La magia di Oz. Oltre lo schermo

magodiozÈ stato come un tuffo nel passato. Nella magia del cinema, nella favola dell’immaginazione che tutti hanno vissuto almeno una volta nella vita. Il mago di Oz, quello del 1939, è un capolavoro della settimana arte, e non solo per essere stato il primo film ufficialmente girato a colori, ma per la capacità di stupire il pubblico, esattamente come fece il treno dei fratelli Lumière. Non impressiona che il regista, Victor Fleming, sia lo stesso che, in quell’anno, abbia anche realizzato l’altra grande favola del cinema che è Via col vento.

Nel mago di Oz, la storia di Dorothy è semplice e affascinante, un racconto per tutte le età. Chi non lo ha mai visto potrebbe un giorno accorgersi di non essere mai stato bambino. Non è mai troppo tardi per scongiurare questo pericolo. È un film che mette buonumore, come sa fare solo un’altra pellicola che presto tornerò a vedere, Cantando sotto la pioggia. Film che sanno vedere il lato “colorato” della vita, senza dimenticare i drammi, ma assumendo il punto di vista della positività, anche non a tutti i costi.

Immerso nella poltrona del mondo di Oz, sono tornato a divertirmi, ridere e commuovermi, con gli occhi di un (ormai) adulto, ma con uno spirito che spero, negli anni, si ricordi di quei momenti.

Metti che… La sconosciuta

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Metti che il cinema italiano sforni ogni tanto (ma proprio ogni tanto) un capolavoro.

Metti che quel capolavoro sia scritto e diretto da un premio Oscar.

Metti che Giuseppe Tornatore abbia ancora una freschezza nell’immagine e nel racconto, non omologata alla narrazione televisiva.

Metti che La sconosciuta sia solo un film di genere.

Metti che i film di genere (e soprattutto se noir) sappiano raccontare l’attualità meglio delle inchieste.

Metti che la poetica e la retorica (seppur bella) del Pianista sull’oceano e del Cinema Paradiso abbiano lasciato il posto alla cruda realtà.

Metti che con pochi soldi, tante idee e molto stile, si possa fare un ottimo film.

Metti che l’immigrazione sia anche integrazione e non solo sfruttamento.

Metti che i mostri esistano ma non siamo mai noi.

Metti che tutto questo sia reale.

Metti che faccia male vedere il film di Tornatore.

Metti che i capolavori esistono, mascherati da piccoli film.

Tim Roth non è una mucca

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Lie to me è l’ultima grande serie tv prodotta negli Stati Uniti che è cinema alla stato puro. Come The shield, come Criminal Minds, non è la tv che attinge al cinema di genere, ma è la stessa serie tv a fare da apripista alla crisi di idee che sta investendo le opere per il grande schermo.

In Lie to me non funziona solo l’idea della squadra che collabora con le forze dell’ordine, operando interrogatori che si basano sullo studio linguaggio non verbale. In Lie to me la pietra che contribuisce a rendere stabile tutta la struttura è Tim Roth, attore dalle scelte coraggiose che al suo attivo ha grandi interpretazioni in Le iene di Tarantino o il bellssimo La leggenda del pianista sull’oceano. Ma anche un’opera poco conosciuta, ma molto interessante, come regista, Zona di guerra.

Hitchcock diceva che gli attori sono delle mucche che devono solo essere guidate al pascolo. Mai come in questo caso il maestro del brivido potrebbe essere smentito. Roth dà il proprio contributo di autore-attore anche nel personaggio di Lie to me, creando un uomo tormentato, incapace di basare sulla naturalezza le proprie relazioni personali, ingabbiato in quel mondo dove la verità verbale non esiste. Mondo che lui stesso ha creato e dal quale emergono realtà tanto inquietanti da permettere di risolvere, o meno (ma per scelta), determinati casi. Nel primo episodio, la frase cardine di tutta la serie: “Tre persone possono mantenere un segreto soltanto se due sono morte”.

Addio Mike

mikeÈ morto un grande protagonista della storia delle televisione. Mike Bongiorno aveva 85 anni e si è spento a Montecarlo, colpito da un infarto. La sua carriera, che ha attraversato oltre 60 anni di tv, non era certo finita: aveva appena firmato un contratto con la tv satellitare Sky per riportare sul piccolo schermo una nuova versione del “Rischiatutto”, programma che la Rai aveva utilizzato, insieme a Lascia o raddoppia, gli anni del boom economico. I suoi programmi hanno sicuramente contribuito a creare quell’unificazione linguistica dell’Italia, nonostante le numerose gaffe che lo hanno reso celebre e che ancora vengono citate da giovani e anziani. Indimenticabile, oltre al consueto “Allegria” del quiz Superflash, il classico “Ahiahiai Signora Longari…” (che ancora oggi non si sa se sia verità op leggenda).  Senza dimenticare come spesso i suoi programmi siano stati utilizzati dal cinema per indicare il periodo storico in cui si svolgeveno le storie raccontate, da Fantozzi a Totò.

Americano di nascita, Juventino da sempre, forte antifascista, è stato sicuramente un grande precursore della tv, con forte intuito per i programmi a cui lui stesso ha dato il successo. Non è sempre rimasto con “Mamma Rai”: dopo qualche esperimento in diverse reti, nell’82 passò alle reti di Berlusconi, sposando l’idea televisiva del Cavallerie e divenendone grande amico, fino a ricoprire la carica di vicepresidente di Mediaset. Negli ultimi anni un altro grande sodalizio: Fiorello da quasi dieci anni ne è divenuto amico grazie a simpatici e ironici spot pubblicitari, che contribuirono anche a ridare simpatia al personaggio Mike. Un’amicizia, quella con Fiorello, che dopo la scelta del giovane show-man di rifiutare le avance di Berlusconi e scegliendo invece Sky, aveva portato alla rottura definitiva con Mediaset. Tanto da pensare a nuovi progetti per la tv satellitare. Programmi che, purtroppo, non vedremo più.

Ora Youtube sarà preso d’assalto per vedere il collage di gaffe di Mike. Situazioni che hanno sicuramente, grazie alla sua autoironia, contribuito non poco a creare il grande presentatore, sempre originale e intelligente nelle proprie scelte.

L’Uomo ragno entrerà a Eurodisney

uomoragno_starcomics_1Topolino compra l’Uomo ragno, la Disney ha acquistato la Marvel. La seconda da qualche anno si era anche lanciata, con grande successo, nella produzione di film tratti dai propri fumetti, soprattutto per quelli nati dal genio di Stan Lee. Risultato: una rivoluzione per tutto il mondo del cinema fantastico con i protagonisti dei film per ragazzi che, come nei fumetti, hanno profonde ferite. Non solo le edificanti storie della Disney degli ultimi anni (quelle dei primi anni volute ad Walt Disney erano profondamente più inquietanti), bensì storie di personaggi tormentati, come un isolato Superman che cerca la normalità assomigliando agli umani; oppure uno Spiderman costretto a rinunciare alla vita privata e mosso dai sensi di colpa per la morte del nonno; o ancora gli eroi di X-men costretti loro malgrado a difendere un’umanità che dà loro la caccia.

Non sono mai stato un estimatore, Uomo ragno e Fantastici quattro a parte, dei fumetti della Marvel. Ma devo riconoscerlo: hanno sicuramente “stregato” e cresciuto più di una generazione.

Disney ha conquistato un’altra fetta di pubblico, sicuramente non indifferente, ha raccontato storie per grandi e piccoli. E non solo con finali edificanti. Ma l’aurea della Disney è sicuramente quella della favola.

Ora cosa succederà? Semplicemente, non cambierà nulla. Disney e Marvel terranno il loro marchio, faranno i loro fumetti, i loro film, terranno le abitudini dei diversi personaggi. Esattamente come accaduto con l’altro braccio della Disney, la Pixar che negli ultimi hanno ha creato i capolavori di Nemo, Monster & C., Cars e Wall-E.

L’unica cosa che cambierà, e qui cito il chiaro e semplice commento di un amico, l’Uomo ragno entrerà ad Eurodisney.

I protagonisti della realtà (cinematografica e non)

campbellIl cinema è ovunque, anche sulle imbarcazioni di immigrati alla deriva. Mai come in questo periodo ne sono convinto. Secondo la narrazione, studiata a livello antropologico da Joseph Campbell negli anni ’50, ogni essere umano alla fine vuole sentirsi raccontare la stessa storia: ebrei, induisti, cristiani, mussulmani. Le gesta dei loro leader ripercorrono sempre un viaggio verso la speranza.

La narrazione codifica così degli archetipi, dei personaggi che assumono un ruolo e su questo ruolo predefinito determinano le proprie azioni. È il caso del protagonista, motore della storia, e dell’antagonista, che si oppone al raggiungimento dell’obiettivo del protagonista.

In questi giorni sui giornali, sulla questione immigrazione, sembra proprio di assistere a un film, alla narrazione di una storia. A un escalation narrativa volta al raggiungimento di un obiettivo. Ma chi è il protagonista? Il malcapitato cittadino italiano benestante che combatte lo straniero antagonista? Secondo coloro che avremmo aletto a governarci, sì. L’antagonista va combattuto, schiacciato, annientato, torturato.

Ma se noi spettatori fossimo anche “personaggi”, potremmo anche assumere il ruolo di un altro archetipo: il mutaforme. In questo siamo bravi. Normalmente questa figura ha un’accezione negativa: si presenta come amico del protagonista portandolo invece sulla via sbagliata.

Tutti quelli che sono stati quindi amici di coloro che si credono protagonisti della Storia di oggi, forse potrebbero prendere coscienza che possono anche cambiare ruolo. Il viaggio per la speranza, per una vita, non è solo quello compiuto sui barconi verso la terra promessa, ma anche quello che si cerca di raggiungere essendo fieri di quello che siamo, rispettando tutte le altre persone. Pensiero che il protagonista di ogni bella storia cerca di raggiungere.

La stessa storia che ognuno di noi vuole sentirsi raccontare ogni giorno.

Delusioni: Tropic Thunder

tropic-thunder-posterBen Stiller mi piace, l’ho apprezzato in passato con il bel Giovani, carini e disoccupati, dove era anche regista di mestiere. Ho riso molto con Tutti pazzi per Mary e spesso è un comico sottovalutato. Ma Tropic Thunder, dove è anche regista, mi ha lasciato molto perplesso. Tanti cinefili mi urleranno contro, altri si saranno divertiti. Ma a parte i trailer iniziali (finti), tutto il resto arriva presto a noia, a mostrare la corda di un’autoreferenzialità cinematografica fine solo a se stessa.

Certo che il film piace ai cinefili e agli addetti ai lavori, come critici, appassionati o professionisti del cinema: Tropic Thunder è pieno di citazioni e soprattutto prende in giro le assurdità del cinema, i capricci degli attori, la macchina informativa, i mezzi di comunicazione. Ma è tutto troppo marcato. Lo facevano già negli anni ’80: L’aereo più pazzo del mondo è stato un must per tutti e lo è ancora oggi; anche La pazza storia del mondo di Mel Brooks è da non perdere. Ma almeno questi film si rivolgevano a un pubblico più eterogeneo, non a una nicchia, seppur amplia.

Tropic Thunder non deve essere bello perché ha avuto successo al botteghino o perché Tom Cruise ha ricevuto una nomination all’Oscar per la parte del produttore pazzo. O perché Robert Donway Jr è irriconoscibile nella parte dell’attore vincitore di cinque premi Oscar. Tropic Thunder, dopo la prima mezz’ora di visione, è una perdita di tempo: non avvince la narrazione, non dice nulla di più di quanto abbia detto in quei primi 30 minuti, non arriva a una conclusione. Seppur apprezzabile nella critica sociale al mondo del cinema, questa volta Ben Stiller ha fatto un buco nell’acqua, molto lontano da quel Giovani carini e disoccupati che me l’aveva fatto notare, e poi apprezzare in Zoolander. Non basta il successo commerciale o chiudersi in un mondo atuoreferenziale.

E poi, detto sinceramente, il tema dei film d’azione nel cinema, avrebbe avuto più senso qualche anno fa, quando gli spettatori andavano al cinema a vedere i film con Chuck Norris (assurdo Rombo di tuono) o Steven Segal (immancabile Nico).

 

 

Sorprese: Il più bel gioco della mia vita

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Ho dato retta a un amico dagli Stati Uniti ed è stata una piacevole sorpresa. Il più bel gioco della mia vita rientra in quel filone di film sportivi poco conosciuti, alla Rocky, ricchi di epica e costruiti con un meccanismo quasi perfetto da punto di vista narrativo. Peccato che il golf in Italia sia poco conosciuto, altrimenti questo film sarebbe davvero avvincente e non proprio banale. La storia è quella vera di uno dei primi campioni di questo sport che non faceva parte della nobiltà, né inglese, né americana.

Tante partite, tanti effetti (tipo il cartone animato Lotti, chi se lo ricorda?), ma soprattutto alle spalle una produzione Disney: buoni sentimenti, tanta epica e buonismo. Definito così sembra quasi di parlare di una fiction televisiva italiana… ma le facessero con questa fattura, sarebbero dei capolavori. Gli americani sono bravi in questo tipo di film sportivi, su tutti Momenti di gloria e subito dopo L’uomo dei sogni. Fino ad arrivare al più recente e sottovalutato La leggenda di Bagger Vance.

L’epica viene spesso confusa con la retorica. E nelle nostre fiction domina la retorica. L’epica è quel modo di raccontare, quell’enfasi quasi mitica, capace di far sognare, in ogni sua forma. A volte esagerata, ma il pizzico giusto di magia, può commuovere senza dar fastidio.

Il più bel gioco della mia vita è uno di questi film. Semplice, lineare, anche se furbo. Non arrogante, ma il racconto di un’avventura, senza troppo impegno. Il racconto di un sogno

Torneremo alla visione collettiva?

up3Il cinema affronta l’emorragia di spettatori (tra cui io!) a suo modo, con una vera e propria rivoluzione: il cinema 3D. Motivo in più per tornare al cinema e a quella meravigliosa esperienza di visione collettiva.

Dopo i primi casi isolati dell’anno scorso di distribuzione di film in tre dimensioni (Viaggio al centro della terra e San Valentino di Sangue), che hanno ottenuto un discreto successo al botteghino, la prossima stagione che inizia a fine agosto si appresta ad essere quella decisiva per la svolta.

 

Considerando i titoli che da settembre usciranno nelle sale, con versioni in 3D, è quasi sicuro che in breve tempo saranno molte le altre sale che si doteranno di questo speciale sistema di proiezione. Sistema che non si basa più sull’utilizzo di più proiettori e brutti occhiali colorati, bensì basta uno speciale proiettore e occhiali che possono anche essere riutilizzati. Unico inconveniente, il prezzo del biglietto di ingresso che può arrivare anche a 10 euro.

Dopo la chiusura delle monosale, dovute al moltiplicarsi dei multiplex e al diffondersi della pirateria online, ecco che il cinema potrebbe vivere una nuova stagione d’oro, in quando i film in 3D non sono, per ora, riproducibili in tv. Saranno un sistema esclusivo dei cinema.

 

Per l’anno prossimo la vera rivoluzione, grazie ai titoli in 3D più attesi, quasi tutti americani. Il primo film della stagione uscirà il 28 agosto e sarà il terzo episodio dell’Era glaciale dal titolo L’alba dei dinosauri.

Poi spazio ai grandi autori. Come Tim Burton che con il suo attore feticcio Johnny Depp propone Alice nel paese delle meraviglie, rivisitazione fantastica dell’omonimo libro. Oppure il nuovo atteso, e quasi sicuro capolavoro, della Pixar, dal titolo Up, storia di un anziano e un bambini che sollevano la casa grazie a migliaia di palloncini.

La vera svolta del 3D, quello che potrebbe assumere la stessa valenza del primo film a colori (Il mago di Oz del 1939), arriverà forse a Natale con l’uscita di Avatar, il film di James Cameron che dopo Titanic del 1997 torna dietro la macchina da presa. Cameron è stato un pioniere degli efetti speciali digitali (con Terminator 1 e 2) e il film promette scintille proprio per essere stato girato interamente per il 3D, con apposite telecamere create per quel tipo di riprese.

 

Intanto un altro punto a favore della svolta nelle tre dimensioni saranno le riedizioni dei film. Attesa per rivedere su grande schermo gli eroi di Toy Story 1 e 2, Shrek, lo stesso Titanic, il musicale Stet Up, oppure gli horror come Final Destination. E molti altri ancora.

La prossima stagione cinematografica, dopo i deludenti incassi e le sempre minori presenze di spettatori degli anni scorsi, potrebbe tornare a nuova vita. Un colpo di coda che potrebbe far risorgere la magica esperienza collettiva della visione cinematografica.

Fuori… Nemico pubblico nr.1

nemico-pubblico-1-istinto-di-morteTre ore e mezzo. Due film al cinema. Due dvd a noleggio. Tre serate per poterlo vedere degnamente. La visione di un film del genere non è semplice e per i puristi del cinema spezzettare la visione è un insulto. Ma il francese Nemico pubblico nr.1 (in attesa nei cinema dell’altro Nemico pubblico di Michael Mann e con Johnny Depp) è un bell’esempio di gran bel cinema, che non viene certo sminuito da questo tipo di visione spezzettata.

Un film francese, con una piccola (molto piccola) coproduzione italiana. Questa pellicola conferma l’incapacità italiana di affrontare i film biografici. Non per essere insistente, ma da noi questo genere è stato quasi totalmente relegato alla fiction, che oggi sminuisce la potenzialità delle storie. Se poi si considera che è la storia di un malvivente, da noi non verrebbe nemmeno prodotto, né al cinema, né in tv.
Nemico pubblico racconta l’ascesa di Jacques Mesrine, uno dei più efferati criminali francesi che, negli anni ’70, ha letteralmente terrorizzato la Francia. Interpretato da uno strepitoso Vincent Cassel, il personaggio non ha scrupoli, è alla ricerca costante di una ideologia, di una motivazione, dietro cui nascondere la sua sete di protagonismo, di potere, di soldi. Si nasconde dietro il “voler abbattere il sistema”, le banche, le carceri. Accettando con molta facilità invece i richiami del crimine. Unico mezzo per fermarlo: un assassinio a sangue freddo compiuto proprio dalla polizia.

Impensabile in Italia parlare male delle forze dell’ordine. Anche solo per finzione, non a livello documentaristico. Solo questo varrebbe la visione a un pubblico italiano.

Nemico pubblico nr. 1 conferma che il cinema francese è ormai anni luce avanti al nostro. Soprattutto nel genere del poliziesco, in cui qualche anno fa aveva sfornato il capolavoro 36 Quai des Orfèvres.

Le oltre tre ore valgono sicuramente la visione dei due film (anche in bagno!), dai sottotitoli accattivanti, L’istinto della morte e L’ora della fuga.

…in attesa dell’ultimo Nemico Pubblico, dove l’autore americano Micheal Mann (l’ultimo vero grande autore!) di grandi polizieschi come The Heat, ridarà vita a al rapinatore Dillinger.