Una padella alzata dalla trincea, le pallottole che sparano alla pentola ed ecco fatto, un grande Alberto Sordi pronto a cucinare le castagne (La Grande Guerra). Questo era Furio Scarpelli, uno dei grandi sceneggiatori che hanno fatto conoscere il cinema italiano nel mondo nel Dopoguerra e durante il boom economico. Un cinema quello di allora fatto spesso con due lire, ma con grandi idee, capace di raccontare un mondo con l’ironica cattiveria che distingueva il periodo.
Scarpelli è scomparso nella notte tra martedì e mercoledì all’età di 90 anni. Lucido fino alla fine, schivo e sempre pungente nei suoi interventi, amava definirsi un narratore, non uno sceneggiatore. Lo dimostrano i lavori che ha firmato per 45 anni insieme all’amico Age, scomparso nel 2005. Insieme Age & Scarpelli sono stati tra i padri fondatori di quella commedia all’italiana che ancora oggi stenta a ridecollare.
Molti i capolavori, non si può citarli tutti, ma i più importanti sì: oltre al già nominato La grande guerra, ci sono anche L’Armata Brancaleone, I mostri, I soliti ignoti, Sedotta e abbandonata. Furono loro gli sceneggiatori che insieme diedero identità ai loro personaggi facendoli parlare anche in dialetto: ne La grande guerra persino Vittorio Gassman fu costretto a parlare lombardo.
Scarpelli ha saputo anche rinnovarsi, firmando anche una delle più grandi opere western di Sergio Leone, Il buono il brutto e il cattivo. Con gli anni dimostro di saper leggere il mondo contemporaneo in maniera impeccabile: i tradimenti di Romanzo Popolare, le famiglie di C’eravamo tanto amati e La famiglia (di Ettore Scola).
Scarpelli era la sceneggiatura. Non quella che oggi viene scambiata per un testo da mettere in scena. Era l’arte di saper raccontare per immagini, di convincere i registi a vedere quello che lui aveva visto, intuito, trascritto e interpretato.
Come scrive Paolo d’Agostini su Repubblica, il miglior modo per far vivere Furio Scarpelli e diffondere il più possibile i suoi film, tutti.