Mister D non c’è più. “Padre” di Fellini e Serpico

scatola_laurentiisMister D se ne è andato. Aveva 91 anni e 500 film sulle spalle come produttore. Gli ultimi trent’anni a Hollywood. Aveva lasciato l’Italia, dopo aver dato tutto alla rinascita del cinema nostrano nel Dopoguerra con il neorealismo e con la classica commedia all’italiana. Dino De Laurentiis è morto a Los Angeles, ormai era la sua casa. E anche qui ha fatto dei capolavori, dopo i tanti film di Fellini, come La Strada o Le notti di Cabiria, che personalmente adoro. Poco importa che abbia sposato Silvana Mangano o altri pettegolezzi sulle sue tre mogli, o altro.
Se devo ricordare un film che più mi ha colpito non posso non citare il grande Serpico, il primo film negli States. Un grande Al Pacino, una grande regia di Sidney Lumet. Un poliziotto duro dai modi molto fine (una citazione per tutte: “Sembri un buco di culo con la dentiera!“).
Mister D, così lo chiamavano per rispetto a Los Angeles, ha portato un po’ di anima europea nel cinema americano. Il figlio e il nipote, unici eredi cinematografici, Aurelio e Luigi, oggi producono soprattutto i cinepanettoni. Sembra che vogliano adottare la stessa filosofia di utilizzare gli introiti di quei film per produrre capolavori. Diceva Mister D: “Dicono che faccio film commerciali. E Fellini dove lo mettiamo?”. Speriamo.
Un assaggio di Serpico:

Il calcio al cinema? Ecco la top five

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Italia-Germania 4-3, quarant’anni di storia e ancora oggi definita la partita del secolo. Il cinema non poteva ignorarla, tanto da aver anche realizzato un film di Andrea Barzini che ha come sfondo la storica partita.

Italia-Germania 4-3 non è però un film sul calcio, ma un’opera generazionale, di passaggio e maturazione per i protagonisti, tre amici che si ritrovano in occasione della partita.

In questo periodo mondiale non ci si può esimere però da stilare una classifica delle più belle partite di calcio al cinema.

Discutibile? Mandate le vostre scelte.

Ecco le mie:

 

1 – Fuga per la vittoria di John Huston (Usa, 1981)

Un’americanata certo, ma forse il più bel film con Stallone che sembra anche un attore vero. Ispirato a una storia vera c’è anche Pelè, qui attore, autore di una rovesciata entrata nella storia del cinema e l’emozione di un ritorno in campo: l’orgoglio per una rivalsa, una vittoria contro l’ingiustizia in cui è impossibile non essere trascinati.

 

2 – Febbre a ’90 di David Evans (Gran Bretagna, 1997)

La storia di un piccolo allenatore e la sua passione per l’Arsenal. Passione che non abbandona nemmeno per un altro tipo di amore. Tratto da un libro del grande Nick Hornby, una dichiarazione d’amore per il calcio.

 

3 – Ultimo minuto di Pupi Avati (Italia, 1987)

Dietro la lente del mondo del calcio, tra sport e corruzione. Un film che al tempo sembrava pessimista, ma che ha anticipato quanto accaduto vent’anni dopo con Calciopoli.

 

4 – L’allenatore nel pallone di Sergio Martino (Italia, 1984)

Demenziale ma indimenticabile l’ascesa della Longobarda e del mitico fuoriclasse Aristoteles!

Uno scambio di battute che da solo vale tutto il film.

Canà (l’allenatore Lino Banfi): “Voi sapete che le norme generali di tutti gli allenatori del mondo più o meno usano le stesse formazioni, c’è 4-5-1 o 4-4-2, io invece uso una cosa diversa: il 5-5-5”.
Speroni (giocatore): “Ma mister, che si gioca in quindici?”
Canà: “Sono sedici, perché ti sei dimenticato il portiere”

 

5 – Maledetto United di Tom Hooper (Gran Bretagna, 2009)

L’ascesa di un calciatore che diventa allenatore, il cui successo con il Derby County (con cui ha scalato le categorie fino a vincere il campionato inglese) lo porta ad allenare la squadra che più ha odiato, i Leeds. Un compito difficile che lo porterà a fare i conti con se stesso e i propri limiti. Il calcio protagonista, visto dagli spogliatoi.

I bastardi che non dimenticano

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Quentin Tarantino si conferma uno dei pochi grandi registi in circolazione, insieme naturalmente all’intramontabile Michael Mann. Bastardi senza gloria è un grande film, nonostante le licenze storiche che si prende. Licenze che sono il fondamento di una narrazione “da riscatto” per le vittime. Un capolavoro di cui il regista dell’altrettanto grande Le iene ne è consapevole, tanto da farsi i complimenti da solo alla fine del film.

I bastardi di Tarantino sono perfetti, cattivi, scorretti fino ad arrivare alla macchietta, ma senza raggiungere l’estremismo violento di Kill Bill. La storia degli otto ebrei e del loro comandante che chiede a ognuno lo scalpo di cento nazisti, è un piacere per gli occhi e per le orecchie. Come al solito, il punto migliore sono i dialoghi: Tarantino riesce a rendere credibili dei monologhi che in mano ad altri registi farebbero venire il latte alle ginocchia; li rende vivi e tramite quel fiume di parole crea dei personaggi, come il nazista in questione, da manuale, cattivi che fanno venire i brividi per la loro consapevole lucidità.

Il regista ha realizzato come al solito un omaggio a quello che secondo lui è cinema: le pellicole di serie B che già aveva omaggiato nel sottovalutato Jackie Brown e altri capolavori; qui omaggia/copia un film anni ’70 di Enzo Castellari. Il risultato è un film di serie A, una grande opera che è capace di porre domande come “Ma è possibile che gli ebrei non si siano mai ribellati?” senza vergognarsi di voler mostrare la rabbia per la repressione subita.

Bastardi senza gloria è molto americano, è vero, è impossibile, è storicamente falso. Ma è cinema allo stato puro.

La magia di Oz. Oltre lo schermo

magodiozÈ stato come un tuffo nel passato. Nella magia del cinema, nella favola dell’immaginazione che tutti hanno vissuto almeno una volta nella vita. Il mago di Oz, quello del 1939, è un capolavoro della settimana arte, e non solo per essere stato il primo film ufficialmente girato a colori, ma per la capacità di stupire il pubblico, esattamente come fece il treno dei fratelli Lumière. Non impressiona che il regista, Victor Fleming, sia lo stesso che, in quell’anno, abbia anche realizzato l’altra grande favola del cinema che è Via col vento.

Nel mago di Oz, la storia di Dorothy è semplice e affascinante, un racconto per tutte le età. Chi non lo ha mai visto potrebbe un giorno accorgersi di non essere mai stato bambino. Non è mai troppo tardi per scongiurare questo pericolo. È un film che mette buonumore, come sa fare solo un’altra pellicola che presto tornerò a vedere, Cantando sotto la pioggia. Film che sanno vedere il lato “colorato” della vita, senza dimenticare i drammi, ma assumendo il punto di vista della positività, anche non a tutti i costi.

Immerso nella poltrona del mondo di Oz, sono tornato a divertirmi, ridere e commuovermi, con gli occhi di un (ormai) adulto, ma con uno spirito che spero, negli anni, si ricordi di quei momenti.