Ogni invenzione è meritevole di essere brevettata? E I brevetti sono davvero fonte di innovazione? Ne discutiamo con Luca Mari. – ventuno
di Luca Mari
Cos’è l’oggetto nella fotografia qui sotto?
Fu brevettato alla fine degli anni ’60 come “X-Y position indicator for a display system”…
[fonte: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/c/cc/SRI_Computer_Mouse.jpg]
… ma da subito è stato chiamato “computer mouse”.
Il suo inventore, Douglas Engelbart è morto alcuni giorni fa, e questa è un’occasione per ricordarlo. Ma, poiché molti giustamente associano l’introduzione del mouse all’Apple Macintosh (sul mercato dal 1984, dunque quindici anni dopo…), è anche un’occasione per ricordare la differenza tra invenzione e innovazione. Per trasformare un’idea, magari anche realizzata in un prototipo e brevettata, in un oggetto diffuso nella società non basta, appunto, che l’idea sia buona (e un altro discorso sarebbe se è almeno necessario che lo sia…): occorre anche qualcos’altro. Quel qualcosa in cui per esempio Steve Jobs era un maestro.
Ma se le condizioni che consentono di produrre un’innovazione da un’invenzione sono piuttosto note, in particolare a partire dagli studi di Joseph Schumpeter, vorrei proporre qui una riflessione – che in effetti è soprattutto una domanda – a proposito dei brevetti come possibile pre-condizione del processo di innovazione.
L’oggetto del brevetto di Engelbart è stato la base per un’effettiva, e importante, innovazione (e che inventore e innovatore siano soggetti diversi è ancora un altro tema). Ma, posto che evidentemente non si può conoscere in anticipo se una certa richiesta di brevetto produrrà un’innovazione, quali caratteristiche minime dovrebbe avere un’entità per giustificare il fatto che possa essere protetta da un brevetto? La risposta non è ovvia, considerando che ci sono brevetti, o richieste di brevetti, anche per entità che invece riteniamo ovvie conseguenze di un contesto, e quindi assai poco innovative appunto.
Ecco un interessante esempio, relativo allo US Patent 8,223,134 “Portable electronic device, method, and graphical user interface for displaying electronic lists and documents”. Riporto testualmente il sommario del testo del brevetto:
“In a computer-implemented method, a portion of an electronic document is displayed on the touch screen display. The displayed portion of the electronic document has a vertical position in the electronic document. An object is detected on or near the displayed portion of the electronic document. In response to detecting the object on or near the displayed portion of the electronic document, a vertical bar is displayed on top of the displayed portion of the electronic document. The vertical bar has a vertical position on top of the displayed portion of the electronic document that corresponds to the vertical position in the electronic document of the displayed portion of the electronic document. After a predetermined condition is met, display of the vertical bar is ceased. The vertical bar is displayed for a predetermined time period when the portion of the electronic document is initially displayed.”
L’inglese è un po’ ripetitivo, ma non lascia molto spazio a dubbi: l’oggetto del brevetto sono le scrollbar verticali per schermi sensibili al tocco: con il 5 marzo 2012 come data di presentazione della richiesta di brevetto (filing date) e data di priorità (priority date) al 7 gennaio 2007.
Se da un punto di vista strettamente giuridico il problema (in particolare quando i detentori del brevetto intentassero una causa contro chi usa… scrollbar senza pagare il dovuto) è di dimostrare se qualcuno avesse adottato questa “tecnologia” prima del 2007, in una prospettiva più ampia la domanda che ho formulato sopra diventa critica: quali caratteristiche minime dovrebbe avere un’entità per giustificare il fatto che possa essere protetta da un brevetto (e con ciò si proteggano gli investimenti compiuti, senza deprimere le possibilità di innovazione da parte di altri)?
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Luca Mari