchina fotografica. E tutti questi bambini hanno una sola, continua parola in bocca: toubab. “Toubab” è infatti il termine con cui gli occidentali, o più in generale le persone dalla pelle bianca, vengono indicati. E nei sobborghi di Dakar non si incontrano tutti i giorni persone così diverse. Proprio per questo sono indimenticabili le espressioni di stupore che si stampano sui volti dei bimbi che per la prima volta incontrano persone così strane e diverse.
Ma dopo questa giornata di relax domani -che è già oggi in realtà- inizia il “vero lavoro”. Primo appuntamento della giornata l’incontro con i ragazzi del “club Italia” del liceo del quartiere e poi…be’, tornate domani e lo scoprirete!
Marco