Robin Hood, ecco il nuovo “Gladiatore”

robin_hoodIl nuovo Gladiatore dieci anni dopo. Vero. Robin Hood diventa tale solo dopo 90 minuti di film. Vero. Russell Crowe non ha il fisico del ruolo, nel senso classico dell’immaginario. Vero. Il regista Ridely Scott cita se stesso più volte, usa lo stesso montatore (Pietro Scalia) che ha inventato il montaggio d’azione più imitato del cinema recente, proprio con Il Gladiatore. Vero.
Ma allora cosa fa del nuovo Robin Hood un bel film? Sicuramente l’alchimia tra attore e regista e poi, sicuramente, il tocco inglese di Scott, che da Alien a Blade Runner, fino ai recente American Gangster ha saputo far emergere quelle storie di valori forti, combinando azione, storia e passione.
Robin Hood racconta la nascita di un mito. Non ci sono calzamaglie verdi, non ci sono scorribande nella foresta “per dare ai poveri“, non ci sono false schermaglie d’amore. Chi si aspetta Errol Flynn rimane sicuramente deluso. Chi cerca un nuovo Kevin Costner (negli anni ’90 all’apice del successo proprio in questo ruolo) prenderà un granchio. Crowe prosegue nel suo percorso di personaggi scontrosi, al limite dell’essere presi a schiaffi. Ma con un senso di giustizia che è universale per tutti. Il tutto con al fianco una più che mai affascinante Cate Balchett.
È vero che il film non è un capolavoro. È un film d’azione di mestiere. La durata, quasi due ore e mezza, non si fa sentire. Per usare un termine tanto in voga negli ultimi anni è un reboot (quando una saga viene riazzerata nel racconto in base a nuove regole e con nuovi obiettivi narrativi). Ridley Scott, fin dalle scritte iniziali, spiega di voler raccontare come è nata una leggenda: non usa i tempi classici della narrativa perchè preferisce scandagliare la nascita del mito di Robin Hood, umanizzandolo. Ed è proprio questo che lo fa diverso da altri film d’azione. Rimane nelle regole, ma si permette delle digressioni.
Nel Gladiatore Crowe cercava vendetta per il figlio ucciso. In questo film interpreta un figlio rimasto orfano. Una peculiarità tra i due film che non è certo casuale. Come non è casuale vi siano continue citazioni al vecchio film. Scott non lo rinnega, lo cita. Da anni si parla di un seguito del Gladiatore, ma nessuno ha trovato ancora la storia giusta. Robin Hood, per tematica (la ricerca della giustizia) ne è il seguito ideale, esattamente dopo 10 anni.

Tornano i Visitors, ma chi sono i veri alieni?

visitors_nuova_serieTornano gli schifosi Visitors. Nei giorni scorsi Joi ha trasmesso le prime quattro puntate del rifacimento di un cult della tv degli anni ’80: quel Visitors dove gli alieni, con divise da nazisti, ma rosse e nere, invadevano il mondo. Erano terrificanti, dalla loro voce metallica, al loro aspetto sotto la pelle umana, al loro comportamento inquietante con cui soggiogavano gli umani.
Quel telefilm nacque proprio sul finire della guerra fredda, con la paura dei comunisti negli Stati Uniti ancora forte, sotto una presidenza Regan non certo morbida.
Oggi quella paura non c’è più, ma il nuovo Visitors è altrettanto inquietante: belle le idee con cui gli si spiegano che gli alieni sono tra di noi da decenni, l’utilizzo della televisione come mezzo per conquistare le masse, l’aspetto come valore per avere la fiducia degli umani, e soprattutto la sconfitta delle malattie come mezzo per la conquista del mondo. Ma il periodo storico è ancora così fondamentale per far tornare “cattivi” gli alieni? Forse sì. Non tanto per il terrorismo, ma per lo stesso concetto di paura, di utilizzo della stessa, per mobilitare le masse e l’opinione pubblica. Ieri i comunisti, oggi il terrorismo. Il secondo esiste, nessuno lo nega, ma la paura gioca un ruolo fondamentale nel controllo. Questo mostra il nuovo Visitors. Ed è questa la sua bellezza.
Una nota di lode merita sicuramente la protagonista. Nell’opera degli anni ’80 si chiamava Diana ed era il capo degli alieni. Oggi si chiama Anna, parla attraverso la televisione (“Veniamo in pace, sempre” ma sembra una dichiarazione di guerra), e ha uno sguardo inquietante nella sua bellezza.
Negli Stati Uniti, dopo il test delle prime quattro puntate, stanno preparando il seguito. Speriamo arrivi presto anche da noi.

Riscoprire In&Out!

inoutOggi parlando con alcuni amici mi sono accorto che nemmeno i film che una volta erano considerati commerciali e di grande successo vengono ricordati dai giovanissimi. In&Out è uno di questi: una grande successo ai botteghi, un grande attore come Kevin Kline (non Calvin), e una storia da grandi risate.
E dire che il film non è tanto vecchio, è della fine degli anni ’90, e a rivederlo non sembra nemmeno tanto datato: la storia è quella di un uomo prossimo alle nozze che scopre la propria omosessualità.
Colonna sonora da spettacolo, fa parte di quel filone di film “da nozze” che comprende anche l’altro capolavoro che è Il matrimonio del mio migliore amico.
Di seguito una delle tante scene del film In&Out che non si possono dimenticare e che funzionano anche da sole. Questa è la prova a cui si sottopone il protagonista per essere un vero macho e “sconfiggere” le pulsioni da gay. E chi non lo ha visto per intero corra subito a noleggiarlo!

Draquila, sangue a rabbia a un anno dal terremoto

draquila

“Ci avevo creduto anche io che il governo stesse reagendo”. “Tenevo a bada il mio antiberlusconismo”. “In Abruzzo si capisce come si può costituire una dittatura”. Sono solo alcune frasi che in questi giorni Sabina Guzzanti ha utilizzato per spiegare il suo ultimo film, Draquila – L’Italia che trema, un documentario in pieno stile Michael Moore (sembra tra l’altro siano grandi amici).

Stando alle prime sequenze visibili sul suo sito (il film esce il 7 maggio), l’autrice mette da parte l’ironia e il sarcasmo che l’hanno sempre contraddistinta (ma non tutto) per raccontare in 93 minuti quello che è successo in un anno, dopo il terremoto che ha colpito l’Abruzzo nel 2009. I sentimenti che scatenano i primi spezzoni sono rabbia, confusione e delusione.

La Guzzanti ha realizzato 700 ore di interviste, montate come i documentari di Moore: veloci, dinamici, con tante vignette e grafici. Domande insistenti, semplici e irritanti per gli intervistati proprio per la loro schiettezza. La Guzzanti dice non aver realizzato un film contro Berlusconi, ma contro un modo di fare che sta uccidendo l’Italia: sceglie di mettere di far sentire le risate dei costruttori poche ore dopo il terremoto, costruttori che pensano già agli affari che faranno; sceglie di far vedere anche l’assenza dell’opposizione in Italia, presente in Abruzzo con una tenda vuota in ogni stagione, con dentro solo un panino che ammuffisce; sceglie di intervistare coloro che hanno ricevuto le nuove case con tanto di spumante nel frigo; sceglie di raccontare come un padre abbia perso due figli perché ha ascoltato la televisione che lo rassicurava su quanto stava accadendo, piuttosto che “ascoltare” l’istinto e uscire di casa.

Il film andrà a Cannes come evento speciale e avrà una risonanza internazionale. Bertolaso ha già detto che non sarà una bella immagine per l’Italia, Berlusconi ha detto che c’è troppa libertà di stampa. La Guzzanti, attraverso il proprio blog, ha risposto solamente citando una frase di Voltaire: «Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire».

La Guzzanti sempre sul sito ha scritto che facendo questo film ha “scoperto di amare questo paese”. In un’intervista all’Espresso ha spiegato il perché: “Perché come l’Aquila questo paese lo stiamo distruggendo. E come spesso accade, ti accorgi di quanto ami qualcuno e di quanto sia prezioso, solo quando lo stai perdendo”. Una motivazione che da sola vale la visione del film.

“Non voglio vivere in un mondo senza sentimenti”

a-single-man-locandinaUna lentezza squisita. Non saprei come altro definire il magnetico film di Tom Ford, A single man. Devo ammettere che l’ho preso a noleggio, con qualche dubbio, poco convinto di vedere un bel film, ma comunque curioso di scoprire cosa aleggiava dietro quest’opera realizzata da un già affermato stilista.
Ammetto però che fin dalla prima mezz’ora avevo capito di essere di fronte a un grande film: la storia di questo uomo rimasto senza il compagno nel 1962, che cerca di svegliare inutilmente la società con i propri insegnamenti, non è mai banale. A partire dalla fotografia, fredda, asettica, ghiacciata, quando il mondo è senza sentimenti. Con dei colori bellissimi quando lui stesso (un grande Colin Firth) trova l’amore e la passione intorno a lui, sotto ogni forma.
Come dice lui stesso mentre osserva maliziosamente due giocatori di tennis a petto nudo, di fronte alla paura di un attacco atomico, “Non voglio vivere in un mondo senza sentimenti”. La tesi di tutto il film, a partire da un’ipotesti opposta. Con un finale che, seppur prevedibile, diventa bellissimo nella sua purezza ed essenzialità.
A Single Man è di una tristezza infinita, come potrebbe dire qualcuno, ma solo in apparenza. È un film con una speranza perché qualsiasi strada prenda l’amore in questione, la serenità può essere raggiunta.

Novant’anni di Grande Guerra. Addio Furio Scarpelli

scarpelliUna padella alzata dalla trincea, le pallottole che sparano alla pentola ed ecco fatto, un grande Alberto Sordi pronto a cucinare le castagne (La Grande Guerra). Questo era Furio Scarpelli, uno dei grandi sceneggiatori che hanno fatto conoscere il cinema italiano nel mondo nel Dopoguerra e durante il boom economico. Un cinema quello di allora fatto spesso con due lire, ma con grandi idee, capace di raccontare un mondo con l’ironica cattiveria che distingueva il periodo.

Scarpelli è scomparso nella notte tra martedì e mercoledì all’età di 90 anni. Lucido fino alla fine, schivo e sempre pungente nei suoi interventi, amava definirsi un narratore, non uno sceneggiatore. Lo dimostrano i lavori che ha firmato per 45 anni insieme all’amico Age, scomparso nel 2005. Insieme Age & Scarpelli sono stati tra i padri fondatori di quella commedia all’italiana che ancora oggi stenta a ridecollare.

Molti i capolavori, non si può citarli tutti, ma i più importanti sì: oltre al già nominato La grande guerra, ci sono anche L’Armata Brancaleone, I mostri, I soliti ignoti, Sedotta e abbandonata. Furono loro gli sceneggiatori che insieme diedero identità ai loro personaggi facendoli parlare anche in dialetto: ne La grande guerra persino Vittorio Gassman fu costretto a parlare lombardo.

Scarpelli ha saputo anche rinnovarsi, firmando anche una delle più grandi opere western di Sergio Leone, Il buono il brutto e il cattivo. Con gli anni dimostro di saper leggere il mondo contemporaneo in maniera impeccabile: i tradimenti di Romanzo Popolare, le famiglie di C’eravamo tanto amati e La famiglia (di Ettore Scola).

Scarpelli era la sceneggiatura. Non quella che oggi viene scambiata per un testo da mettere in scena. Era l’arte di saper raccontare per immagini, di convincere i registi a vedere quello che lui aveva visto, intuito, trascritto e interpretato.
Come scrive
Paolo d’Agostini su Repubblica, il miglior modo per far vivere Furio Scarpelli e diffondere il più possibile i suoi film, tutti.

Quando il videogioco diventò cinema

tron1

Uno dei primissimi film che ho visto al cinema: inquietante e angosciante. Avevo sette anni e avevo appena visto quella favola di E.T., ma rimasi affascinato da Tron, quella fantascienza fatta con i videogiochi “di moda” dappertutto e ai quali si poteva giocare solo nelle sale giochi, oppure o nei bar. Vedere sullo schermo i personaggi di un videogioco che prendevano vita fu un’esperienza magnifica.

Tron diede poi vita al cyber punk, divenne un film cult con il passare degli anni e sono decine i film che poi sono stati tratti dai videogiochi. Dal deludente film su Super Mario Bros, al più apprezzato Tomb Raider (almeno il primo) fino all’attesissimo Prince of Persia.

Ora Tron sta per tornare. Anche più grande di prima. Con il regista di allora, Steven  Lisberger, che oggi ne diventa produttore dando fiducia a un esordiente. Grazie a un budget stratosferico di circa 300 milioni di dollari (200 milioni di euro). Grazie allo stesso interprete, Jeff  Bridges, rimasto intrappolato nel videogioco, alla cui ricerca ci andrà il figlio.

Ma soprattutto, un motivo per tornare a vedere il nuovo Tron, chiamato Tron Legacy, in uscita nel 2011, è il 3D, tecnica dal quale non poteva esimersi il nuovo film.

Per ora lascio i trailer dei due film a confronto. Entrambi spettacolari, entrambi angoscianti, entrambi da storia del cinema.


Alieni al cinema: amici, invasori, buoni e cattivi

et

Alieni questi conosciuti. Da sempre guardo i film di fantascienza. Non penso di potermi definire un tuttologo del genere, ma sicuramente come tanti della mia età che al posto di fare i compiti delle elementari, a casa da soli, ci si guardava i vecchi film in bianco e nero, posso dire di essermi spesso fatto travolgere da mondi distrutti e incontri con mostriciattoli di tutti i tipi.

Detto questo, ecco una classifica molto personale di questi “incontri ravvicinati”:

 

  1. E.T. di Steven Spielberg. Impossibile non metterlo al primo posto, il film che mi ha aperto le porte al cinema: con le prime emozioni, le prime lacrime, le prime magie del grande schermo, le prime riflessioni sulla diversità. Una favola sincera.
  2. Alien di Ridley Scott. Il terrore allo stato puro. Ancora oggi capace di far saltare sulla sedia. Quasi un horror per un capolavoro del genere. Da panico.
  3. Assalto alla terra di Gordon Douglas. Un bianco e nero spettacolarmente reale per un’invasione da manuale. Suggestivo.
  4. Visitors. Serie tv degli anni ’80 che proprio in questi giorni viene riproposto un (utile?) rifacimento. I lucertoloni che si presentano come amici, con tanto di umani rivoluzionari, sono da incubo con la loro voce metallica. Inquietante.
  5. Mars Attack. L’ironia di Tim Burton, stranamente coloratissima, per un film che prende in giro tutti i luoghi comuni del perbenismo americano. Con momenti di esilarante cattiveria.
  6. Incontri ravvicinati del terzo tipo di Steven Spielberg. Lo so ancora Spielberg, ma ha segnato la rinascita del genere con un’opera sicuramente non commerciale, ma molto suggestiva e “ipnotica”.
  7. X-Files. Impossibile non citare la serie tv degli anni ’90. Non i due mediocri film per il cinema. La serie tv è un tuffo nei turbamenti dell’ignoto. The true is there.  
  8. Guerre stellari di Geroge Lucas e Balle spaziali di Mel Brooks. L’uno opposto all’altro, ma con una sostanziale verità: i tempi cambiano ma la guerra è il motore dei mondi.
  9. La guerra dei mondi di Byron Askin. Quello del 1953, non del 2005 di Spielberg (in confronto noioso). Una delle prime invasioni aliene a colori. Terrorizzo gli spettatori al cinema, ma ancor prima alla radio grazie a quel genio di Orson Wells.
  10. District 9 di Neill Blomkamp. Quasi un b-movie il più recente di quelli citati. Forse l’unico che nell’ultimo periodo sia riuscito a raccontare anche la realtà attraverso la paura del diverso, in un Sudafrica prima dominato dalla segregazione razziale. Reale.

Sicuramente ci sarà qualche altro film (tanti) che non è stato citato e che invece viene considerato un capolavoro del cinema. Date anche la vostra opione!

Metti che… la guerra e l’assuefazione

thehurtlocker

Metti che un piccolo film abbia una vita lunga

Metti che sia un’opera sulla guerra che non ha senso

Metti che The hurt locker confermi che per chi combatte la guerra sia una droga

Metti che sia stato prodotto nel 2008

Metti che solo nel 2010 si parli veramente di questo film dopo 6 premi Oscar

Metti che la guerra in Iraq sia vista attraverso gli occhi degli artificieri

Metti che siano guardati ogni giorno mentre disinnescano bombe

Matti che il “nemico” potrebbe essere ovunque

Metti che il “nemico” siano loro

Metti che agli stessi artificieri non interessi chi sia il nemico

Metti che loro non sappiano cosa siano i giochi di potere della guerra

Metti che a loro interessi solo sentirsi vivi, rischiare la vita, dare un senso a quel che fanno

Metti che l’adrenalina entri loro in circolo tanto da farli sentire vuoti senza di essa

Metti che nemmeno un figlio piccolo dia loro la forza di tornare a casa

Metti che solo la droga ti fa perdere questo senso delle proporzioni

Metti che la vera droga sia la guerra

Metti che il regista sia una donna Kathryn Bigelow

Metti che lei avrebbe voluto firmarsi K.Bigelow per evitare critiche, ma non l’ha fatto

Metti che il film sia un capolavoro, sulla guerra e del cinema

Metti che sia costato pochi soldi, a dispetto del seppur bel Avatar

Metti che il Cinema esista ancora

Metti che le idee ci siano

Metti che la realtà spesso sia lo stesso cinema

Metti che vi sia d’aver paura davvero!

Come arrivare a tifare per un rapinatore

nemico-pubblico

Lo avrei voluto vedere al cinema. Li ho visti tutti i film di Michael Mann. Questa volta mi sono dovuto accontentare di un dvd a noleggio. Ma l’esperienza è stata comunque entusiasmante. Nemico pubblico è un nuovo grande film del regista dell’altrettanto grande The Heat – la sfida. Anche se più in sottotono, la sfida tra due uomini dall’opposta morale continua a essere al centro della cinematografia di Mann, ormai uno dei pochi veri autori americani, insieme a Terence Mallik (I giorni del cielo e La sottile linea rossa).

Con Nemico pubblico, il regista racconta la storia di John Dillinger (interpretato da un Johnny Depp che pare abbia fatto un patto col diavolo, da vent’anni non invecchia di niente), una sorta di Robin Hood degli anni ’30 che svuotava le banche per combattere il sistema, spesso distribuendo ai poveri i proventi delle rapine, senza comunque disdegnare la bella vita e i bei vestiti. Dall’altra parte un agente della nascente Fbi che gli dà la caccia, interpretato da un bravo Christian Bale, un’altra giovane promessa del cinema americano.

Come in The Heat (vero capolavoro di Mann, assolutamente da rivedere), il regista racconta rapine e sparatorie con un taglio decisamente personale, con leggere sospensioni temporali del racconto che fanno il suo cinema, entra nei personaggi e nelle loro contraddizioni fino all’angoscia. Lo stesso Dillinger diventa un eroe, tifiamo per lui, nonostante si possa immaginare la fine che farà. È un altro cinema quello di Mann, capace di mescolare classicismo a modernità.

Molti mi dicono che questo film al cinema li abbia annoiati. Certo, se ci si aspetta una visione ipercinetica di rapine e sparatorie, o una visione rivisitata del seppur bello Sherlok Holmes, si rimane delusi. Il cinema di Mann è una visione personale, in cui lo spettatore dovrebbe essere capace di perdersi, cercando le emozioni dei personaggi, nel cinema, quello vero, non televisivo o da videoclip.  

Assolutamente da segnalare una colonna sonora da manuale. Ecco un assaggio: