Germania Vs. Italia

Scendo le scale di casa ed apro il pesante portone di legno massello riportante il numero 16.
Svolto a sinistra e passeggio frastornato lungo Rykestraße. Un pallido sole berlinese mi scalda l’animo e mi illumina i pensieri dopo ore grigie passate cercando di capire cosa stia succedendo in Italia in questi giorni.

Camminando sul lato destro della strada, con la torre dell’acqua in fronte a smorzare una fortissima luce, arrivo fino ad un imponente sistema di gabbie e cancelli.

Una macchina della polizia tedesca presidia solenne e orgogliosa.

Dentro ad una parete in mattoni a vista si trova un centro ebraico.
Non so se ci si preghi, se ci si studi la Torah o se semplicemente si cerchi di mantenere viva la presenza ebraica in una città che di tutto ha fatto, nel suo passato, per cancellarla dalla faccia della terra.

Ma quei cancelli alti fino al cielo e quella macchina così autoritaria sono il simbolo della nuova Germania.

Rappresentano la ferma volontà di ribadire che lo Stato, e la sua legge, oggi esistono e sono forti ed intoccabili.
Rappresentano l’ammissione di colpa per un passato in cui sono stati fatti errori, errori così grandi che a raccontarli a parole sembra quasi di sminuirli.
Ma la presenza dello Stato fuori da quel cancello significa anche che ora, oggi, nel nostro presente, niente di tutto ciò può tornare.
Il nazismo prima e la DDR dopo sono morti. Spariti per sempre.
Il muro è caduto e con la sua caduta è iniziato il futuro.

La democrazia alla fine ha vinto.

In Italia, invece, un Cavaliere autoproclamatosi Re, parlava oggi dal suo trono.
Accusava l’opposizione di essere comunista. Accusava la magistratura di tramare contro di lui. Mistificava la realtà raccontando menzogne con una stampa di regime che faceva il proprio sporco lavoro chiedendo poco e mormorando ancora meno.

Poi un uomo, dal nulla, ha iniziato ad avere qualcosa da ridire.
E anche in Italia, lo Stato ha dimostrato di essere presente.
E lo ha dimostrato non con un semplice operaio della pubblica sicurezza, ma con il suo capo in persona, il “Ministro della Difesa”, che, forse in un attimo di nostalgia per il proprio passato, ha pensato che la democrazia si realizzi davvero quando solo gli amici del capo possano aprire bocca.
Un bel flash-back agli anni ’20. Quando chi dissentiva andava in “vacanza al confino” e non di certo alle conferenze stampa.

E purtroppo questa è l’Italia. Un’Italia da voltastomaco. Un’Italia senza più dignità.

Un’Italia in cui, a suon di caroselli, grandi fratelli e mignotte a Studio Aperto, i cittadini della Repubblica non si sono nemmeno accorti che c’è in atto un colpo di stato e che, nel 2010, in Italia come in Iran, “alcuni animali sono più uguali degli altri”.

White Barna

Questa ci mancava. Barcellona sotto la neve.

Chi l’avrebbe mai detto, a Marzo? Bisognerebbe mandare queste foto ai molti delegati che durante il meeting sul cambio climatico di Copenhagen sono stati fotografati dormendo. Annoiati. Questa sí che é roba forte!

Colón imbiancato

Colón imbiancato

Sabato sera il Real Madrid ha strappato la testa della classifica al Barça dopo mesi e oggi pomeriggio la capitale catalana era ricoperta di bianco. Piú di un tifoso é stato visto grattarsi laggiú. Anche se la superstizione sportiva non é cosí diffusa come da noi, non si sa mai..

Panorama dal salone di casa nostra alle 17.12h di oggi

Panorama dal salone di casa nostra alle 17.12h di oggi

Come accade in tutte le cittá che vedono la neve ogni 15 anni, potete immaginare la situazione di emergenza che stiamo vivendo. Case senza luce, strade bloccate, chiuse, intasate, ritardi da scandalo nel trasporto pubblico, metro aperto tutta notte per sopperire al caos stradale, bambini felici con il loro primo pupazzo di neve urbano e genitori che si sforzano di ricordare il precedente.

Altre foto le potete vedere qui

Per me la sfida é rimanere in piedi con il motorino, il sollievo é ricordare le spalate che in questi casi mi attendevano a casa, e il desiderio é che arrivi in fretta la primavera. Che a noi Barcellona piace di piú cosí.

Bloggers

Domenica 28 Febbraio 2010. Data da ricordare per due motivi: primo, era l’ultimo giorno delle Olimpiadi invernali qui a Vancouver e secondo, il Canada ha vinto l’oro nell’hockey maschile contro gli USA. Trionfo dilagante. La vittoria contro i non troppo amati vicini di casa ha significato ben piu’ di una vittoria per i Canadesi. Mi e’ sembrato di rivivere la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio del 2006; la gente si e’ riversata per le strade colorandole di rosso e di bianco, inneggiando “Oh Canada!” in ogni angolo della citta’ e festeggiando fino a notte inoltrata. Che spettacolo!

Ma non e’ ancora di Olimpiadi che voglio parlare. O meglio, vorrei raccontarvi di un evento curioso che mi e’ capitato lasciando alcuni commenti su un Blog del Corriere della Sera.

Durante le Olimpiadi, alcuni inviati del giornale, hanno dato vita ad  un blog come questo, con l’intento di raccontare le loro impressioni e le loro avventure in terra Canadese. Ho iniziato cosi a seguire assiduamente i blog di Roberto Perrone e Gaia Piccardi, divertita ed incuriosita da quello che avrebbero scritto durante queste due settimane di giochi olimpici. A parte le banalita’ della Piccardi, esempio interessante (e dal mio punto di vista deprimente) di un nuovo stile giornalistico, mi sono appassionata al blog di Perrone – http://blog.corriere.it/giubberosse/. Le sue osservazioni e le sue critiche sui Canadesi e sulla realta’ che si vive qui, visti dagli occhi di un Italiano, mi facevano riflettere,  sorridere ed arrabbiare, dandomi al contempo l’opportunita’ di confermare alcune delle mie opinioni sul Canada e sull’atteggiamento di alcuni Italiani che vengono qui per la prima volta. Si perche’ se e’ vero che “l’isola che non c’e’, non esiste”, e’ anche vero che un atteggiamento critico e sulla difensiva si dimostra limitante e riduttivo a generalizzazioni che lasciano il tempo che trovano. Soprattutto, cio’ che piu’ mi incuriosisce di questo approccio, e’  il fatto che per molti Italiani, l’Italia rimane un paese contraddittorio, dove si fa fatica a tirare avanti, un paese vecchio e corrotto ma se confrontato con altri paesi, resta sempre il Paese dove si vive meglio al mondo…”perche’ come si vive in Italia, non si vive da nessun’altra parte”.  In parte concordo con questa opinione, dall’altra mi chiedo come mai allora, leggendo anche questo blog, molti di noi abbiano lasciato il Belpaese per andare a cercare opportunita’ altrove….saremo forse svalvolati?

Questo atteggiamento difensivo e di quasi ostentata superiorita’ ha presto iniziato a darmi fastidio e quindi ho incominciato a lasciare i miei commenti sul blog. Il mio intento non era quello di attaccare o difendere  ma  quello di cercare di fornire un punto di vista piu’ obiettivo e dialettico. Il risultato e’ stato inaspettato; altri Italiani che vivono qui si sono uniti a me e con i nostri commenti abbiamo creato una sorta di “blog nel blog”. L’esperienza e’ poi culminata quando ormai presi da troppa serieta’, il buon Perrone ci ha invitati a partecipare ad una festa organizzata da lui personalmente in nostro onore, in occasione della giornata di chiusura delle Olimpiadi, il 28 Febbraio, appunto.

E’ proprio vero che spesso da opinioni divergenti nascono idee innovative e legami inaspettati…chi l’avrebbe mai detto!

Ed ancora una volta, mi sono compiaciuta per l’ospitalita’, la socialita’ e il senso dell’umorismo che contraddistingue noi Italiani, in Italia e nel mondo…ed ancora una volta, mi sono sentita orgogliosa di esserlo.

“Chissa’ se un giorno incontrero’ chi mi legge o lascia un commento sul mio blog”, ho pensato mentre tornavo a casa domenica sera…chissa’?!

Scegliere

Il cielo livido, grigioviola.

Ho baciato A. dopo aver saputo saputo che non ci saremmo più rivisti.

Anche se “più” forse non ha molto senso, dato che ci siamo visti solo quella sera.
Pochi giorni prima Jak-O mi ha dato, anche lui, una conferma in tal senso.
– Non volevo dirtelo, ma in fondo un po’ ci speravo – le parole uscite dalla bocca di sua madre – ti rivolevo un po’ a casa. In fondo non stai nemmeno così bene, lì.
Nel sapere che il figlio non ha passato il test di ingresso per il master, perdendo così il visto.

A. è un mio doppelgänger, potrei dire, che ho conosciuto in un bar di Shinjuku.
8 mesi. A Tokyo. Arrivati quasi lo stesso giorno, stessi problemi, stesse geometrie sfarzose di rapporti sociali con i medesimi punti d’ombra.
A. non ne può più, molla tutto e torna a casa. Io no, credo.

Per una volta abbandono il mio parlare per circoli oscuro e velato.
Sono giù.
Sono turbato. E non riesco a spostarmi.
Tra 4 mesi tornero’ in italia a fare non so cosa, oltre a dare una tesi e qualche esame, e in seguito a ciò l’alternativa più papabile sarebbe quella di tornare qui, dove alcune prospettive ci sono.
In italia, bene che vada, mi aspetta quella che sembra sempre di piu’ una parodia fascista di oligarchia, una posizione (forse) sottopagata e mal tutelata, e molto amore, quello sì.
Qui non so.

J. mi scrive dalla Tailandia, qualche giorno lontano dalla fredda euforia di Tokyo.
-mai come ora nella mia vita ho avuto un così buon lavoro. Ma allo stesso tempo, sento la passarmi davanti, e il mio cuore morto e desolato.

Cerco una risposta nei cibi ipercalorici.

L’altra faccia della medaglia

Eccomi…l’Olympic Spirit, come lo definiscono qui, mi ha travolta. Volevo raccontare di piu’ su questo blog ma il tempo trascorso in casa era tempo rubato a vivere questi momenti preziosi.

Siamo ormai entrati nella seconda settimana; Vancouver e’ impazzita, non e’ mai stata cosi viva e affascinante….le strade sono fiumi di gente, di cori, di maglie rosse e bianche e di bandiere di tutto il mondo; la gente e’ allegra e le file interminabili davanti alle varie locations disseminate in citta’ diventano luoghi di incontro, socializzazione e baldoria continua. Mai vista tanta vita a Vancouver, lo giuro…mi sembra di essere tornata in Europa e questo mi fa sentire piu’ a casa.

E’ un peccato pero’ che leggendo la stampa Italiana non si avverta per nulla quello che stia succedendo qui. Da quando sono iniziate queste Olimpiadi non faccio che leggere sulle testate nazionali (Italiane) critiche e polemiche sulla citta’ e sull’organizzazione, sul tempo, sulle proteste dei comitati antiolimpici, sulle macchine che non puliscono bene il ghiccio e chi piu’ ne ha, piu’ ne metta. Quasi sembra che parlare di sport, del sapore della vittoria, dello spirito di squadra o del sentimento patriottico e di unione tra i popoli sia ridondante e marginale…dopotutto la cronaca, le polemiche e le notizie negative vendono di piu’ – e questo mi fa pensare a come funziona il nostro sistema di informazione e di come il nostro modo di vedere le cose sia sempre deviato in qualche modo -.

D’accordo, queste Olimpiadi non sono iniziate sotto una buona stella; il grave incidente che ha causato la morte all’atleta Georgiano non e’ stato certamente un inizio che ci si poteva augurare; nessuno ha dimenticato o dimentichera’. Senza alcun dubbio,  il fatto che un incidente del genere sia accaduto in Canada ha fatto sgranare gli occhi a tutto il mondo…ma il Canada non doveva essere uno dei Paesi piu’ avanzati, sicuri e precisi al mondo? Sgomento e responsabilita’ a parte, quando ho appreso la notizia, ho pensato alle parole di una canzone di Alanise Morrissette, anche lei Canadese guarda caso, che suona cosi:

“Mr. Play It Safe was afraid to fly
He packed his suitcase and kissed his kids good-bye
He waited his whole damn life to take that flight
And as the plane crashed down he thought
‘Well isn’t this nice…’
And isn’t it ironic.”

Ed anche io, l’ho trovato ironico, perche’ Vancouver ha veramente aspettato da una vita questa occasione e per un problema di sicurezza si e’ vista crollare tutto addosso; sicurezza, per cui tra l’altro i Canadesi sono veramente paranoici ed ossessionati.

Ma lo sport e’ vita ed i giochi, come la vita, vanno avanti…e l’altra faccia della medaglia, quella che i giornali stentano a raccontare, e’ brillante ed ha un disegno bellissimo da mostrare al mondo.

Ora la citta’ mi aspetta ma tornero’ a raccontare altre curiosita’.

Ecosostenibilità

Rileggo con un sorriso stretto tra i denti due notizie che hanno recentemente scosso l’opinione pubblica varesina.

La prima, quella forse più seria, è il problema dell’inquinamento. L’aria diventa di anno in anno più irrespirabile. Malpensa e un traffico sempre più frenetico e caotico stanno rubando ossigeno ai miei concittadini.
In alcune città propongono blocchi del traffico dall’impatto mediatico altissimo e ambientale pari a zero.

Ma, purtroppo, gli anni passano e nuove linee ferroviarie non se ne vedono. I mezzi pubblici continuano la loro politica del “solo linee diurne”, non capendo che fornire il servizio notturno non significa solo meno patenti ritirate e meno incidenti, ma anche un incentivo a vivere senza auto.
E chissà, se solo a Varese si avesse il coraggio di provarci, si scoprirebbe che si vive anche meglio.
Non parliamo poi di piste ciclabili.

La seconda notizia che mi ha allietato una fredda giornata berlinese è stata l’alzata di forche contro i manifesti pubblicitari di un night club ticinese. Uno di quelli in cui i nostri amici, fratelli e padri varesini pagano per fare sesso, tanto per intenderci.
Si alzano i tappeti e si nasconde sotto la polvere.

A Berlino invece la prostituzione è legale e regolamentata.
Questo, in una società tollerante e intelligente, provoca meno sfruttamento e tasse regolarmente pagate in base ai propri guadagni.
E a dimostrazione di come l’anti-proibizionismo paghi, leggo qui che le prostitute effettuano sconti del 5% per tutti quei clienti che si presentino con le chiavi del lucchetto del catenaccio in mano o, con l’abbonamento o il biglietto del bus.
Una specie di incentivo ambientale. Da città moderna.

La città che potrebbe essere Varese se solo, tra un ingorgo e l’altro, si iniziasse a pensare al futuro invece di chiudersi sempre nel proprio passato.

Una brave riflessione sulla mia fuga dall’Italia

Gli ultimi giorni della mia vita li ho passati svegliandomi in un letto che non è mio, in una stanza che condivido con un ragazzo che è nella mia stessa situazione labile, fragile e precaria e in una città che dista più di mille chilometri da casa.
Una città in cui si parla una lingua ostile ed avversa, una città perennemente coperta da uno strato di ghiaccio odioso e invincibile e una città in cui le persone che conosco si contano sulle dita di una mano.

Ogni singolo giorno mi sveglio e guardandomi allo specchio mi chiedo cosa ci faccia qui. Cosa stia cercando.
Cosa mai potrei trovare di meglio a Berlino rispetto al piccolo paese da cui provengo.
Perchè abbia dovuto lasciare tutto per sentirmi felice con me stesso.

Poi, in un momento di nostalgia, decido di dare un’occhiata al sito di VareseNews per scoprire cosa stia succedendo a casa.
E proprio su questo sito così familiare leggo che un ragazzo che personalmente non conosco, ma la cui fama lo precede, oltre ad avere un lavoro pagato dodici-e-dico-dodici mila euro al mese, adesso sarà anche candidato per non so quale elezione in non so quale circoscrizione.
Con la strada bella spianata verso un futuro già scritto.

Ed è proprio per questo che, esule dall’Italia, ogni mattina mi sveglio felice.
Sapendo che il letto in cui dormo non sarà mai mio, ma nessuno me lo ruberà solo perchè figlio del politico di turno.

“Paris ou l’enfer des transports”… Oddio che risate…

Premetto: ho fatto il pendolare Varese (poi Malnate) – Milano per 11 anni (fra università, dottorato e lavoro) e ho avuto la (s)ventura di studiare e lavorare in Bicocca, una zona scomoda da raggiungere da Varese, quindi ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire prendere treni e mezzi di trasporto in comune in Lombardia…

Ora sono felicissimo perché per andare al lavoro prendo il mio bellissimo tram (il T3): nuovo fiammante, mai troppo pieno (ne passa uno ogni 3 minuti all’ora di punta), sfreccia su binari appena celati da un curato tappeto erboso, tutti i semafori diventano verdi (per lui) al suo passaggio e in 20-30 minuti arrivo al lavoro. Che bello, finalmente ho potuto dimenticare il mio pendolarismo sulle Nord. Ovviamente, quando leggo articoli come quelli apparsi recentemente (su Castellanza o su come tutto funzioni meglio ora), i (brutti) ricordi da pendolare si mescolano con la speranza che qualcosa, almeno lentamente, stia cambiano in meglio.

Fin qui niente che sia degno di nota.

Stasera però mi metto a leggere le notizie su Le Monde e cosa ti trovo? Un meravigliosa (per me) collezione di lettere di pendolari parigini e franciliens (cioè abitanti della regione di Parigi, l’Ile de France) DISPERATI! Oddio che ridere… Chissà se si facessero un giro sui treni fra Varese e Milano cosa ne uscirebbe! Per chi non lo sapesse, bisogna prima di tutto dire un paio di cose: la città di Parigi propriamente detta (senza quindi l’enorme periferia che la contorna) ha una superficie che è la metà di quella del comune di Milano ma è servita da 14 linee di metropolitana (ripeto: QUATTORDICI, contro le TRE linee attuali di Milano) e da 5 (CINQUE) linee di RER, corrispondenti come idea al passante  ferroviario (UNO) di Milano. La linea 14, la + recente, inaugurata negli anni ’90, è completamente automatica (viaggia senza conducente). Con il treno si possono raggiungere entrambi gli aeroporti di Parigi (un treno ogni 1/4 d’ora) e con lo stesso treno in teoria puoi andare da uno all’altro (come fare Malpensa-Linate senza cambiare mai treno). Per un milanese o un pendolare pura fantascienza… Eppure non sono contenti!

Oggi avevo letto da qualche parte (dove?) che il modello di riferimento per i trasporti della Lombardia dovrebbe essere l’Ile de France. Beh, non ditelo ai franciliens. L’offerta di mezzi è enorme, qui veramente non si sente il bisogno di avere un’auto, ma gli scioperi sono tutt’altro che rari e l’affollamento notevole. E loro decisamente inferociti. Vi riporto alcune frasi fra le più spassose (per me almeno), prese da alcune lettere scritte da pendolari, tradotte al meglio delle mie possibilità. Eccole:

“Dopo 3 anni di questa vita, osservo una sorta di violenza che si inserisce insidiosamente nella vita quotidiana: ognuno procede diritto davanti a sè e non si ferma mai per far passare gli altri, una strategia per salire su un RER già pieno, sul punto di esplodere (bisogna spesso lasciarne passare diversi prima di poter salire); inciviltà, volontaria o involontaria, delle persone che si ritengono prioritarie per salire a bordo (spintoni e piedi pestati senza alcuna scusante). A bordo, il trasporto si avvicina più al trasporto di animali che a quello di esseri umani. Dopo un po’ di tempo, si comincia a fare come gli altri senza nemmeno rendersene conto, dato che bisogna pur arrivare in ufficio”

“Che nessuno pensi di impedirmi di salire o gli faccio la festa… Questo è un esempio dei miei pensieri mentre attendo il mio treno. Questa situazione tesa, indotta da questi trasporti sottodimensionati, può facilmente incendiarsi”

“Ma la sera è orrendo. Fra i fastidi più grandi: l’affollamento ovviamente, l’uso incontrollato di telefoni cellulari, l’assenza della conoscenza delle regole d’utilizzo nel metro da parte dei turisti (frequenti sulla mia linea), i sedili troppo piccoli e totalmente inadatti e semplicemente la difficoltà di salire sui vagoni in certe stazioni a taluni orari, che obbliga a fare lunghe deviazioni: risultato, parto dal lavoro ancora in forma, arrivo a casa fisicamente e psicologicamente esausta”

“Ora il treno è già ben stipato, quindi si assiste a delle scene che scatenerebbero una sommosa nei paesi del terzo mondo. E in quei casi nessuna pietà, sia che siate una donna incinta di 5 mesi o una persona anziana! Nessuna pietà, venite schiacciati e spinti. E non vi racconto gli odori, i tentativi di palpeggiamento o di furto… ”

Un quadro sconfortante. Almeno in parte posso confermarlo, dato che ho visto con i miei occhi la ressa dell’ora di punta sull’RER.

Per fortuna io prendo il T3…

Un saluto a tutti i miei amici che fanno i pendolari fra Malnate e Milano!

ZP (Zapatero Pinocchio), la meteora.

Venerdí scorso ho iniziato a scrivere un articolo per questo blog sulla terribile situazione economica in Spagna. Dopo quasi 2 pagine di delusioni, promesse non mantenute e orizzonti neri, resomi conto di non essere neanche a metá, ho lasciato perdere.

Casualitá, ieri su Repubblica è uscito un articolo che, se avessi pubblicato il mio, mi avrebbe fatto gridare al plagio:

http://www.repubblica.it/economia/2010/02/08/news/spagna_zapatero_rampoldi-2223443/

Qui trovate perfettamente spiegate le ragioni che hanno portato la Spagna dall’essere il paese con la piú alta crescita negli ultimi anni, a diventare il materasso della zona euro, con annesse minacce quotidiane di esilio dalla moneta unica da parte di Trichet, disoccupazione ormai al 20% (secondo solo alla Lettonia) e soprattutto la previsione di rimanere in recessione per tutto il 2010 (unico paesi dei “grandi”).

La delusione che la Spagna, l’ Europa, e includerei anche gli States, provano nei confronti di Zapatero é enorme. Visto come il portatore di un modello di politiche sociali innovative, sostenibili, e di una open mindness rivoluzionario soprattutto nella Spagna post-Aznar, ZP é poco a poco naufragato sotto i colpi della doppia crisi (globale e locale) che ha attanagliato il paese. Promesse non mantenute, cecitá di fronte a una realtá che andava analizzata e affrontata con piú forza, misure populiste e a breve termine, nessun cambio strutturale a una economia che ha ampiamente dimostrato la sua fragilitá. Le aziende spagnole non possono investire nel loro paese e quelle straniere sono spaventate dalla mancanza di segnali di ripresa. Come conseguenza politica immediata, il Partido Popular di Rajoy (successore di Aznar) é 6 punti avanti nei sondaggi, e solo le sue lotte interne e gli scandali per corruzione gli impediscono di essere già lontano nelle percentuali.  Meglio fermarsi qui, o finirei riscrivendo le 2 pagine di venerdí scorso.

La delusione é soprattutto per i molti stranieri che avevano creduto nel progetto ZP-Spagna e hanno a un certo punto della loro vita preso la decisione di parteciparvi. L’immigrazione é sempre stata una ricchezza in tutto il paese, e in nessuna regione lo era stato come in Catalunya. Ora, mestamente, osserviamo al ritorno nei loro paesi di origine per quelli che non ce la fanno piú, e alla fuga di quelli che vedono in molti altri paesi la possibilitá di una tranquillitá e realizzazione professionale che qui, oggi, non c’é piú. Il vostro blogtrotter, sí, ci sta pensando seriamente anche lui.

Molti italiani, paragonando la situazione spagnola con quella del belpaese, mi dicono: “meglio l’incapacitá della malafede”,

Giá. Non una grande consolazione.

ZP: Zapatero Pinocchio

ZP: Zapatero Pinocchio

The final countdown

Eccoci finalmente…nemmeno una settimana e la cerimonia di apertura avra’ inizio.

La citta’ e’ come una sposa sull’orlo di una crisi di nervi prima del suo “grasso grosso” matrimonio e la gente non ci sta letteralmente piu’ dentro. Ormai sono arrivati tutti: atleti da tutto il mondo, stampa, volontari con le loro divise azzurre, turisti e sportivi, forze armate e giubbe rosse, navi da crociera che sovrastano il porto…persino Michael Buble’ e Brian Reynolds, per l’occasione, sono tornati a casa.

Ma la neve? Dov’e’ la neve? La stanno tutti aspettando ma lei ancora non da’ alcun accenno….e adesso, come si fa? Il mondo si interroga, i Vancouverites si preoccupano e si lamentano, come sempre, del tempo atmosferico avverso.

Tutta colpa della legge di Murphy; lo scorso anno c’era un freddo pazzesco e a quest’ora le piste cittadine di Cypress e Grouse erano ricoperte di “fresh powder” mentre quest’anno si e’ registrato il Gennaio piu’ caldo del secolo.

Ma i Canadesi continuano la loro corsa contro il tempo mentre l’orologio di Robson Square continua il suo count-down.

Robson Square, Olympic Clock

Ieri sera ho fatto un giro in centro e mi sembrava di essere in un’altra citta’…le luci di Natale sono state lasciate ovunque per addobbarla a festa, si sente musica in ogni angolo, ma soprattutto c’e’ un brulicare di gente a cui non sono piu’ abituata. Si perche’ quando sono arrivata qui due anni fa, avevo sempre l’impressione che ci fosse poca gente per le strade; una cosa che ho imparato infatti e’ che la definizione di spazio personale tra il Canada e l’Italia varia di molto e certamente il Canadese medio ha il doppio dello spazio personale di un Italiano.  Sembra ovvio, ma all’inizio questo ti disorienta, poi ti abitui e la confusione ti da’ quasi fastidio.

Ma ora e’ una confusione diversa e le strade sono piene di luci, di colori, di fotografie di atleti, di bandiere del Canada e di altri paesi del mondo; ovunque si legge “Welcome to the world” e l’aria che si repira e’ di adrenalina pura e di speranza che questo evento sia ricordato dal resto del mondo.

Vancouver viene subito dopo i giochi olimpici della Cina e la competizione e’ alta…tutti scommettono che la spettacolarita’ dell’evento di apertura messo a punto dai Cinesi non possa essere ricreato e che i Canadesi partano gia’ svantaggiati. Ma la competizione fa parte del gioco ed esserci, qui ed ora, ha un sapore esilarante,  piu’ intenso della vittoria.

-5, -4, -3, -2, -1…ready, set, GO!

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