Casi di cyberbullismo: atti che si possono combattere con l’educazione all’uso di internet (a casa e a scuola)

Telegiornali e cronache ci hanno ormai abituato a episodi di cyberbullismo, termine che vede coinvolti il web con tutti i suoi contenuti e adolescenti. Spesso a Internet viene data la colpa della particolare atrocità in cui sfociano questi avvenimenti. Ma siamo proprio sicuri che il colpevole sia la rete? Alberto Longhi e Giulia Pozzi danno una risposta alla domanda, spiegandoci il significato del termine e le conseguenze che atti di questo tipo possono avere, e offrono un valido aiuto al genitore per educare il figlio a una navigazione coscienziosa. – ventuno

di Alberto Longhi e Giulia Pozzi

Recentissimi fatti di cronaca hanno posto l’attenzione collettiva al fenomeno del cyberbullismo, ovvero a tutti quegli atti di bullismo e di molestia effettuati principalmente su bambini e adolescenti dai loro stessi compagni tramite mezzi elettronici, quali le e-mail, la messaggistica istantanea, i blog, gli smartphone, i cercapersone e/o i siti web.
Nonostante il termine cyber ci suggerisca qualcosa di virtuale, intangibile e moderno, il fenomeno del bullismo è da sempre esistito ed oggi più che mai è particolarmente discusso, essendo diventato termine di uso comune. Del bullismo si conoscono gli effettivi distruttivi, i danni fisici e psicologici che atti perpetrati sulle vittime hanno a breve e a lungo termine. Da tempo assistiamo a manifestazioni eclatanti che di continuo scuotono l’opinione pubblica: video, immagini e storie drammatiche suscitano rabbia e indignazione e impongono un’attenta riflessione sul concetto di bullismo stesso e sugli interventi necessari per porvi rimedio e prevenirlo.

Da anni psicologi, pedagogisti e insegnanti sono concordi nel definire il bullismo come “forma di comportamento violento attuato […] nei confronti dei pari in particolare quando vi è una palese asimmetria di potere; può implicare molestie verbali, aggressioni fisiche, persecuzioni dovute a discriminazioni etniche, confessionali, di genere” [Cit. Wikipedia]. Per contrastare questo fenomeno, sono stati sviluppati efficaci modelli di intervento che coinvolgono non solo il bullo (cioè chi mette in atto comportamenti vessatori) e la vittima (ovvero chi viene vessato), ma anche il gruppo entro cui il fenomeno si verifica.

Se si vuole però mettere in campo interventi sempre più efficaci, è necessario monitorare anche gli sviluppi del fenomeno stesso.

Ma come cambia questo fenomeno quando incontra la tecnologia? È davvero colpa del web se il fenomeno sembra aver raggiunto una dimensione maggiore?

Non importa il mezzo: gli esiti del bullismo sono comunque gravi, a prescindere dalla forma. Le vittime hanno solitamente cali di rendimento scolastico e aumento dei livelli di ansia, sentendosi costantemente in una condizione di minaccia; presentano sintomi depressivi e vergogna intensa, percependosi deboli e indifesi, fino a sviluppare a volte pensieri suicidari, come soluzione definitiva per eliminare un problema che non permette più di vivere una vita serena. Tutto ciò può essere altamente pregiudizievole per la salute di un soggetto in età evolutiva.

Passando da bullismo a cyberbullismo, quello che va analizzato è il rapporto tra i giovani e la tecnologia e, ove ci fosse da trovare un colpevole, di sicuro quello non è il web.

Le nuove generazioni vedono i bambini entrare in contatto con la tecnologia fin da piccolissimi, interfacciandosi con internet e le possibilità che la rete offre. Sono i genitori che devono cogliere le opportunità e i rischi che l’incontro tra il bambino e internet comporta. Senza un controllo attivo e una corretta educazione alla navigazione del territorio virtuale, il bambino e/o l’adolescente corre il pericolo, per esempio, di imbattersi in materiale non adatto o esplicitamente violento, per non parlare poi della possibilità di realizzare e cedere contenuti che potrebbero gravemente danneggiare la persona e la sua integrità.

I genitori non devono quindi ignorare la “vita virtuale” del figlio e lasciarlo solo di fronte al mondo che la rete offre perché questo significa esporlo a dei rischi a volte anche gravissimi.

Certamente è giusto che un ragazzino abbia la possibilità di esplorare il mondo virtuale (a seconda della sua età e del suo livello di maturità), così come il mondo fisico, ma è importante che i genitori lo accompagnino in questa esplorazione, proteggendolo dai rischi che il gioco dell’esplorazione comporta. Il migliore strumento di tutela dei figli non è un controllo serrato e ossessivo, ma un dialogo aperto e sincero, dove il giovane abbia la possibilità di confrontarsi con i genitori su stimolanti scoperte, oppure timori e preoccupazioni.

Con i più piccoli (diciamo fino ai 14 anni), può essere molto efficace condurre insieme la navigazione, confrontandosi poi su quello che si è visto e su ciò che si è imparato. Se un genitore ritiene che un contenuto sia inadeguato per il proprio figlio (perché volgare o gratuitamente violento) non abbia timore di nasconderlo e passare oltre, nonostante le proteste del figlio.
Ai più grandi (in particolare gli adolescenti) è opportuno lasciare maggiori spazi di autonomia anche sul web. Questo non significa lasciarli soli, ma intavolare con loro un dialogo aperto, autentico e costruttivo, anche rispetto alla loro vita virtuale. Semplicemente lasciando che raccontino, sollecitati da un genuino “come stai?”. È importante anche porre attenzione al loro comportamento, alla comunicazione non verbale, visto che il corpo spesso è ben più eloquente di tante parole…

Non è il web che facilita e induce a comportarsi da bullo.

Ricordiamoci che il bullismo non è dannoso solo per la vittima, ma anche per il bullo. Un ragazzino che si diverte a fare del male a un suo pari non è certo un ragazzino sano e felice. Inoltre causare gravi danni a una vittima può costargli molto caro, persino una condanna penale.

La migliore forma di tutela dal cyberbullismo e dall’uso incorretto delle nuove tecnologie è un’attenzione rispettosa, ma costante, da parte dei genitori alla vita (anche virtuale) dei figli.

E Voi siete d’accordo? 
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Dr. Alberto Longhi, psicologo clinico e formatore. Lavora in qualità di psicologo presso la Cooperativa Paideia, l’Associazione Agenti del Cambiamento e il Servizio Antiviolenza EvA Onlus. Collabora con l’Università Cattolica con la nomina di Cultore della Materia presso la Cattedra di Psicologia Dinamica. Esercita presso il suo studio privato a Busto Arsizio, lavorando principalmente con adulti e adolescenti.

Giulia Pozzi, ingegnere gestionale, si occupa di trasferimento tecnologico a imprese e persone, lavorando su smartcity e RFId, dopo aver passato un anno in consulenza come project manager. Sta conseguendo un dottorato di ricerca e si diletta, quando riesce, a fare la docente. Se di solito non ha problemi a scrivere degli altri, non chiedetele di scrivere due righe su stessa che entra in crisi.