Dilemma etico

Il vostro superiore vi ordina di fucilare i prigionieri. Che fate? Ubbidite alla norma e all’ordine o vi rifiutate perché voi non potete uccidere un altro essere umano?
Il ministro della propaganda e del ridicolo (diciamocelo una volta per tutte) non sa fare politica ma è bravo solo nel costruire il consenso tra gli strati più in difficoltà e ingenui della popolazione. Non va a discutere sui tavoli in Europa, sede deputata a fare politica sull’immigrazione e così, mentre 200, profughi e naufraghi entrano tranquillamente in Italia (certificati dalla testimonianza del sindaco di Lampedusa), l’uomo ridicolo ricomincia la sua battaglia contro le ONG e contro una coraggiosa comandante tedesca che ragiona con umanità e che al dilemma etico ha saputo rispondere senza esitazioneOnore al coraggio della capitana della Sea Watch, coraggio che la politica ha smarrito. Salvini,  è un uomo ridicolo e fa vergognare molti cittadini di essere italiani, peggio di Berlusconi ai tempi del “bunga bunga”. Eppure siamo la terra del rinascimento, di Dante, di Verdi e di Leonardo. Come possiamo accettare tanto degrado? Il dilemma etico si risolve con la disobbedienza civile a norme disumane e all’incompetenza di un ministro che non sa fare il proprio lavoro. Punto!

L’epoca e la politica dell'”io”

Da Berlusconi a Salvini, passando da Renzi e Di Maio. Ho passato una vita a sperare di trovare una politica “ragionevole”, attenta all’equità, all’ambiente, ai ceti più fragili, ai giovani, ma ogni generazione di politici è stato sempre peggio. Come se l’entropia fosse propria della politica. Ho riflettuto molto sul perché di questo degrado dello spirito civico che spinge i miei connazionali dietro a figure carismatiche che incarnano una politica di interessi, personalistica, a volte spericolata e mai orientata al bene comune. La diagnosi è che in Italia domina la cultura dell”io” e non siamo mai riusciti a concepire e far maturare la consapevolezza del “noi”. Non siamo mai o quasi mai un “noi”, inteso come una comunità di persone che voglio vivere e stare meglio uno accanto all’altro.

E questo ha tante ragioni storiche (l’Italia è giovane e figlia di tante invasioni e domini stranieri) e culturali (vent’anni passati nel degrado della TV commerciale berlusconiana che ha lacerato visioni del mondo virtuose lasciando una fetta del popolo italiano in preda alla tristezza di culi e quiz che si insinuavano a tutte le ore del giorno e della notte.

Ma poi c’è un altro grande tema: il mercato! Il mercato inteso come la libertà di operare della domanda e offerta, priva di regolamenti, paletti e vincoli. Dalla rivoluzione industriale in poi il capitale ha macinato accumulazione e i suoi possessori, tanto potere da diventare una centrale oligopolistica talmente grande, rarefatta ed indefinibile che a stento si sa di cosa si parla quando si tenta di parlarne. La finanziarizzazione del capitalismo ha redistribuito la ricchezza in modo poco equo, facendo credere al ceto medio che avrebbe portato benessere a tutti. Ma nel frattempo il capitale sia fisico che finanziario diventava sempre più inafferrabile, soprattutto attraverso l’ingegneria finanziaria dei derivati. Così pochi gruppi di esperti di finanza piano piano potevano decidere il destino di banche, aziende e paesi (si veda Goldman Sachs cosa ha fatto con la Grecia). E in tutto questo ci siamo antropologicamente trasformati sperando di essere tutti imbarcati sulla nave del successo, della ricchezza, attraverso la follia dei consumi compulsivi, scivolando nell’angosciante illusione che comperando sempre più oggetti, sempre più raffinati, avremmo raggiunto una qualche forma di felicità. E l’inganno dura ancora e ancora, da quando Berlusconi raccontava che tutti potevano diventare ricchi seguendo il suo esempio di imprenditore imprestato alla politica, a quando Renzi voleva farci sognare con la rivoluzione della “rottamazione” del vecchio per transitare in un iperuranio “nuovo” dove finalmente avremmo conosciuto il benessere costruito da “sinistra” conciliando mercato e sociale. Per poi cadere “ad inferos” nelle braccia di un pericoloso bulletto che spaccia idee balzane, costruite attraverso un’infernale (questa si) macchina di studio del comportamento delle masse, che sa stimolarne la paura e riceverne in cambio consenso. E non vogliamo dedicare due parole al grande politico anti-sistema Luigino Di Maio, schiacciato dall’impossibilità di realizzare roboanti promesse che avrebbero sovvertito l’ordine costituito? Ma allora? Quasi mezzo secolo è passato e ci ritroviamo a questo punto? Verrebbe da citare il finale di una poesia di Anna Segre: “L’universo si smaglia perché il male tira i fili mentre il bene si ostina a tessere”. Chi ha più la forza di tenere a bada il mercato? Di perseverare con il ruolo di educare allo spirito civico? Di non soccombere di fronte a tanta deriva? Solo l’arte riesce ancora a fare astrazione dal decadimento diffuso, perché di fronte all’opera d’arte torniamo tutti incantati di fronte a quel frammento di esperienza dove l’infranto, solo per un momento, appare ricostruito e ci salva dallo sconforto. Andate a teatro, a sentire concerti, a vedere mostre. Non risolve ma aiuta! Resistere, resistere, resistere!

Lettera al sig. Salvini da un professore

Caro ministro dell’interno, un po’ mi rattrista spendere del tempo per provare a spiegarle cosa sia la funzione educatrice e pedagogica di un insegnante, ma visto che la polizia viene mandata per sospendere un’insegnante che esercita la sua funzione di formatore, le dedico volentieri qualche minuto.

Io insegno economia politica e come spero le sappia – se ha studiato un po’ delle nozioni di base dell’economia – non esistono verità assolute in economia ma esistono teorie sulla realtà, visioni del mondo, scuole di pensiero: si può essere liberisti, ultra-liberisti, oppure neo-keynesiani o collettivisti. Ognuno sceglie una visione del mondo in funzione dei propri valori e della sua capacità di osservazione della realtà. Per capire l’economia politica bisogna fare anche riferimento alle scelte che la politica fa sull’economia: si chiama politica economica. Ma la politica economica la si fa a partire dai propri valori personali: credere nel mercato oppure pensare che lo Stato debba intervenire per correggere le storture create dal mercato. Credere che la sanità debba essere privata oppure pensare che faccia parte dei servizi universali che uno Stato debba offrire ai propri cittadini contro il pagamento delle tasse, pagate – come recita la costituzione italiana – in proporzione al proprio reddito (e soprattutto dovrebbero pagarle tutti, non solo una fetta di ceto medio con lavoro dipendente; se ne sta occupando?). Vede, lentamente così si entra nel merito di quello che i governi fanno. Negli esami di maturità ci sono domande su quali provvedimenti i governi e le banche centrali dovrebbero prendere per aiutare la crescita, lo sviluppo, lo sviluppo sostenibile (le segnalo che ci sono differenze importanti tra questi concetti). Per cui, nei testi ufficiali viene richiesto di conoscere e capire le conseguenze di un’azione specifica e noi insegnanti siamo obbligati ad affrontare quelle che sono le “vostre” scelte, nel bene e nel male. Per cui, caro signor ministro, faccia lo sforzo di capire che l’insegnamento e la formazione dei ragazzi non si limita a riempirgli la testa di nozioni e informazioni. Il nostro lavoro è aiutare i ragazzi a diventare persone capaci di pensare, li aiutiamo a sviluppare anche uno spirito critico, sebbene questo spirito critico sembra che lei lo sopporti a fatica. Ma un cittadino maturo è colui che conosce, valuta in tutta autonomia e sceglie sulla base della consapevolezza e non dell’emozione istantanea oppure dopo un bombardamento di parole e notizie che lo spaventano. Noi formiamo “persone” non funzionari stupidi e disciplinati che andranno ad occupare ruoli burocratici nella grande macchina amministrativa. Noi lavoriamo per formare persone cercando di aiutarle ad essere persone felici in questo mondo. Ogni volta che lei chiederà alla polizia di fermare un insegnante nel suo prezioso ruolo, mille insegnanti e mille cittadini si indigneranno e lei sarà sempre più solo ed isolato, arrabbiato e risentito contro il mondo.

Noi facciamo il nostro lavoro in modo sereno e siamo felici di insegnar loro a valutare il mondo in totale autonomia. Autonomia anche da coloro che, come lei, vorrebbero tutti allineati a pensarla nello stesso modo. Infine, mi scusi, ma lei un pensiero, un progetto per l’Italia, un’idea di futuro per il paese che sta governando  ce l’ha, oppure no? Perché ad osservare quello che dice e che fa sembra che abbia bisogno di tornare ancora un po’ tra i banchi di scuola, dove – mi creda – siamo tutti felici di poterla ospitare ed accogliere e dove si renderà conto che la scuola può essere un luogo molto bello e interessante dove si imparano tante cose sulla modernità, sull’economia, sulle arti e sulla storia. Venga a trovarci. La nostra porta è sempre aperta e lei è il benvenuto e scoprirà che anche i ragazzi hanno molto da insegnarle, a lei come a tutti noi.

Un cordiale saluto

Greta Thunberg: l’utopia necessaria

Di movimenti collettivi non se ne vedono più da anni, forse risucchiati nell’agio del consumo, nella distrazione della tecnologia e nel fascino dell’opulenza. Ma i movimenti collettivi sono motori del cambiamento, soprattutto dove la politica non arriva più, per debolezza, sottomissione all’economia e codardia rispetto ai poteri di multinazionali e potenti gruppi bancari.
Un movimento collettivo ha bisogno non solo di un’idea forte e di un leader, ha bisogno anche della rabbia di chi vi partecipa.
Greta Thunberg ha portato luce su di un dramma epocale diventato più che urgente, nonostante già da tempo tutti fossero consapevoli del ritardo con il quale i potenti del mondo indugiano nel prendere misure. E qui viene il bello, la diagnosi è spietata e radicale: non ci sono misure da prendere. Bisogna cambiare il modello di sviluppo e di crescita! Bisogna ripensare tutte le coordinate della nostra vita a cui ci siamo confortevolmente affezionati e questa è la cosa più difficile da fare. I soggetti che sono protagonisti dell’economia e della finanza mondiale non sono interessati a cambiare il sistema che li rende ricchi e potenti, anche se stanno segando il ramo su cui sono seduti.Non lo vogliono vedere, offuscati da potere, denaro e privilegi. La domanda è: ce la farà il movimento che sta nascendo a sovvertire l’ordine economico costituito per avviare una nuova fase di cambiamento profondo e radicale? La mia risposta è: credo di no. Usiamo una metafora tutta italiana: il movimento 5 stelle arriva sulla scena con intenti ecologisti ed ambientalisti ambiziosi e radicali. Poi, non trovando altri alleati sul proprio cammino, si rivolge all’unico soggetto disponibile: la Lega di Salvini, un partito che colerebbe cemento in ogni angolo d’Italia, che vorrebbe TAP, TAV, ponti sullo stretto, infrastrutture che diano lavoro a tutti, imprenditori e muratori, per portare a casa un po’ di PIL (leggi blog precedente su Pil buono e Pil cattivo). E cosa succede? Tutte le ambizioni sul tema clima, ambiente, inquinamento, cementificazione vanno a infrangersi contro un lungo processo di mediazione e compromesso che finisce per svilire e dissolvere la spinta originaria.Cambiare il modello di sviluppo chiede prima di tutto di decolonizzare l’immaginario liberista dei fondamentalisti del mercato, che ancora credono alle favole e che stravincono riempiendo gli scaffali dei centri commerciali di oggetti inutili. Questo è il punto nevralgico. Le grandi masse di consumatori non sono né pronte, né interessate a considerare un modello alternativo di società fondata sulle relazioni e non sul possesso degli oggetti.
La tecnologia offre già il futuro in termini di mobilità, produzione di energia, economia circolare, produzione di cibo locale, ricostruzione dei tessuti urbani, edilizia bio-sostenibile, riorganizzazione della viabilità cittadina etc. C’è già tutto a disposizione, quello che manca è solo la volontà politica che è ingessata poiché succube e subordinata agli interessi dei grandi potentati economici. Chi tocca i fili muore. Per cambiare le cose serve un lungo e lento lavoro di erosione delle certezze sul successo del capitalismo e una lenta ed inesorabile crescita di una visione che un modello alternativo è possibile se viene elaborato dal popolo. Ma il popolo ancora non lo sa che sarebbe saggio desiderarlo. Greta Thunberg va dritto e dice cose sagge ma dall’altra parte bisogna che la scintilla prometeica di un nuovo movimento collettivo guidato da giovani, rimetta al centro il tema della sostenibilità e del modello di economia che vogliamo. Greta c’è e il suo ruolo lo ha svolto, riuscirà lo spirito dello “
Statu nascenti” a risorgere dalle proprie ceneri?

Appello al PD: arrendetevi!

Arrendetevi al fallimento epocale, agli errori di lettura della realtà e alle ricette adottate. PD, progressivamente, da Veltroni a Bersani, passando da D’alema su su fino all’apoteosi di Renzi e ora i suoi figliastri Calenda e Martina. Siamo realisti: avete via via abbracciato il modello capitalistico finanziario, avete adottato la logica neo-liberista. Anzi, a vostro discolpa possiamo dire che avete capito che non c’era alternativa nel gestire la cosa pubblica: o si adottava lo schema neo-liberista oppure sarebbe stato impossibile governare. Questo è il vulnus più grave. Il potere e la vertigine di poterlo gestire, vi ha risucchiato in un vortice che ha centrifugato i valori della social-democrazia e vi ha lasciato come scheletri di una nuova destra che non assomiglia a nulla e a nessuno, perché parlate di sinistra avendo dimenticato cosa veramente voglia dire. Avreste dovuto denunciare fin dall’inizio che le logiche in Europa sono informate dal mercato, dalla finanza che decide il destino dei paesi, dalle banche d’affari, che se amiche aiutano, se nemiche distruggono (ricordate la Grecia e le recenti parole di Juncker?). Ma non lo avete mai fatto! Suvvia, la fascinazione del potere vi ha reso miopi e avete abdicato al cuore dei valori della sinistra. Adesso fate tenerezza, quando non suscitate una rabbia profonda nel popolo di sinistra (che ancora esiste, seppur smarrito). Fate tenerezza quando volete raccogliere le firme per un referendum contro una delle rare “cose” di sinistra come la legge per l’aiuto alla povertà estrema. Vergognatevi! E poi l’attacco alla costituzione di Renzi-Boschi, servi di qualche cattivo suggeritore della city londinese o potentato finanziario o agenzia di rating. Non ce l’avete fatta e avete sbagliato, ripetutamente, avete perseverato. Ma al posto di prenderne atto e dimettervi, gareggiate al vostro interno, come in un circolo per soli maschi che gioca al bridge per chi gestisce il funerale di una forza politica che un tempo aveva cuore e anima. Bisogna attendere la CGIL di Landini per sentire parole come lavoro, ambiente, pensionati, giovani, redistribuzione della ricchezza? Allora prendete cappello e ombrello e andate ad occupare gli spazi lasciati liberi dal tramonto dell’imprenditore di Arcore, felicemente neutralizzato politicamente da chi la costituzione ancora la sa leggere, interpretare ed applicare. Lì c’è spazio per i moderati che ancora credono che il mercato, lasciato libero di agire crea piena occupazione. Nulla di male nel credere alle favole, ma fatelo nel luogo deputato e lasciate libero uno spazio che avete usurpato, con ingenuità e ignoranza, piuttosto che con dolo e cattiveria, questo si ve lo concediamo!

Pil buono e Pil dannoso: per un sapere minimo.

Ascolto dibattiti, si profilano “partiti del Pil”, si riempiono piazze che si appellano alla crescita del Pil ma non si vedono politici nei talk show spiegare che cosa sia veramente, cosa significhi farlo crescere e se ci sono differenze in questo totem della moderna economia tra Pil buono e Pil dannoso. Esiste un dibattito ricchissimo sul fatto che il Pil possa ancora oggi essere considerato un buon indice per misurare il benessere di un paese. Fu introdotto nel lontano 1934 dall’economista Simon Kuznets quando il mondo era un po’ diverso. Ma poi, nel corso degli anni il dibattito si è pronunciato per il no! Non è un buon indicatore! E’ un pessimo indicatore, limitato, inadeguato e spesso inutile.

Il Prodotto interno lordo è un indicatore vecchio, incompleto e inadatto ai tempi moderni. Già nel 1968 Robert Kennedy fece all’Università del Kansas un bellissimo discorso che in sintesi recitava: “il Pil misura tutto tranne le cose per cui vale veramente la pena vivere”. Fu ucciso tre mesi dopo. Per intenderci: cresce con i disastri ambientali, l’inquinamento, il consumo di suolo, gli incidenti, l’uso di medicine, l’aumento di malati, serrature delle case contro i ladri, produzione di bombe, etc. Insomma, è costituito anche degli aspetti più terribili della nostra vita ed è per questo che sono nati molti altri diversi indicatori di sviluppo e di sviluppo sostenibile.
Tra questi, ne ricordo solo alcuni: ISU (indice di sviluppo umano), il BIL(benessere interno lordo), il BES (benessere equo e sostenibile), l’indicatore di Progresso Reale (Genuine Progress Indicator) a riprova che il Pil non è più in grado di misurare la crescita del benessere di un popolo e della sua economia. Questa fatto dovrebbe essere la base della grammatica di un politico che lavora per dare nome alle cose e proporre un progetto di cambiamento nella giusta direzione. Ma ascoltiamo analfabeti dell’economia inseguire concetti vecchi che portano, di conseguenza, provvedimenti vecchi per un mondo che è invece cambiato. Se inseguiamo la crescita del Pil senza badare ai suoi contenuti di qualità, rincorriamo un mondo che ha fatto danno all’ambiente, all’economia, alle persone, fondato su produzione senza scrupoli, rincorsa del profitto senza limiti, creazione di 

sperequazione e disuguaglianza all’infinito e non abbiamo le parole per educare ad un’altra visione di futuro che è già qui ma che se non lo si pronuncia, non diventa una grammatica familiare che ispiri comportamenti virtuosi e azione politica coraggiosa e necessaria.

Mala tempora currunt ……(sed peiora parantur )

In Francia spesso si arrabbiano e scendono in piazza, protestano sonoramente, noi no. Da forse più di quarant’anni non si vedono più movimenti di protesta. Il cambiamento non sembra più venire dai movimenti collettivi, dal famoso “statu nascenti” che ne forniva energia e spirito rivoluzionario. Oggi, nell’era del www, ci si sfoga nel web, nelle piazze virtuali, con i blog, postando su FB, su twitter, arrabbiandosi in silenzio, nel proprio intimo a casa propria sgranocchiando noccioline. La potenza del virtuale ha neutralizzato la forza dello stato nascente. Non sono le “madamin” in sciarpetta che scendono in piazza a Torino perché vogliono più Tav ad essere movimento e non lo sono i movimenti “no global” o “occupy wall street” che sono dispersi sul pianeta schiacciati da sistemi informativi che li ridicolizzano.

Da noi siamo di fronte alla disumanizzazione e all’umiliazione della nostra carta costituzionale, con lo sceriffo, ministro degli interni, che prima cavalca la paura e poi offre soluzioni a problemi che lui ha inventato. Un mago, che ti fa credere che qualcosa esista per poi farla scomparire. E lo fa abilmente sulla pelle della povera gente: zingari, migranti, poveracci di tutte le specie. E dov’è l’opposizione? Dove sono i sindacati, la Caritas, i giovani, gli intellettuali, i filosofi, gli insegnanti? Dov’è tutto quel mondo che non condivide questa barbarie? Ognuno a casa sua ad arrabbiarsi in silenzio o digitando il proprio  

disappunto in modo piccolo-borghese, esattamente come sta facendo il sottoscritto. I fenomeni sono complessi e richiedono complessità nel saperli abbordare. L’Europa ha fallito di fronte alla crisi economica e i popoli si sono arrabbiati. E in Italia purtroppo quel personaggino egoico di Renzi ha sottoscritto le logiche liberiste che hanno messo in ginocchio l’Europa: gli interessi del capitale, della finanza, lo spauracchio dei mercati e ha sostenuto chi truffava e non le loro vittime. Ha consegnato il paese arrabbiato e sofferente allo sceriffo Salvini che ha avuto buon gioco nel prenderlo sotto la propria ala avvelenata. Poco importa che Salvini sia un navigato politico della vecchia Repubblica, complice dello sparimento di 49 milioni di euro di nostre tasse, poco importa che il furbone di Arcore ora stia aizzando tutti i suoi uomini per una campagna contro gli ingenui 5 stelle, quello che

conta è che questo concatenamento di eventi non è sufficiente a far scendere in piazza tutti gli uomini e donne di buona volontà. Un silenzio assordante di fronte alla barbarie e una tristezza infinita nell’osservare la passività globale che fa gridare vittoria ai soliti noti.

La vergogna, sentimento dimenticato

Mi vergogno e chiedo scusa al signor Emmanuel cassiere del Carrefour per la signora razzista che ha smarrito se stessa e la sua anima. Mi vergogno per le decisioni di un ministro dell’interno, che per scalare il potere e conquistare il consenso smonta con prepotenza il modello di accoglienza del sindaco di Riace e poi alla chetichella rateizza i debiti del furto di denaro pubblico che il suo partito ha commesso ai danni degli italiani quando anche lui era dirigente. Mi vergogno per quei commercianti che protestano a Varese per la rimozione di alcuni parcheggi per avere un principio di pista ciclabile. Coraggio sindaco, avanti così! Mi vergogno di aver un giorno votato Renzi, che ha consegnato l’Italia alla Lega dopo essersi dimenticato cosa voglia dire essere di sinistra ed occuparsi di chi non ce la fa – soprattutto dopo dieci anni di crisi economica – e mi vergogno anche di vedere che la forza innovativa del movimento 5 stelle si sta appiattendo sulle istanze della peggiore destra razzista e xenofoba italiana. E’ il caso di dirlo: non c’è limite al peggio.

Non esiste un’emergenza migranti e scatenare gli istinti più bassi del razzismo becero ricadrà su chi lo sta facendo e attenzione dovrebbe fare il ministro dell’interno e la sua banda ad andare su questa strada perché poi la storia rimetterà le cose al loro posto e i prepotenti, razzisti, xenofobi si ritroveranno a fare i conti con il loro di disagio e con la loro di furbizia. Lucida strategia o ignoranza? Questo è il dilemma! Questa è la conseguenza all’incapacità della classe dirigente del PD di vedere i problemi ed essersi voltati da un’altra parte quando il popolo soffriva di una lunga crisi, ostentando virtù politiche da statista e compiacendosi del carisma da capo. Qui siamo e da qui dobbiamo transitare purtroppo. Ma la notte sembra ancora essere lunga e il disincanto cresce e porta con sé il pericolo di un nuovo scollamento tra cittadini e potere. Quando la politica non c’è, governano i poteri della BCE, del fondo monetario e della commissione europea. E quando la politica crede di saper governare e ribaltare il tavolo arrivano dilettanti che entrando nelle stanze del potere toccano cose che non conoscono. Non si può dire: “mangio pane e spread” perché poi qualcuno farà pagare questa affermazione (da ignorante inteso come colui che ignora, non sa, non conosce, forse non ha studiato abbastanza quindi un po’ asino) ai cittadini. I mercati non sono cattivi, è il sistema che è costruito male e si appoggia sulla finanza per ogni cosa avendo la politica abdicato dal suo primato.

Usciamo dalla crisi come da una curva in cui sbandiamo in modo scomposto. Ci sono forze che non vanno risvegliate, istinti che è bene tenere controllati, sentimenti che devono restare sopiti perché la storia insegna che è facile degenerare ed è difficile ritrovare il senno e la ragione. Siamo tutti chiamati a vergognarci, a scusarci, a parlare ed educare, il silenzio e l’indifferenza in questo momento possono essere letti come complicità. Coraggio!

Città di transizione: che difficile transizione in Italia!

Le “transition town” (città di transizione) sono una realtà nel mondo che conta circa 1500 città. Si tratta di popolazioni e amministratori che hanno fatto una scelta coraggiosa di cambiare dal basso lo stile di vita, la mobilità, la produzione del cibo, la costruzione delle casa, la socialità, per far fronte alle problematiche dei combustibili fossili e prepararsi all’epoca in cui il petrolio finirà andando oltre il problema delle emissioni, ma ripensando il concetto di una comunità di persone che vive insieme. 
Nasce in Inghilterra a Totnes da un’idea di Rob Hopkins, ambientalista esperto di permacultura. Così, dopo aver visto il documentario “Domani” del regista francese Cyril Dion, mi sono documentato e poi sono partito per l’Olanda a Nijmegen, capitale delle transition town per il 2018 e ho visto cose che mi hanno affascinato e che mi hanno fatto riflettere su come il cambiamento può avvenire dal basso, dalla semplice volontà politica di amministratori che incrociano la sensibilità dei cittadini.

Nella recente conferenza di presentazione del suo libro “L’utopia sostenibile” Enrico Giovannini rifletteva sulla necessità del cambiamento guidato dalle élite politiche e imprenditoriali, dall’opera di educazione nelle scuole e nel cambio di mentalità che deve avvenire. Tutte idee molto condivisibili ma la realtà del turbo-capitalismo è ancora molto forte e dominante e l’immaginario diffuso è completamente colonizzato dal pensiero dominante sul possesso degli oggetti, sulla competizione per il profitto e sull’economia lineare che sfrutta le risorse e produce quantità enormi di rifiuti, guidato dagli interessi dello strapotere della finanza su qualsiasi dinamica politico-economica. Il processo di decolonizzazione dell’immaginario capitalistico è molto più lento di quanto il disastro ambientale stia progredendo. Per questa ragione la soluzione dal basso delle città di transizione sembra rappresentare una grande opportunità che coinvolge cittadini e amministratori di buona volontà e rappresenta una soluzione che può crescere lentamente.
Di cosa si tratta in sostanza? Le idee sono semplici e di facile applicazione:

  • Ri-progettare quartieri e recuperare immobili con bio-edilizia che permetta case a basso impatto energetico e che siano autonome nel riscaldamento e raffreddamento e costruite con materiale bio come legno, fibre naturali, paglia, canapa, sughero, vetro riciclato, etc.
  • Produzione di cibo locale attraverso gli orti cittadini progettati seguendo la logica della permacultura (permanent agricolture).
  • Repair cafè dove esperti di tecnologia mettono alcune ore a disposizione per coloro che hanno bisogno di riparare oggetti elettronici o elettrodomestici.
  • Utilizzo degli spazi verdi per piantare aromi, essenze e frutta in città.
  • Ripensare la mobilità attraverso l’uso di biciclette normali ed elettriche, con la realizzazione di piste ciclabili estese.
  • Incentivazione di micro fattorie per la produzione locale di cibo a km 0.
  • Gruppi di acquisto
  • Incremento di fonti di produzione energetica rinnovabili
  • Corsi di educazione alla vita civica e al consumo “intelligente”
  • Sensibilizzazione ai limiti del modello di sviluppo attuale e costruzione di un immaginario alternativo sul modello di crescita e sviluppo delle città.

Questo elenco è solo un esempio di tutto ciò che una comunità può fare per attivare il cambiamento dal basso che porta con sé nell’immediato benessere sia all’ambiente ma soprattutto alle persone che scoprono che una miglior vita di relazione e un miglior rapporto tra persone e ambiente giova a tutti e cambia le coordinate del vivere sociale oltre che la geografia dei luoghi che abitiamo che di colpo si animano;  poiché un’aiuola non è più un’aiuola ma un luogo di collaborazione per far crescere il rosmarino o i lamponi e questo fa molto meglio alle persone di molti sonniferi e antidepressivi.

Salvini e i Rom

Da Berlusconi a Renzi a Salvini, ma cosa abbiamo fatto di male per meritarci tutto questo?

Salvini in questi giorni sembra un bambino che ha ricevuto un regalo più bello di quello che si aspettava. E’ spumeggiante, galvanizzato, eccitato per il nuovo gioco (ruolo) che si ritrova tra le mani. E che fa? Si scaglia contro il piccolo frammento più fragile della società italiana: i Rom, 0,23% della popolazione italiana.

Pensavo cominciasse il suo mandato da mafiosi, ‘ndranghetisti infiltrati nelle amministrazioni del nord, evasori incalliti, parassiti della pubblica amministrazione, fannulloni delle partecipate, evasori delle grandi aziende che con la loro furberia non pagano tasse all’erario. E invece no. Il neo ministro Matteo se la prende con i più deboli. Verrebbe da chiedersi – e nell’aria già risuona – se fare i gradassi con i più deboli non sembri più un gesto da bulli che da statisti?
I Rom un tempo erano una popolazione gioiosa, quando arrivarono in Italia intorno al 1470. Nomadi, artisti, artigiani, ballerini, allevatori di cavalli e addomesticatori di orsi. Un popolo tranquillo che si posizionava nelle periferie della provincia Italiana per portare una ventata di leggerezza, spettacoli e prodotti di artigianato (erano spesso abili nel lavorare il rame).

Oggi vivono in campi spesso degradati. La domanda allora da porsi è: sono loro che amano il degrado, oppure la società è cambiata e oggi rifiuta quello che ieri accettava di buon grado, quando erano invitati a fare spettacoli o a vendere i loro beni o a mostrare le loro arti? Va da sé che è la società che è mutata e potendo fare a meno di loro li ha abbandonati al degrado, loro che non sanno essere moderni, tecnologici, “civili” come lo siamo diventati noi. Loro che non tutti vogliono case di muratura, un lavoro fisso e integrazione come noi la concepiamo. Loro sono nomadi e vogliono vivere in modo diverso. Allora mi verrebbe da dire al sig. neo ministro degli interni: “vai a parlare con i capi del loro popolo e cerca di capire che cosa vogliono per uscire dal degrado e poter vivere come vogliono senza dover strisciare nella melma dei campi nelle periferie”. Forse porta meno facili voti ma c’è il rischio che si possa mettere sul tavolo un piano per sanare il degrado e offrire loro spazi, aree, infrastrutture per salvaguardare la loro identità e stile di vita, senza ricorrere a tristi pratiche di schedature. Il nuovo gioco Salvini, devi imparare ad usarlo, perché ora sei grandicello e non si può scherzare con la vita delle persone e se a qualche testa calda gli viene in mente di seguirti e fare gesti inconsulti contro i Rom, tu ne saresti responsabile. Pensaci neo ministro degli interni!