Non andavo al cinema da un bel po’, come al solito uscite rarefatte, ma necessarie. Con la scusa di portare mia figlia di quattro annì, ho visto il mio film natalizio della Disney (in passato immancabile appuntamento del 26 dicembre). E l’ho visto addirittura in 3D! Si tratta di Rapunzel l’intreccio della torre, un film per grandi e piccoli, una vera sorpresa. È l’esempio perfetto dell’incontro del classicismo della Disney con la modernità (non solo tecnica) della Pixar.
La storia di Raperonzolo e dei suoi lunghi capelli magici, imprigionata nella torre da una madrina egoista, diventa un’avventura alla scoperta della libertà e di se stessi, contro la paura di quello che non si conosce.
Avvincente, divertente, spassoso, mai compiaciuto nel racconto, conferma la rinascita dell’animazione.
Il 3D, inoltre, non è per niente invasivo, è sempre utilizzato in maniera intelligente e adatto alla narrazione. Spettacolare in questo caso la scena delle lanterne, ma non solo. Lo è anche la semplice farfalla che sveglia Flynn, il protagonista maschile (tra l’altro disegnato basandosi su Harrison Ford e Errol Flynn) e tanti altri particolari.
Sempre spassosi i personaggi di contorno, le cosiddette spalle. Dai tempi delle teiere de La bella e la bestia, hanno assunto un protagonismo sempre maggiore e spesso salvano il film. Come fecero la scimmietta e il pappagallo in Aladin, a cui Rapunzel si rifà molto, in questo nuovo film rubano spesso la scena il camaleonte Pascal e il cavallo Maximus.
Rapunzel, anche se è uscito presto nelle sale italiane, avrà un percorso lungo, soprattutto nel periodo di Natale e grazie al passaprola di grandi e piccoli, maschi e femmine, non ci sono distinzioni. E aspettatevi qualche lacrimuccia…
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Up, una storia universale oltre la tecnologia
Quando per la prima volta vidi La bella e la bestia pensai che non fosse un gran bel film. Fu nominato all’Oscar nella categoria delle migliori pellicole. La prima volta nella storia del cinema per un cartone animato. Col tempo, crescendo, mi sono ricreduto. Oggi la storia si ripete. Anche Up è tra i nominati come miglior film agli Oscar 2010. Con l’unica personale differenza che appena l’ho visto ho pensato fosse un capolavoro, esattamente come quasi tutti gli ultimi film della Disney-Pixar (da Monster&Co a Wall-E). In tutti c’è dietro quel gran genio di John Lasseter, creatore di tutti i più grandi successi d’animazione digitale degli ultimi 20 anni, fin dal lontano Toy Story, il primo lungometraggio del genere.
Up conferma l’unica regola cara a Lasseter: l’importanza della storia, della narrazione, rispetto alla tecnologia. Un insegnamento che molti dicono di rispettare, ma che pochi osservano. Solo la Disney oggi sembra essere tornata ai fasti di una volta, dopo la crisi creativa degli anni ’80, proprio grazie alle storie e non semplicemente all’animazione digitale.
Up racconta di Carl Fredricksen, uno scorbutico 78enne, che sembra uscito direttamente dall’altro capolavoro del 2009 che è Gran Torino, che rimasto vedovo decide di realizzare il sogno che per una vita ha coltivato con la moglie: andare in viaggio alle cascate Paradiso. Per realizzarlo parte con tutta la propria casa, sollevata da palloncini, abbandonando alle proprie spalle tutto il mondo intorno a lui che stava cambiando.
Veloce, intelligente, dinamico, commovente, il film ha diverse letture: dall’avventura per i più piccoli, alla complessità del rapporto con la morte. Up, insieme a Wall-E, fa parte di quei capolavori del Cinema, capaci di far pensare all’evolversi della condizione umana, anche attraverso storie che sono delle vere favole. Lassater è la mente dietro a ogni storia, a ogni produzione, qualche volta ha curato anche la regia come in Wall-E, ma alla fine lui e la Disney non sono altro che i fratelli Grimm del nostro tempo: raccontano favole capaci con la finzione di toccare temi e corde dell’animo umano che troppo spesso vengono sopite dalla frenesia di tutti i giorni (o semplicemente dalla monotonia della tv).
Up non cerca di essere un film eccezionale. Ma proprio per questo lo è: una grande idea, una rappresentazione perfetta, dietro una regia che non lascia nulla al caso (i primi dieci minuti sono da manuale, quasi senza parole, solo musica e sentimenti); tutto per confezionare quello che è sicuramente uno dei migliori film dell’ultimo decennio. Per tutte le età.