In un articolo che ha suscitato enormi polemiche, Massimo Gramellini prova a schernire, attaccando gli “algoritmi” e il pensiero scientifico, una ricerca sui social network. Giacomo Buonanno, da affezionato lettore, prova a rispondergli. – ventuno
Ammetto di essere un lettore abbastanza assiduo degli articoli di Massimo Gramellini che quasi sempre apprezzo per il taglio che sa dare ai suoi interventi e per il coraggio con cui affronta temi a volte difficili. Sono rimasto però sorpreso dal breve editoriale “abbasso gli algoritmi” che ha pubblicato lo scorso mercoledì 6 novembre sulla La Stampa; un articolo che ha suscitato numerose reazioni da parte (soprattutto) del mondo tecnico scientifico. C’è chi ha ricordato l’importanza e l’impatto degli algoritmi nella vita di tutti i giorni (come per esempio Marco Cattaneo nel suo post “Se il buongiorno si vede dal Gramellini”), chi (Luca Sofri in “La retorica delle passioni”) ha ricordato situazioni (e film) in cui la logica dei numeri e dei dati (potremmo dire “l’algoritmo”) ha avuto la meglio sull’intuito e sull’istinto, come peraltro succede quasi sempre. C’è stato anche chi (mr. Palomar in “meno male che l’algoritmo c’è” oppure Alessandro Vespignani nel suo blog) ha sottolineato come queste posizioni antiscientifiche rappresentino un luogo comune del nostro panorama italiano, dove l’eredità di filosofi illustri come Croce e Gentile ancora ci induce a pensare che la cultura umanistica sia appannaggio delle menti superiori, mentre le conoscenze tecnico-scientifiche siano adatte agli “ingegni minuti”.
A onor di Gramellini va riconosciuto che lui stesso ha ammesso che la sua critica ai “maschi intellettuali con il cuore a forma di granchio e gli occhi a forma di dollaro, che non riuscendo più a sentire niente si illudono di domare le loro insicurezze con una serie di algide formulette attinte dalla marea di dati personali che le nuove tecnologie mettono a disposizione” è stata sbrigativa e superficiale e che l’articolo gli è “uscito storto”.
Non penso di avere molto da aggiungere a tutti questi commenti se non fosse che sono stato a Torino nello scorso fine settimana e ho avuto l’occasione di osservare le luci d’artista che dall’inizio di novembre decorano le vie del capoluogo piemontese. È dal 1998 che, nel periodo invernale, la città viene illuminata dalle istallazioni (quest’anno sono diciannove) di arte pubblica realizzate da artisti contemporanei per decorarne le vie principali. In particolare, tra le diverse opere accese in questo periodo si può osservare anche un’opera di Mario Merz, “Il volo dei numeri”, che è composta da una serie di tubi al neon rossi che riproducono i primi numeri della successione di Fibonacci.
[Fonte: Wikipedia]
Non sto qui ad elencare tutte le caratteristiche e le proprietà della successione di Fibonacci (rimando a Wikipedia per una trattazione più dettagliata); mi permetto solo di ricordare che, da un lato, l’algoritmo per la generazione dei numeri di Fibonacci è uno di quelli più utilizzati nei corsi di informatica per lo studio e l’esemplificazione delle proprietà degli algoritmi, e che, dall’altro lato, il riferimento ai numeri di Fibonacci è molto frequente sia in natura (la successione nacque per descrivere la crescita di una popolazione di conigli) che nell’arte (oltre alle opere di Merz e di altri artisti contemporanei, si pensi che il rapporto tra due numeri successivi della successione di Fibonacci si avvicina progressivamente al valore della sezione aurea detta anche numero di Fidia che l’avrebbe utilizzato per stabilire le proporzioni delle sculture del Partenone). Insomma, non mi può venire in mente niente di meglio della successione di Fibonacci per rappresentare il collegamento che da sempre esiste tra arte, scienza, natura e tecnologia.
La cosa buffa è che l’opera di Merz si trova proprio sulla Mole Antonelliana, il simbolo di Torino, quello stesso monumento che si intravvede dalle finestre dell’ufficio di Gramellini durante i suoi collegamenti televisivi. Insomma al Gramellini giornalista sarebbe bastato alzare la testa dalla sua scrivania per cogliere il limite del suo stesso articolo … e allora, con tutto il rispetto e la simpatia che Gramellini si è guadagnato in tutti questi anni durante i quali mi ha avuto come attento lettore, mi permetto di invitarlo, ogni tanto, a sollevare lo sguardo e a osservare le opere (d’arte) che arricchiscono la sua città.
Qui a ventuno crediamo che alimentare le divergenze “scienziati contro umanisti” abbia poco senso.
Gli uni hanno bisogno degli altri e ancor di più è bene che tutti noi sappiamo conservare, e adoperare, il meglio dei due mondi.
VIDEO CONSIGLIATO DA VENTUNO (in inglese): “How algorithms shape our world”
Cosa ne pensate? Ha fatto bene Gramellini a dire quello che ha detto?
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Giacomo Buonanno, sannita (forse la maniera più diretta e sintetica per capire cosa vuol dire essere “sannita” è quella di ricordare il giogo sotto cui dovettero passare i romani dopo la sconfitta delle forche caudine 🙂 ) trapiantato in terra lombarda fin dalla seconda metà degli anni ’60, è professore ordinario (dal 2001) di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni presso la Scuola di Ingegneria della LIUC. Dal 2012 è presidente della Fondazione Zanella cui è affidata la gestione del MA*GA, uno dei principali musei di Arte Contemporanea delal Lombardia.
Beh, bisogna dare atto a Gramellini, giornalista brillante ed ironico, di aver scatenato, con un breve articolo brillante ed ironico (appunto), l’ira funesta dei fans dell’algoritmo, che evidentemente piccati sul vivo, si sono scatenati in un attacco ad oltranza contro il povero Gramellini che, forse, nemmeno il loro precursore al-Khuwarizmi avrebbe messo in scena…o no? Ma poi penso infine che io sto con Gramellini semplicemente perchè la matematica non è mai stata il mio forte….e allora scusate l’intrusione!
Cordialmente