Il cinema è ovunque, anche sulle imbarcazioni di immigrati alla deriva. Mai come in questo periodo ne sono convinto. Secondo la narrazione, studiata a livello antropologico da Joseph Campbell negli anni ’50, ogni essere umano alla fine vuole sentirsi raccontare la stessa storia: ebrei, induisti, cristiani, mussulmani. Le gesta dei loro leader ripercorrono sempre un viaggio verso la speranza.
La narrazione codifica così degli archetipi, dei personaggi che assumono un ruolo e su questo ruolo predefinito determinano le proprie azioni. È il caso del protagonista, motore della storia, e dell’antagonista, che si oppone al raggiungimento dell’obiettivo del protagonista.
In questi giorni sui giornali, sulla questione immigrazione, sembra proprio di assistere a un film, alla narrazione di una storia. A un escalation narrativa volta al raggiungimento di un obiettivo. Ma chi è il protagonista? Il malcapitato cittadino italiano benestante che combatte lo straniero antagonista? Secondo coloro che avremmo aletto a governarci, sì. L’antagonista va combattuto, schiacciato, annientato, torturato.
Ma se noi spettatori fossimo anche “personaggi”, potremmo anche assumere il ruolo di un altro archetipo: il mutaforme. In questo siamo bravi. Normalmente questa figura ha un’accezione negativa: si presenta come amico del protagonista portandolo invece sulla via sbagliata.
Tutti quelli che sono stati quindi amici di coloro che si credono protagonisti della Storia di oggi, forse potrebbero prendere coscienza che possono anche cambiare ruolo. Il viaggio per la speranza, per una vita, non è solo quello compiuto sui barconi verso la terra promessa, ma anche quello che si cerca di raggiungere essendo fieri di quello che siamo, rispettando tutte le altre persone. Pensiero che il protagonista di ogni bella storia cerca di raggiungere.
La stessa storia che ognuno di noi vuole sentirsi raccontare ogni giorno.