Il primo bacio al cinema? Con Woody Allen

3storie_di_amori_e_infColleziono locandine, da anni, da quando ero adolescente. Mi fa piacere leggere sul corriere che viene fatta una mostra con locandine e foto di set con “I baci più belli del cinema“. La locandina che ricordo meglio con su un bacio è anche quella di uno dei miei film preferiti: Moulin Rouge di Buz Luhrmann. Spettacolare, debordante, travolgente. Non ci sono altre parole. Nonostante i sottotitoli penso pure di essermi commosso. E non ho la locandina originale (se qualcuno vuole farmi un regalo…), non sono riuscito ad averla, non ero più un ragazzino che supplicava i gestori delle monosale di lasciargli un manifesto.
Niente a che vedere con il primo bacio al cinema, a 16 anni. Imbarazzante, senza senso. Ero più attratto dal film che dalla ragazza che avevo di fianco. Il film era il dimenticato Storie di amore e di infedeltà, con Woody Allen (solo attore) e Bette Midler. Un film poco divertente dove il battibecco tra i due protagonisti era poco credibile. Era il periodo buio di Woody Allen, ma era lo stesso il mio mito. Meno la ragazza che avevo di fianco. Ho finito di vedere il film. Era meglio. Di questo però credo di avere locandina…
E il vostro primo bacio al cinema?

Gli zombie invadono la tv e la fanno vivere!

zombiekb-the-walking-dead-poster1The walking dead non è originale, non è una novità nel mondo dell’horror. È una rivoluzione per la tv. Come lo è stato Lost, nel 2004 per la normale serialità, la nuova serie tv americana, tratta dall’omonimo fumetto, porta in televisione l’horror. E lo fa con stile, con eleganza, con quella grande sensibilità che solo un autore vero, come Frank Darabont (già regista e sceneggiatore di Le ali della libertà e Il miglio verde), sa fare.

The walkink dead fa paura. Non c’è che dire, tra citazioni al padre degli zombie, George A. Romero e 28 giorni dopo, parte come un razzo. Il primo episodio trasmesso da Fox (su Sky) è da brividi. L’approccio agli zombie non è troppo ironico, non è troppo splatter. È umano, come se tutto potesse succedere per davvero. E questo fa davvero paura.

Se gli horror sanno leggere la realtà, quella degli ultimi anni, negli Stati Uniti, è davvero tremenda. Se questa ultima serie ne è un esempio, anche noi italiani dovremmo saper sfornare capolavori. Ma perchè non succesde? Forse non siamo abbastanza nella m… A noi bastano le serie tv patinate dove siamo capaci di censurare persino il Papa, bastano le storie d’amore da fotoromanzo, bastano gli attori cani come dice Battiston (quelli che soffiano mentre parlano i di cui non si capisce una parola), bastano le regie piatte e non motivate, bastano le sceneggiature fatte solo di inutili dialoghi finti.
Tutto questo fa davvero paura. Non The walking dead, non gli zombie che camminano. Fa paura non saper leggere la realtà che ci circonda.

Torna Freddy, se dormi MUORI!

nightmare“Uno due tre, sto venendo da te. Quattro cinque sei, ora prega già che ci sei”. Era la filastrocca cantanta da inquitanti bambine che annunciavano l’arrivo di Freddy Krugher nei sogni dei giovani di Elm Street. Chi non conosce Freddy Krugher, e la serie Nightmare, non può capire le notti insonni di chi, negli anni ’80, si è visto tutta serie di film del personaggio creato da Wes Craven.
La leggenda vuole che Freddy molestasse e uccidesse bambini, poi i genitori di quel quartiere lo presero e lo bruciarono vivo. Lui torna sotto forma di incubo e uccide nel sonno gli adolescenti. A metà tra incubo e realtà il meccanismo geniale del film tocca tutti: se ti addormenti incontri Freddy. E muori.
Terrificante, spiazzante, con il proseguire della serie, anche grottesco. Nightmare è un caposaldo dell’horror, come Halloween. Ora torna al cinema, un reboot, come va tanto di moda oggi chiamare i remake che fanno ripartire una serie.
Ma i i tempi sono cambiati: gli horror hanno sconfinato su più fronti, è arrivato nell’immaginario collettivo l’horror orientale, il torture-porn, ma soprattutto lo stesso Craven che già negli anni ’90 aveva reinventato il genere con la serie Scream che azzerava tutte le regole. Vedremo se il nuovo Nightmare sarà all’altezza del primo, ma soprattutto se saprà dire qualcosa di veramente nuovo in questo genere, l’horror, tra i più innovativi della storia del cinema.

Metti Shining in un albergo abbandonato… altroché 3D

shiningCorridoi vuoti, l’eco nella voce, il tempo che trascorre e tutto rimane immobile, fino alla pazzia. Il Grand Hotel del Cmapo dei Fiori a Varese, abbandonato da anni, è un bell’esempio di architettura, esattamene come l’Overlook Hotel del film Shining di Stanley Kubrick. E sarà proprio il terrificante film a essere proiettato nelle stanze dell’albergo varesino che per una sera, si fa per dire, tornerà in vita grazie al terrore, trasformandosi in uno speciale cinema, il prossimo 12 agosto 2010.
Per i presenti sarà terrore allo stato puro perchè il film di Kubrick, dopo trent’anni dalla sua uscita nelle sale cinematografiche (1980), fa ancora decisamente paura. La storia è quella di una famiglia il cui padre, interpretato da un Jack Nicholson, è uno scrittore in cerca di ispirazione. La famiglia dovrà passare l’inverno nelle stanze di quell’albergo, affrontando l’isolamento a cui saranno costretti. Ben presto la pazzia del buon padre di famiglia si manifesta, complice anche il passato suggestivo dell’albergo, dove anni prima si era consumata una strage in famiglia.
Inquietudine allo stato puro per la storia che il regista ha tratto da un libro di Stephen King (a cui non è piaciuto il film). Ho visto Shining tante volte ormai, la prima da adolesciente e non ho dormito per diverse notti. Tutt’oggi, chi non è praparato a questo tipo di visione rischia di spegnere la tv per il terrore a rivederlo di sera, al buio.
Non oso immaginare cosa possa succedere in una visione collettiva in quella che può essere definitita una riproduzione scenografica come il Grand Hotel Campo dei Fiori, come se l’Overlook Hotel uscisse letteralemnte dallo schermo, altrochè il cinema tridimensionale.
Ci manca solo che Jack Nicholson si metta a firmare autografi e la follia di gruppo è assicurata ancor prima che le luci si spengano per la proiezione.
Per i fortunani che andranno a Varese, buona visione. Forse, stavolta, passo la mano… ancora non dormo bene, ma non so.
Ecco un paio di assaggi del film…

“Oggi sposi”… come dire “Luoghi comuni oggi”

oggi-sposi-filmNon ci si annoia (non troppo) a guardare Oggi sposi, l’ultimo film di Luca Lucini, ma sinceramente la commedia italiana ha sfornato di meglio (vedi Diverso da chi?). Dopo aver visto il bel Basilicata coast to coast, Oggi sposi è stata una vera delusione: un cast all star per una storia banale, semplice, prevedibile e dall’intreccio da film corale che non aveva nemmeno tutte le connessioni narrative al punto giusto. Si salva solo l’interpretazione di sue attori: Michele Placido e Filippo Nigro. Ma quando si arriva a scegliere delle cose positive nel complesso di un’opera, vuol dire che in quel “complesso” c’è qualcosa che non va.
Insomma da Luca Lucini, giovane regista che sta crescendo nella scuderia Cattleya, mi aspettavo qualcosa di più, soprattutto dopo le belle prove L’uomo perfetto e Solo un padre. Invece, sembra proprio che quando le star sono troppe, il prodotto perda di consistenza mettendosi troppo al servizio del mercato.
Nella mia tv di casa (purtroppo la sala è tornata a essere un miraggio lontano… ahimè) sono arrivato in fondo al film per “dovere di storia”, per concludere la serata. Mi sa che, però, dovrò imparare ad adottare anche al cinema il decalogo di Pennac sui diritti del lettore, in cui primeggia il diritto di non abbandonare il libro (il film?) quando si vuole.

Basilicata da costa a costa: l’estate continua…

papaleogassmanmezzogiornobrigugliagazzeDivertente, trascinante, ironico, intelligente e soprattutto non banale. Basilicata coast to coast l’ho visto poco dopo essere stato in ferie, in Toscana, ma poco conta. È un film dove si respira l’estate e per una sera è stato come non avere pensieri, spegnere il cervello (ancora) in maniera intelligente. 
È un un’opera prima di un “vecchio” attore, Rocco Papaleo, diventato famoso per molte parti secondarie in film come quelli di Pieraccioni, oppure, meglio ancora, nella mitica serie tv dell’89, Classe di Ferro. Mi piace da allora.
Papaleo ha curato la regia e le musiche di questo singolare film, senza nascondere comunque il fascino del genere road movie. Per road, si intende davvero road, visto che i protagonisti, quattro amici che hanno messo su il complesso delle “Pale eoliche”, decidono di affrontare i nodi della propria vita attraversando la regione da del titolo da costa a costa, a piedi. 
Il tutto per partecipare a un concorso con esibizione sul palcoscenico, la prima volta dopo anni di prove in garage. Con loro una brava e antipatica Giovanna Mezzogiorno, giornalista che non crede più in nulla (le aveva interpretato anni fa un ruolo tanto opposto da essere quasi una continuazione, quello di Ilaria Alpi).
Il film è ricco di storie, ma il nodo comune a tutti è quella musica tanto strana da far parlare solo il cuore, le parole che si intrecciano e che perdono significato in testi solo apparentemente stupidi. Nel gruppo anche Max Gazzè, muto, che parla solo col basso.
Dire che il film è bello è affrettato. Dire che i paesaggi sono scontati è banale. Dire che la storia funziona è semplicistico. Dire che l’insieme ha un’atmosfera genuina che pochi altri film italiani riescono a far trasparire (ormai troppo costruiti nelle griglie di una commedia troppo scontata e vecchia), è quello che si avvicina di più alla verità. 
Proprio quello che non si vede è la potenza del film: la passione e il cuore che il gruppo, che i protagonisti, che il regista, mettono insieme per poter portare a termine un’impresa.

Il calcio al cinema? Ecco la top five

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Italia-Germania 4-3, quarant’anni di storia e ancora oggi definita la partita del secolo. Il cinema non poteva ignorarla, tanto da aver anche realizzato un film di Andrea Barzini che ha come sfondo la storica partita.

Italia-Germania 4-3 non è però un film sul calcio, ma un’opera generazionale, di passaggio e maturazione per i protagonisti, tre amici che si ritrovano in occasione della partita.

In questo periodo mondiale non ci si può esimere però da stilare una classifica delle più belle partite di calcio al cinema.

Discutibile? Mandate le vostre scelte.

Ecco le mie:

 

1 – Fuga per la vittoria di John Huston (Usa, 1981)

Un’americanata certo, ma forse il più bel film con Stallone che sembra anche un attore vero. Ispirato a una storia vera c’è anche Pelè, qui attore, autore di una rovesciata entrata nella storia del cinema e l’emozione di un ritorno in campo: l’orgoglio per una rivalsa, una vittoria contro l’ingiustizia in cui è impossibile non essere trascinati.

 

2 – Febbre a ’90 di David Evans (Gran Bretagna, 1997)

La storia di un piccolo allenatore e la sua passione per l’Arsenal. Passione che non abbandona nemmeno per un altro tipo di amore. Tratto da un libro del grande Nick Hornby, una dichiarazione d’amore per il calcio.

 

3 – Ultimo minuto di Pupi Avati (Italia, 1987)

Dietro la lente del mondo del calcio, tra sport e corruzione. Un film che al tempo sembrava pessimista, ma che ha anticipato quanto accaduto vent’anni dopo con Calciopoli.

 

4 – L’allenatore nel pallone di Sergio Martino (Italia, 1984)

Demenziale ma indimenticabile l’ascesa della Longobarda e del mitico fuoriclasse Aristoteles!

Uno scambio di battute che da solo vale tutto il film.

Canà (l’allenatore Lino Banfi): “Voi sapete che le norme generali di tutti gli allenatori del mondo più o meno usano le stesse formazioni, c’è 4-5-1 o 4-4-2, io invece uso una cosa diversa: il 5-5-5”.
Speroni (giocatore): “Ma mister, che si gioca in quindici?”
Canà: “Sono sedici, perché ti sei dimenticato il portiere”

 

5 – Maledetto United di Tom Hooper (Gran Bretagna, 2009)

L’ascesa di un calciatore che diventa allenatore, il cui successo con il Derby County (con cui ha scalato le categorie fino a vincere il campionato inglese) lo porta ad allenare la squadra che più ha odiato, i Leeds. Un compito difficile che lo porterà a fare i conti con se stesso e i propri limiti. Il calcio protagonista, visto dagli spogliatoi.

I parenti sono come i tacchi, scomodi ma utili

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Ebbene sì, sono tornato al cinema, anche se con uno schermo che era grande come uno di quei nuovi super televisori. Ma fa niente. Il buio della sala è comunque inimitabile, non riproducibile

in un salotto o in una cantina. Ho visto un Ken Loach dei vecchi tempi. Almeno per tre quarti del film. È quello a cui mi ha fatto pensare La nostra vita di Daniele Lucchetti, storia di un muratore (Elio Germano) costretto dalla vita a trasformarsi, a passare da vittima a carnefice della società. Una grande interpretazione dell’attore che ha vinto anche la Palma d’Oro a Cannes e una regia di Lucchetti che era ai livelli di Loach, il regista operaio inglese, autore dello storico Riff Raff e di molti altri film di denuncia della condizione lavorativa di operai, poveri e immigrati.

La prima mezz’ora è davvero angosciante (la scena del funerale è da manuale, senza retorica). Forse perché l’ho visto lontano da casa. Forse perché la moglie del protagonista aspetta un bambino e non ce la fa. Ma la visione è sicuramente non da soap opera. Tutto è un crescendo credibile di tragedia e sofferenza: lui deve affrontare come può la perdita della moglie, rimane da solo con tre figli e l’unico che lo aiuta è lo spacciatore vicino di casa (un Luca Zingaretti irriconoscibile). C’è sempre anche la famiglia, i fratelli, che non lo abbandonano (“i parenti sono come i tacchi, sono scomodi ma aiutano”). Totale assenza delle istituzioni e dello Stato, a cui il protagonista non pensa nemmeno lontanamente di rivolgersi, né per il lavoro, né per un aiuto coi bambini.

Peccato per il finale. Consolatorio. Non lo nego, mi ha fatto andare a casa tranquillo. E forse ne avevo bisogno. Ma non è da Ken Loach e soprattutto è poco reale. Un lieto fine che dà speranza, è vero, ma che crea un distacco dalla storia, come se fosse una favola. Come insegna proprio il regista inglese, non deve per forza finire in tragedia, ma nemmeno dare una risposta a tutti i costi. Il film poteva chiudersi anche qualche scena prima e lasciare allo spettatore la possibilità di scegliere il finale nella propria testa.

La nostra vita rimane comunque un bel film. E conferma che il cinema italiano, come ha dimostrato anche Virzì con La prima cosa bella, è vivo e pensa. Merito anche degli sceneggiatori: gli storici Rulli e Petraglia che in passato hanno firmato tanti capolavori, come La meglio gioventù.

La partita del secolo? Italia-Marocco

Si avvicinano i mondiali di calcio e immancabili arrivano le classifiche delle partite più belle, i gol indimenticabili, i momenti salienti dei diversi mondiali. Ma la “partita del secolo” per me non è Italia-Germani 4-3, ricordata anche nell’omonimo film, ma quell’Italia-Marocco che vede protagonista la “banda” di Salvatores in Marrakech Express.
Partita di pochi minuti dove il cinema italiano riesce in quell’impresa di dichiarazione d’amore al calcio che mai era riuscita prima. Persino Aldo Giovanni e Giacomo, nel loro esordio al cinema con Tre uomini e una gamba, non hanno potuto fare a meno di omaggiare quell’incontro. Ecco, quindi, la partita del secolo, nelle due declinazioni.

I due lati opposti del cinema italiano

la-prima-cosa-bella-poster-italia_midIl giorno e la notte. Non saprei come altro definire le visioni “tardive” (in dvd) di questi giorni. Proprio mentre a Cannes viene premiato il cinema italiano con La nostra vita di Daniele Lucchetti, mi sono dedicato a recuperare due film che credevo entrambi importanti. La prima cosa bella di Paolo Virzì e Baciami ancora di Gabriele Muccino.
Su Virzì premetto che non sostengo lo stereotipo che lo vedrebbe l’erede della commedia all’italiana, l’erede di Dino Risi (omaggiato dal regista nel film). Sarebbe una gabbia in cui chiuderlo. Virzì ha un suo stile e lo dimostra. La prima cosa bella è un grande film, capace di far ridere e piangere, con una grande Mastrandrea (che parla con accento livornese!). La storia è un bell’affresco dell’Italia, non solo degli anni ’70, ma di quel presente che non lascia scampo, pieno di labirinti e passioni senza uscita. È poetico e delicato, ironico e graffiante. Virzi, fin da Ovosodo si è dimostrato l’unico in grado di fare della comicità non volgare, ma nello stesso tempo capace di far pensare, riflettere, su una società in evoluzione e in continua esigenza di una direzione. Lasciando una speranza vera alla fine della visione, non artefatta e fiabesca di una muccinata.
Purtroppo poi, esaltato dalla visione di Virzi, ho inserito il dvd di Baciami ancora sperando che il videoclip di Jovanotti fosse solo un assaggio dell’opera di Muccino. Niente. Ma nel senso vero del termine. Il film è una girandola di tradimenti, misogino fin nel midollo della pellicola, dove il regista-autore, sembra voler trovare una giustificazione per forza scontata al malessere delle coppie che crescono. Muccino, sempre lui perchè il film inevitabilmente è suo, dà un finale a L’ultimo bacio rendendo stupido anche il film di 10 anni fa che si salvava proprio per quel non finale che ognuno leggeva come voleva. L’ultimo bacio, purtroppo diede il via a quella serie di film generazionali di cui oggi non sentiamo più il bisogno (fino ad arrivare a quelli “mocciosi”), ma almeno aveva il pregio di essere registicamente fresco e soprattutto di essere il primo. Baciami ancora è vecchio. È una grande e lunga soap opera, come ha definito chi mi stava vicino. Ma una soap che con le nuove serie tv americane non ha niente a che vedere. Di questo film si salvano solo la Belvedere e Favino. Grandi e bravi. Ma non basta.
Due film, il giorno e la notte. E speriamo che il giorno prosegua a lungo perchè il cinema italiano, nonostante la classe dirigente non ci creda (come ha detto Elio Germano a Cannes), sta vivendo un bel momento di produzione intellettuale. Muccinate e cinepanettoni a parte.