Cosa succede quando il computer viene indossato e non usato? Dopo aver parlato di sicurezza, parliamo anche di privacy. I Google Glass e simili sono oggetti rivoluzionari o una tecnologia che non prenderà mai piede? Emanuele Strada e Mauro Mezzenzana spiegano cosa comporta indossare un computer a cui far vedere il mondo attraverso i nostri occhi. – ventuno
di Emanuele Strada e Mauro Mezzenzana
Steve Mann, professore del dipartimento di Electrical and Computer Engineering all’università di Toronto, è balzato all’onore (se così si può dire..) delle cronache perché, nell’estate del 2012 mentre si trovava in un McDonalds in Francia i commessi hanno cercato di togliergli gli occhiali che indossava. Non si trattava dei nuovi Google Glass, ma di una sua invenzione, frutto di 35 anni di perfezionamenti, che è stabilmente attaccata al suo cranio e che aumenta (o come direbbe lui “aumedia”) le capacità del suo apparato visivo.
Da qualche settimana i primi pochi “fortunelli” hanno ricevuto i Google Glass.
Si tratta di occhiali che hanno un minuscolo schermo trasparente su una lente e un altrettanto minuscolo computer, fatto con l’hardware di uno smartphone, collegato a Internet, anzi a Google.
Con questi occhiali, ma mi domando se non sia il caso di trovare un altro appellativo, è possibile fare di tutto: scattare una foto, riprendere un video, avviare una video-chiamata, osservare le previsioni del tempo, ricevere indicazioni stradali… e chi più ne ha più ne metta.
L’evento accaduto a Steve Mann ci pone ulteriori interrogativi rispetto ai soliti che accompagnano l’introduzione di una nuova tecnologia. Non ci domandiamo solo se ci piacerà, ci sarà utile, quando potremo averla (eh, Giuseppe Catalfamo?)…
Il primo interrogativo è la privacy: cosa succederà per esempio se i Google Glass potranno geolocalizzare e registrare tutto quello che viene ripreso dalla telecamera e caricarlo in tempo reale su uno spazio web? Oppure se sapranno riconoscere i volti e presenteranno sul minuscolo schermo, in tempo reale, il profilo e la pagina facebook della persona che si sta guardando?
Negli Stati Uniti, attenti come sono alle tematiche di privacy, si sono portati avanti nonostante l’esiguo numero di esemplari di questo dispositivo. Ci sono luoghi che hanno già esposto cartelli che vietano l’uso dei Google Glass al loro interno. Ma se nello sviluppo futuro i Google Glass avranno anche le lenti graduate, chi ha gli occhiali dovrà andare in giro con due paia? o si troverà una soluzione di compromesso?
Poiché di norma la legislazione tende a correggere e indirizzare problematiche una volta che queste si sono presentate, sarà interessante vedere come verrà trattata la materia.
E’, a nostro parere, esagerato pensare che i Google Glass abbiano chissà quale costo sociale. Se vogliamo proprio considerarne uno è che forse sono uno strumento che va a erodere ulteriormente la nostra privacy, anche se non sembra permettano di fare cose tanto diverse da quelle che oggi possono essere fatte con uno smartphone. I Google Glass non sono ancora un prodotto: oggi sono un esperimento che, a fianco delle auto che si guidano da sole e di XPRIZE, ribadiscono la posizione dell’azienda di Mountain View come pioniere delle nuove tecnologia. Sembrano un nuovo modo per mettere la tecnologia al servizio dell’utente, cercando di renderla più utile, economica e fruibile anche da persone che non ne vogliono proprio sapere di utilizzare un computer, ma che forse potrebbero accettare di usare uno strumento, comune come un paio di occhiali, che risponde ai comandi vocali e che “augmedia” la percezione del mondo.
Ciò che è forse interessante di questo esperimento sono le potenzialità che mette in campo: facendo un paragone con quello che sta succedendo nel mercato degli smartphone, grazie a quello che sarà sviluppato grazie a Google Glass potranno essere create famiglie di nuovi dispositivi sempre più versatili ed economici. Strumenti di wereable computing finalmente accessibili che, se corredati da applicazioni particolari, potranno anche essere messi al servizio di portatori di handicap in tutto il mondo.
La capacità di investimento di società come Google e il numero di persone che potranno testare e dare un contributo per lo sviluppo di nuove tecnologie per “le masse” potranno consentire una diffusione di questi strumenti in tempi rapidi. Siamo alle porte di una nuova rivoluzione nell’utilizzo della tecnologia?
E voi lo “indossereste” un computer?
Rispondeteci in un commento e iscrivetevi alla nostra newsletter, così da poter ricevere i nuovi post di ventuno direttamente via email! (no spam, solo i post di ventuno quando vengono pubblicati)
♦
Emanuele Strada (1971) si interessa di aspetti psico-sociologici nelle organizzazioni, coniugando business, tecnologia e persone (non necessariamente in questo ordine). Ha passato del tempo in multinazionali che si occupavano di consulenza e tecnologia. Insegna Business Consulting presso la Liuc. Dice di avere solide certezze e tanti dubbi. Il suo motto è: “Fare, o non fare. Non c’è provare” del Maestro Jedi Yoda (Guerre Stellari). Su twitter è @emastreet.
Mauro Mezzenzana (@mauromezze) ha connesso il suo computer a Internet per la prima volta nel 1998 e da allora non riesce a concepire un mondo senza web. E’ appassionato di tutto ciò che funziona con elettroni, specialmente se corredato da software open source. Quando non è impegnato in convegni o seminari lavora come project manager in progetti di trasferimento tecnologico negli ambiti smart*, RFId e NFC, mobile, Internet of Things.
Pingback: La tecnologia, la comunicazione e la curiosità degli utenti | ventuno